Al sud ci sono più pensionati che lavoratori: gli ultimi dati

Nel sud Italia ci sono più pensionati che lavoratori. Una situazione che costituisce un vero e proprio problema per il welfare nazionale.

di Pierpaolo Molinengo

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  • Al sud Italia ci sono più pensionati che lavoratori.
  • Complessivamente, in tutto il paese il rapporto tra pensionati e lavoratori è di uno ad uno.
  • A determinare questa situazione sono principalmente la denatalità e la presenza di lavoratori irregolari.

Uno ad uno: questo è il rapporto che c’è a livello nazionale tra il numero di pensioni erogate e gli occupati. La partita ha un risultato diverso nel Mezzogiorno, dove a vincere sono le persone in quiescenza.

A livello nazionale il numero di pensionati è ancora leggermente inferiore a quello dei lavoratori, ma nel Sud Italia siamo a 7.209.000 contro 6.115.000. Numeri che preoccupano parecchio e che sono stati determinati da una serie di fenomeni, che risultano essere strettamente connessi tra di loro:

  • denatalità;
  • invecchiamento della popolazione;
  • presenza dei lavoratori irregolari.

L’incrociarsi e la combinazione di questi tre diversi fattori sta riducendo il numero dei contribuenti attivi. E di conseguenza aumenta il numero dei percettori di misure di welfare. Questi dati sono stati messi in evidenza direttamente dall’Ufficio Studi della Cgia di Mestre1.

Più pensionati che lavoratori al sud Italia

RegioniPensioniOccupatiSaldo
Lombardia3.6924.424+733
Veneto1.8032.145+342
Lazio2.0112.321+310
Emilia-Romagna1.7942.001+208
Toscana1.4811.618+137
Trentino-Alto Adige375506+132
Piemonte1.7321.785+54
Friuli-Venezia Giulia506521+14
Valle d’Aosta5055+5
Marche653639-14
Molise123103-20
Basilicata215189-27
Abruzzo516483-33
Liguria659616-43
Umbria401352-48
Sardegna649566-83
Campania1.8171.641-175
Calabria755529-226
Puglia1.4931.267-227
Sicilia1.6401.337-303
ITALIA22.77223.099+327

In Italia, a livello nazionale, il rapporto tra pensionati e lavoratori è uno ad uno. Ma nel Sud Italia ci sono più persone che percepiscono un assegno previdenziale rispetto a quelle attive. Complessivamente, nel nostro paese ci sono:

  • 22.772.000 pensionati;
  • 23.009.000 lavoratori.

I numeri iniziano ad essere un po’ differenti se si va a guardare nel Sud Italia, dove troviamo:

  • 7.209.000 pensionati;
  • 6.115.000 lavoratori.

Come abbiamo anticipato, a determinare il calo delle persone attive sul lavoro sono tre diversi fenomeni, che sono tutti strettamente connessi tra di loro: la denatalità, l’invecchiamento della popolazione e una massiccia presenza di lavoratori irregolari.

È possibile, in qualche modo, andare a riequilibrare il sistema? Secondo la Cgia di Mestre delle soluzioni che possano fare dei miracoli non esistono. E, se ci fossero, i primi risultati li potremmo vedere non prima di una ventina d’anni, se non venticinque.

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Come invertire l’andamento dei dati

Diminuiscono i giovani ed aumentano i pensionati: un trend che può essere invertito, comunque vada, in tempi medio lunghi. È possibile farlo allargando la base occupazionale. Secondo la Cgia di Mestre si potrebbe fare cercando di portare a galla parte dei lavoratori invisibili che in questo momento sono presenti in Italia.

Sono principalmente le persone che hanno un’occupazione in nero. Secondo i dati Istat sarebbero almeno tre milioni le persone che quotidianamente vanno a lavorare nelle fabbriche, nei campi e nelle abitazioni, ma sono completamente ed interamente irregolari2.

Ma non solo. Di particolare utilità sarebbe incentivare ulteriormente l’ingresso delle donne nel mercato del lavoro. L’Italia, in Europa, è il fanalino di coda per quanto riguarda il tasso di occupazione femminile, che è pari al 50% circa.

È importante, inoltre, rafforzare le politiche che possano incentivare la crescita demografica, tra cui rientrano gli aiuti alle giovani mamme e alle famiglie. Secondo la Cgia di Mestre è importante, inoltre, innalzare il livello di istruzione della forza lavoro. Purtroppo in Italia è uno dei più bassi in tutta l’Unione europea.

Nel caso in cui queste soluzioni se non dovessero essere adottate al più presto, nella speranza che diano i risultati sperati, tra qualche decennio la previdenza e la sanità rischiano di implodere.

Tre milioni di lavoratori da sostituire entro il 2027

Il tempo, però, sembrerebbe non essere proprio dalla nostra parte. Dando uno sguardo alle statistiche demografiche e occupazionali, le tendenze che ne vengono fuori risultano essere a dir poco preoccupanti.

Da oggi fino al prossimo 2027 il mercato richiede poco meno di tre milioni di lavoratori, che dovranno sostituire chi andrà in pensione. Nel corso dei prossimi cinque anni, almeno il 12% degli addetti lascerà il proprio posto di lavoro per sopraggiunti limiti di età.

I giovani che li dovrebbero sostituire sono sempre meno: un vero e proprio problema per gli imprenditori. Secondo la Cgia di Mestre nell’arco degli ultimi cinque anni la popolazione in età lavorativa, che è quella in età compresa tra i 15 ed i 64 anni, è calata di 755 unità. Solo e soltanto nel 2022 il numero dei lavoratori è sceso di 133 mila unità.

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Quali sono i settori a rischio

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Con una popolazione sempre più anziana in Italia, nel corso dei prossimi anni, si correrà il rischio di non riuscire più a far quadrare i conti pubblici. A pesare sulle tasche dello Stato saranno principalmente gli aumenti delle seguenti spese:

  • sanitaria;
  • pensionistica;
  • farmaceutica;
  • di assistenza alle persone.

Una popolazione composta principalmente da persone con più di 65 anni può avere dei pesanti contraccolpi negativi in alcuni settori. La propensione alla spesa è infatti più contenuta rispetto a quella dei giovani. Una società che gradualmente sarà sempre più composta da anziani potrebbe arrivare a ridimensionare il giro d’affari, con forti penalizzazioni, dei seguenti mercati:

  • immobiliare;
  • trasporti;
  • moda;
  • settore ricettivo.

A beneficiarne, invece, potrebbero essere le banche, dato che le persone anziane sono più propense a risparmiare.

Lavoratori e pensionati a livello territoriale

Nel rapporto tra lavoratori e pensionati, a livello provinciale, la città più virtuosa in Italia è Milano, dove il saldo è positivo di 342 mila unità a favore dei lavoratori. Seguono:

  • Roma: +326 mila;
  • Brescia: +107 mila;
  • Bergamo: +90 mila;
  • Bolzano: +87 mila;
  • Verona: +86 mila;
  • Firenze: +77 mila.

Le situazioni più squilibrate, invece, si registrano a:

  • Palermo: -74 mila;
  • Reggio Calabria: -85 mila;
  • Messina: -87 mila;
  • Napoli: -92 mila;
  • Lecce: -97 mila.

Pensionati e lavoratori – Domande frequenti

Perché stanno aumentando i pensionati e diminuendo i lavoratori?

Sono tre i fattori che determinano questa situazione: la denatalità, l’invecchiamento della popolazione e i lavoratori irregolari. Scopri qui tutti i dati.

Quali azioni si potrebbero intraprendere per modificare le proporzioni tra pensionati e lavoratori?

Una ricetta magica non c’è. E comunque per vederne i risultati è necessario attendere almeno 20 anni. Quello che si può far nell’immediato è far emergere i lavoratori in nero ed incentivare l’impiego delle donne.

Quali sono le conseguenze della riduzione del numero dei lavoratori?

Le conseguenze più importanti, nel futuro, si faranno sentire sulle pensioni e sul welfare. Ad un certo punto lo Stato potrebbe non avere le risorse sufficienti per coprire le spese.

  1. Al sud il sorpasso: più pensioni che lavoratori, news del 18 novembre 2023, Ufficio Studi CGIA di Mestre, cgiamestre.com ↩︎
  2. Report “L’economia non osservata nei conti nazionali”, istat.it ↩︎
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Pierpaolo Molinengo

Giornalista

Ho una laurea in materie letterarie. Ho iniziato ad occuparmi di Economia fin dal 2002, concentrandomi dapprima sul mercato immobiliare, sul fisco e i mutui, per poi allargare i miei interessi ai mercati emergenti ed ai rapporti Usa-Russia. Scrivo di attualità, tasse, diritto, economia e finanza.

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