Settimana corta: potrebbe arrivare anche in Italia? Le ultime sperimentazioni

Secondo le ultime ricerche la settimana corta porta a numerosi vantaggi. Ecco quali sono le prospettive per l'Italia.

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Settimana corta
  • Il dibattito sulla settimana corta lavorativa è arrivato anche in Italia, tuttavia le sperimentazioni a riguardo vengono effettuate soprattutto in paesi come Spagna, Regno Unito e Portogallo.
  • Uno studio inglese ha confermato quali sono i benefici dell’introduzione della settimana corta per i lavoratori e per il miglioramento delle imprese.
  • La settimana corta consentirebbe di ridurre lo stress dei dipendenti, aumentando anche la produttività aziendale, tuttavia è necessaria una grande organizzazione.

Una ricerca condotta in Portogallo quest’anno ha fatto notizia: si tratta di una sperimentazione su 41 aziende e circa 1.000 lavoratori, con il supporto della no profit 4 Day Week Global. Il progetto aveva l’obiettivo di monitorare i risultati delle imprese e dei lavoratori impiegati solo per 4 giorni alla settimana, senza modifiche ai salari.

Il governo portoghese ha sostenuto questa iniziativa, le aziende vi hanno preso parte in modo volontario e la maggioranza dei dirigenti che ha optato per questo progetto è composta da donne. I risultati hanno rilevato come la produttività non abbia risentito del cambio di paradigma, ma che al contrario i profitti sono aumentati.

Dopo l’esperienza condotta anche in altri paesi, ad esempio nel Regno Unito, si nota come una diminuzione delle ore lavorate possa portare, oltre a indubbie sfide, anche ad un miglioramento generale della produttività e di conseguenza dei ricavi. La settimana corta potrebbe arrivare anche in Italia?

La settimana corta: il progetto in Portogallo

Il progetto condotto in Portogallo mostra come, pur lavorando 4 giorni alla settimana, sia possibile migliorare le performance di un’azienda nel corso del tempo. Questa ricerca ha in generale dato risultati positivi: solamente un’azienda su 41 si è trovata in difficoltà e ha dovuto assumere nuovo personale.

Al termine della sperimentazione, il 93% dei lavoratori ha confermato la propria volontà di continuare a lavorare con numero di ore ridotte, traendone benefici nel tempo. In particolare sono le donne e i lavoratori con figli che apprezzano maggiormente questo cambiamento, avendo più tempo da dedicare alla famiglia.

Ma anche coloro che guadagnano una media inferiore a 1.100 euro al mese si sono dimostrati interessati a questa modalità. Dal punto di vista della gestione aziendale, è necessario un coordinamento e un’organizzazione maggiore per poter rimanere al passo con la produttività, tuttavia solo 4 imprese su 41 hanno deciso di tornare alla settimana lavorativa di 5 giorni.

Risultati incoraggianti anche per questa ricerca quindi, che dimostra che una settimana lavorativa più breve può portare a benefici sia in termini di benessere dei lavoratori che di fatturato per l’impresa.

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Settimana corta: i risultati della ricerca inglese

Un’altra ricerca sulla settimana corta portata avanti dal Regno Unito ha invece coinvolto 61 aziende, ovvero 2900 dipendenti, con 32 ore di lavoro a settimana e l’esperimento è stato un successo. La maggioranza delle aziende coinvolte infatti, a seguito del progetto, ha scelto di continuare ad applicare la settimana corta, dati gli elevati benefici constatati.

I lavoratori hanno riscontrato un minore accumulo di stress, si sono ritenuti maggiormente soddisfatti del proprio lavoro e si sono registrate riduzioni sostanziali dei casi di esaurimento. Ecco alcuni dati derivati dai risultati della ricerca:

  • il 60% dei lavoratori ha dichiarato che la settimana corta permette di conciliare maggiormente vita lavorativa e vita privata, con le responsabilità di casa;
  • il 73% dei lavoratori coinvolti si è ritenuto più soddisfatto del proprio lavoro;
  • il 40% dei lavoratori ha comunicato di dormire meglio;
  • 56 aziende coinvolte su 61 hanno esteso la sperimentazione;
  • 18 aziende su 61 hanno reso la settimana corta permanente nella propria organizzazione.

I dati confermano quindi un sostanziale miglioramento del benessere dei lavoratori, oltre ad una maggiore soddisfazione del lavoro. La settimana corta quindi favorirebbe la riduzione dello stress e la salute dei dipendenti.

La riduzione delle ore di lavoro garantirebbe una maggiore salute per il lavoratore e di conseguenza una diminuzione della richiesta di permessi per malattia. Lo stress collegato al lavoro può infatti portare al lavoratore anche a effetti come burnout o problemi legati alla psiche.

Di conseguenza, le aziende diventerebbero più produttive, per cui dalla ricerca è stato registrato un aumento della produttività, con crescita dei ricavi dell’1,4%. Il riscontro positivo quindi non è solo registrato da parte dei lavoratori, ma anche dalle aziende.

Settimana lavorativa ridotta, in quali paesi si utilizza

Settimana corta ultimi dati

Al momento i paesi che sperimentano la settimana corta stanno aumentando, per cui questa tematica è arrivata anche in Italia: qualcosa inizia a muoversi sulla possibilità di lavorare 4 giorni su 7. Ma in alcuni paesi una settimana lavorativa ridotta di questo tipo esiste già. Vediamo alcuni esempi:

  • Paesi Bassi: qui si lavora circa 30 ore a settimana;
  • Danimarca: in questo paese le ore lavorate settimanalmente sono 37;
  • Germania: qui si lavora circa 35 ore a settimana;
  • Norvegia: le ore lavorative qui sono circa 37 a settimana;
  • Irlanda: si lavora circa 36 ore a settimana;
  • Austria: le ore settimanali di lavoro sono circa 36.

Questi sono gli stati in cui si lavora meno ore alla settimana, tuttavia ci sono anche paesi in cui il lavoro occupa molte più ore settimanali. Per esempio in Grecia si lavora 41,70 ore alla settimana. Dove è collocata l’Italia, in questo scenario?

Attualmente, secondo i dati Eurostat aggiornati al 20221, in Italia si lavora circa 37 ore settimanali, facendo una media tra tutti i lavoratori. Bisogna tenere conto che in Italia comunque i contratti collettivi indicano la settimana lavorativa come composta da 40 ore di lavoro settimanali, tuttavia in alcuni settori queste regole possono variare anche di molto.

Va tenuto presente che nel nostro paese, come accade in altri stati europei, il monte ore settimanale rimane ancora indicativo, poiché molti lavoratori svolgono ore straordinarie in aggiunta a quelle standard. Su questo aspetto l’Italia si classifica tra i primi posti, dopo Malta, Francia, Irlanda e Austria.

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Settimana corta in Italia: le ipotesi

Molti si chiedono se la settimana corta arriverà anche in Italia. Il primo a prendere in considerazione l’idea è stato il segretario Fim Cisl, Roberto Benaglia, che proprio in merito alla ricerca condotta in Regno Unito si è espresso in modo positivo per l’Italia.

Il legame tra benessere dei lavoratori e produttività delle imprese sarebbe sempre più stretto e anche in Italia vi è una necessità concreta di regolare la quantità di ore di lavoro settimanale. Il tema non è nuovo, poiché era già emerso con l’arrivo della pandemia, in un momento di profonda crisi non solo economica e legata alla salute, ma anche di tipo sociale e con conseguenze psicologiche rilevanti.

Alcuni sindacati avevano già portato in luce l’argomento, anche se ancora non si sono visti provvedimenti specifici per l’Italia. Una ipotesi che era già stata discussa era quella di ridurre l’orario di lavoro ad un quinto per occupare il lavoratore nella formazione in questo tempo o in altre attività collaterali al lavoro.

Una riduzione della settimana lavorativa quindi favorirebbe un maggiore benessere generale per i lavoratori e per le imprese, tuttavia siamo ancora lontani dall’introduzione di vere e proprie regole su questo punto.

In altre direzioni invece si sono mossi i governi per regolamentare maggiormente il lavoro, e per garantire alcune tutele ai lavoratori. Ti può interessare anche: “Trasparenza dei contratti di lavoro“.

Settimana corta in Italia: alcune aziende hanno detto sì

Settimana corta in Italia

Anche se a livello generale non vi sono ancora regole precise sull’adozione della settimana corta, alcune imprese hanno comunque avviato un processo di trasformazione in questa direzione, valutando positivamente questa scelta.

Andiamo a vedere nel dettaglio quali sono le prospettive concrete per la settimana corta in Italia. Al momento un cambiamento è già in atto, grazie principalmente allo smart working e alla flessibilità del lavoro, soprattutto se svolto per obiettivi.

Per fare un esempio concreto di riduzione delle ore lavorative, in Italia sono principalmente le banche a vedere in positivo questo cambiamento. Banca Intesa Sanpaolo ha deciso di applicare maggiormente lo smart working e adottare la settimana corta, tramite accordi individuali con i lavoratori. La decisione quindi è volontaria per i lavoratori e non viene modificata la retribuzione.

Anche se sul territorio le aziende che scelgono la settimana corta sono ancora poche, tuttavia la sperimentazione in qualche modo è giunta anche nel nostro paese.

Con l’arrivo dello smart working è sempre più attuale la necessità di ridefinire modalità e orari di lavoro, per cui secondo le ipotesi non manca molto affinché la questione venga presa in considerazione da molte più aziende sul territorio.

Settimana corta – Domande frequenti

Cos’è la settimana corta?

Per settimana corta si intende una settimana lavorativa in cui i dipendenti lavorano 4 giorni su 7. Recentemente è stata sperimentata in Portogallo e Regno Unito con importanti risultati.

Dove viene applicata la settimana corta?

In Europa i paesi in cui si lavora meno sono Paesi Bassi e Danimarca, per cui si lavora dalle 30 alle 37 ore settimanali. Molti stati stanno sperimentando la settimana corta.

Quante ore si lavora a settimana in Italia?

In Italia i contratti collettivi nazionali sono di 40 ore, tuttavia in base ai settori possono esserci modifiche sostanziali. Mediamente rispetto agli altri paesi UE si lavora 37 ore a settimana, tuttavia l’Italia è uno dei paesi in cui si fanno più straordinari.

  1. Long working hours in main job by sex, age, professional status and occupation“, ec.europa.eu ↩︎
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Valeria Oggero

Giornalista

Giornalista pubblicista, laureata in Scienze della Comunicazione all'Università degli Studi di Torino, da sempre sono appassionata di scrittura. Dopo alcune esperienze all'estero, ho deciso di approfondire tematiche inerenti la fiscalità nazionale relativa alle persone fisiche ed alle Partite Iva. La curiosità mi ha portato a collaborare con agenzie web e testate e a conoscere realtà anche diversissime tra loro, lavorando come copywriter e editor freelancer.

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