Crisi editoria in Italia, i giornali più letti online e come l’AI di Google sta cambiando l’informazione

Prima AI Overviews, ora AI Mode. Google riduce il traffico sui siti d'informazione: le possibili soluzioni e ChatGPT Atlas.

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Crisi editoria in Italia intelligenza artificiali

Sfiducia negli organi di informazione, fake news e post verità. Una soglia dell’attenzione che si riduce drasticamente, ma anche un’ossessione per la semplificazione e banalizzazione estrema. Questo è ciò che caratterizza ormai il nostro approccio ai fatti. L’era digitale ha modificato profondamente il nostro modo di fruire dell’informazione ma alla base della crisi dell’editoria in Italia, in particolare di carta stampata e siti web, ci sono dinamiche molto complesse: un mix letale di fattori che include anche l’intelligenza artificiale e che Partitaiva.it ha cercato di analizzare punto per punto grazie al contributo di esperti del settore.

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Crisi editoria e carta stampata in Italia: vendite giornali cartacei -29,5% rispetto al 2021 

Chi legge ancora i giornali cartacei? A leggerli, purtroppo, sono rimasti in pochi. La carta stampata, in effetti, non se la passa bene già da un po’. Da tempo ne viene preannunciata la morte definitiva eppure, al momento, gli unici funerali celebrati sono stati quelli delle edicole che hanno chiuso battenti proprio in conseguenza di un calo drastico delle vendite. 

L’editoria è in crisi: a confermarlo è anche l’ultimo rapporto pubblicato da Agcom ad agosto e aggiornato al primo trimestre 2025. “Le copie – si legge nel Rapporto – complessivamente vendute in formato cartaceo pari a 95 milioni (1,2 milioni di copie giornaliere) si sono ridotte su base annua dell’8% (risultavano 103 milioni nei primi tre mesi del 2024) e del 31,6% rispetto al primo trimestre del 2021 quando ne venivano vendute complessivamente 138 milioni di copie (con una media giornaliera di circa 1,7 milioni di copie nel corso del medesimo periodo)”. Il dato relativo al numero di lettori che diminuiscono stride con il flusso crescente di notizie che spesso travolgono e mettono in difficoltà persino gli addetti ai lavori.

giornalista Salvo Fleres

“Ecco perché i giornali cartacei non spariranno”

“La crisi dell’editoria stampata non può essere attribuita esclusivamente alla digitalizzazione, anche se questa ha avuto un innegabile ruolo fondamentale”. A dirlo è il giornalista Salvo Fleres che a Partitaiva.it spiega come “la diffusione di internet e dei dispositivi digitali abbia cambiato radicalmente il modo in cui le persone accedono alle informazioni, privilegiando contenuti immediati, gratuiti e facilmente condivisibili, anche se non sempre complessivamente verificabili”. 

Tuttavia, altri fattori hanno contribuito alla difficoltà del settore, Fleres ci dice quali: “Il cambiamento delle abitudini di consumo, con una preferenza crescente per formati più sintetici e multimediali; la diminuzione degli investimenti pubblicitari tradizionali, spostati verso il digitale; la concorrenza di nuovi modelli di comunicazione e intrattenimento. E, infine, la crisi economica globale che ha ridotto il potere d’acquisto dei lettori e i budget editoriali”. In sintesi, la digitalizzazione è stata l’elemento chiave, “ma non può non essere inserita in un contesto più ampio di trasformazioni socio-economiche e culturali”, aggiunge il giornalista.

Giornali cartacei, una questione di “credibilità” dell’informazione

Non solo l’annunciata morte dei giornali cartacei non c’è stata (ciò anche grazie ai fondi pubblici di sostegno del settore). A sopravvivere è anche la percezione da parte del cittadino comune del quotidiano cartaceo quale “presidio” di credibilità e di qualità dell’informazione. “La carta stampata resiste – spiega – anche perché è percepita come un presidio di credibilità e autorevolezza rispetto al web, che spesso è associato a informazioni rapide ma meno controllate. Molti lettori apprezzano la profondità e l’approfondimento che il formato cartaceo di solito continua ad offrire, ma gradiscono anche l’esperienza tattile e sensoriale della lettura su carta. Inoltre, l’informazione online, pur dominante, soprattutto in alcuni ambiti, a volte viene vista come di qualità inferiore, aumentando il valore percepito del cartaceo”. 

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Giornali online più letti in Italia: i numeri

“Con riferimento all’andamento delle audience dei siti e applicazioni di informazione generalista – si legge ancora nel rapporto Agcom – lo scorso marzo si sono registrati 37 milioni e 462 mila utenti unici, con una contrazione del 0,1% (-25 mila visitatori) rispetto a marzo 2024. Specificamente, con circa 31 milioni e 581 mila utenti unici, quello de La Repubblica è risultato il sito (e relative applicazioni) maggiormente frequentato (+11,8% rispetto al traffico raggiunto a marzo 2024), seguito da Corriere della Sera (28 milioni e 890 mila utenti, -1,4%) e il Messaggero (21 milioni e 783 mila internauti, +3,4%)”.

I lettori non comprano più i quotidiani cartacei, ma chi opta per l’informazione on line, si orienta sempre e comunque verso “brand” cartacei. Non bisogna trascurare però il fatto che, per restare competitiva, la carta stampata debba integrarsi con il digitale e puntare su contenuti esclusivi e approfonditi. “Personalmente – conclude Fleres – ritengo che la sinergia tra i due sistemi, ma anche con il mezzo radio-televisivo, sembra la chiave per il futuro dell’editoria”.

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Le conseguenze di AI Overviews e AI Mode di Google sull’informazione

Concorrenza sleale di Google ai siti di informazione, questa l’accusa mossa dagli editori ad AI Overviews di Google. Gli associati alla Fieg (Federazione Italiana Editori Giornali) hanno presentato un reclamo formale al Garante delle comunicazioni, l’Agcom, in qualità di coordinatore nazionale dei servizi digitali. Rispetto a questo servizio, viene chiesta alla Commissione Ue l’apertura di un procedimento ai sensi del regolamento Dsa (Digital Services Act). 

“Con l’introduzione di AI Overviews in Italia – scrive in una nota la Fieg – e più di recente della sua funzione AI Mode, Google violerebbe alcune disposizioni fondamentali del Dsa con effetti pregiudizievoli sugli utenti, i consumatori e le imprese italiane”. Nella nota tecnica allegata al ricorso, la Fieg spiega che Google si configura ormai come un traffic killer. In sostanza, “Google sta anteponendo le sue risposte” alle interrogazioni degli utenti “integrandole direttamente nell’elenco dei risultati”.

Chi naviga in rete, dunque, non viene più indirizzato sulle fonti originali (i siti degli editori) perché la risposta che sta cercando la ottiene dall’intelligenza artificiale. Il problema è globale, non solo italiano. La riscrittura delle regole della comunicazione e del marketing digitale sta facendo perdere progressivamente click ai siti web di tutto il mondo. Questo comporta cali visibili e cospicui in termini di introiti pubblicitari, di visualizzazioni e, dunque, di fatturato. Anche perché con la funzione AI Mode, un pulsante interno al motore di ricerca – sistemato a destra della barra di Google – i link vengono messi a lato, mentre tutta la pagina centrale è dedicata alla risposta dell’AI.

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Crisi dell’editoria, le tutele del DDL sull’IA in Italia: i limiti

Il DDL italiano sull’intelligenza artificiale può davvero proteggere gli editori? Secondo Giovanna Panucci, esperta in Privacy e Protezione dei dati personali, la risposta è complessa. “Se parliamo di tutela specifica per gli editori – dice a Partitaiva.it – la legge n. 132/2025, in vigore dal 10 ottobre, mostra dei limiti”. Certo, ci sono principi fondamentali – trasparenza, responsabilità, centralità dell’uomo – e sette deleghe al Governo per nuovi decreti entro dodici mesi.

Una delle più rilevanti riguarda proprio la gestione dei dati e degli algoritmi usati per addestrare l’IA, con particolare attenzione al diritto d’autore. È stato modificato l’articolo 70-septies della legge sul diritto d’autore. Ora chi usa opere protette per allenare modelli generativi deve essere trasparente e gli autori possono opporsi tramite meccanismi di opt-out.

“Questi strumenti sono importanti – prosegue – ma non risolvono il problema: il fatto che Google usi contenuti editoriali per generare risposte che sostituiscono la visita ai siti originali. Nel DDL non ci sono meccanismi di equo compenso specifici per questo tipo di utilizzo, né strumenti diretti per riequilibrare il rapporto tra piattaforme ed editori. L’efficacia dipenderà molto da come verranno scritti e applicati i decreti attuativi, e da quanto le autorità competenti come l’Agenzia per la cybersicurezza nazionale e AgID riusciranno a vigilare in modo efficace”.

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La necessità di un intervento europeo per arginare Google e l’AI

A questo punto entra in gioco il livello europeo, che secondo Panucci è cruciale. “L’AI Act – osserva l’avvocata – insieme al Digital services act (DSA) e al Digital markets act (DMA), offre un quadro normativo molto più solido per contrastare le pratiche anticoncorrenziali dei grandi giganti digitali. Il DMA, in particolare, individua i gatekeeper, cioè le piattaforme che controllano l’accesso ai mercati digitali, e impone loro obblighi specifici per garantire condizioni eque. Google è stata designata come gatekeeper, e questo permette alla Commissione europea di intervenire con maggiore forza”.

La trasparenza che manca sui criteri di indicizzazione di AI Overviews

Anche se il DSA non affronta direttamente la questione di AI Overviews, stabilisce principi che, a detta di Panucci, potrebbero essere usati per chiedere più chiarezza su come questi strumenti utilizzano e presentano i contenuti editoriali.

“La vera partita si gioca a livello europeo – ci spiega – solo un’azione coordinata e decisa può fare la differenza contro colossi come Google. Però, e ci tengo a dirlo, l’Italia non deve aspettare che Bruxelles decida per noi. Abbiamo margini di manovra, grazie alla normativa europea, e dobbiamo sfruttarli per sperimentare soluzioni innovative anche qui da noi. Per esempio, potremmo introdurre un sistema di equo compenso per l’uso dei contenuti giornalistici sulle piattaforme, seguendo il modello della direttiva europea sul diritto d’autore nel mercato digitale. E dobbiamo puntare moltissimo sulla trasparenza degli algoritmi: serve che le piattaforme spieghino chiaramente quali criteri usano per scegliere e mostrare i contenuti nei cosiddetti AI Overviews. Solo così possiamo davvero provare a riequilibrare i rapporti e tutelare il lavoro degli editori italiani”.

In più, l’Italia potrebbe essere pioniera nell’utilizzo delle sandbox regolatorie: spazi controllati dove testare nuovi modelli di remunerazione per gli editori, sotto la supervisione delle autorità. “Non è una scelta tra Italia e UE, ma bisogna far lavorare insieme i due livelli, con l’obiettivo comune di proteggere un’informazione di qualità, pluralista e accessibile. Perché, senza un giornalismo sostenibile, non c’è democrazia che tenga”, precisa il legale.

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Come l’AI ha cambiato il rapporto con l’informazione e cosa può fare ChatGPT Atlas

L’avvocato Panucci si sofferma sulle ragioni che stanno dietro a quello che gli studiosi chiamano “information overload” o, più efficacemente, “fatica informativa”. È come stare davanti a un buffet infinito dove la sovrabbondanza di scelte ci paralizza anziché nutrirci. Soluzioni per uscirne? Ci sono. “L’intelligenza artificiale, se utilizzata correttamente e con consapevolezza, potrebbe diventare un alleato prezioso per superare il disorientamento informativo, anziché aggravarlo”, fa sapere.

Il riferimento è a ChatGPT Atlas, il browser lanciato recentemente da OpenAI, che potrebbe segnare un cambio di paradigma nel nostro rapporto con l’informazione online.

“La differenza – prosegue Panucci – è sottile, ma fondamentale: Atlas non è un semplice motore di ricerca che fornisce risposte preconfezionate, come AI Overviews di Google. È un ambiente di lavoro che collabora con l’utente, mantiene il contesto delle ricerche, comprende cosa stai facendo e può agire al tuo posto quando necessario”.

Ma attenzione: questo scenario positivo non si realizzerà automaticamente. Richiede condizioni precise. Panucci ci dice quali: “Primo: trasparenza. Dobbiamo sapere come questi strumenti selezionano e presentano le informazioni, quali criteri utilizzano per valutare l’autorevolezza delle fonti, come gestiscono eventuali conflitti di interesse. Secondo: un modello economico sostenibile che remuneri adeguatamente i produttori di contenuti originali. Terzo: educazione. Dobbiamo formare i cittadini a utilizzare questi strumenti con spirito critico, senza delegare completamente il proprio giudizio”, conclude.

Autore
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Patrizia Penna

Giornalista professionista

Sono nata a Catania, mi sono laureata con lode in Lingue e Culture europee all'Università di Catania. Ho lavorato per quasi vent'anni come redattore al Quotidiano di Sicilia, ho curato contenuti ma anche grafica e impaginazione. Oggi sono una libera professionista. Mi occupo di informazione, uffici stampa e curo sui social media la comunicazione di aziende, anche straniere.

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