Partita Iva estera: si può lavorare in Italia?

Essere titolare della Partita Iva estera preclude la possibilità di lavorare in Italia? La risposta è: no, ma entro alcuni limiti e rispettando determinate condizioni. Leggi quali sono i rischi e le modalità per lavorare legalmente in Italia con Partita Iva estera.

di Ilenia Albanese

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Partita Iva estera
  • Lavorare in Italia con una Partita Iva estera è consentito purché vengano pagate le imposte sia in Italia che all’estero.
  • È possibile aprire liberamente una Partita Iva nei Paesi UE per il principio di libertà di stabilimento, mentre per i Paesi extra-UE i singoli Stati prevedono requisiti differenti.
  • Le imprese con Partita Iva estera che lavorano abitualmente in Italia solitamente configurano una stabile organizzazione, o branch.

Oggi sempre più professionisti e imprese decidono di trasferirsi all’estero e aprire una Partita Iva estera, ma con questa si può lavorare in Italia? Avere la libertà di lavorare all’estero non solo dà la possibilità di crescere professionalmente, ma può essere anche conveniente.

Per questo motivo negli ultimi anni si è sviluppata la tendenza dei “nomadi digitali”, oltre a trasferire la residenza all’estero. Ciò è possibile grazie allo sviluppo di business digitali che permettono di lavorare ovunque nel mondo.

Questo è solo uno dei tanti casi in cui un professionista decide di trasferirsi all’estero e avviare un’attività. Ma quali sono i limiti da rispettare? È possibile lavorare in Italia con una Partita Iva estera? La risposta breve a quest’ultima domanda è sì, è consentito, ma rispettando alcune condizioni. Infatti, se non si rispettano tali condizioni i rischi sono piuttosto elevati.

Partita Iva estera: come si apre?

Con una Partita Iva italiana è possibile lavorare all’estero, ma con una estera si può lavorare in Italia? Come abbiamo anticipato, questo è possibile, ma facendo un passo indietro viene da chiedersi come fare per aprire la Partita Iva all’estero.

Per fare ciò è necessario fare una distinzione tra apertura della Partita Iva in uno Stato membro dell’Unione Europea e uno Stato extra UE.

Nel primo caso vale il principio di libertà di stabilimento, secondo l’articolo 49 del Trattato della Comunità Europea, che recita:

“La libertà di stabilimento importa l’accesso alle attività autonome e al loro esercizio, nonché la costituzione e la gestione di imprese e in particolare di società ai sensi dell’articolo 54, secondo comma, alle condizioni definite dalla legislazione del paese di stabilimento nei confronti dei propri cittadini, fatte salve le disposizioni del capo relativo ai capitali.”

Di conseguenza, un cittadino UE è libero di aprire la Partita Iva in qualsiasi Stato membro dell’UE senza particolari restrizioni. Invece, per aprire la Partita Iva in un Paese extra-UE deve rispettare i requisiti previsti dal Paese in questione.

Tuttavia, l’imprenditore non dovrà limitarsi ad avviare la nuova attività in un Paese straniero, ma dovrà anche trasferire all’estero la sua residenza fiscale personale.

Inoltre, per aprire la Partita Iva all’estero è importante rivolgersi ad un commercialista nel Paese in cui si intende operare. L’apertura della Partita Iva all’estero comporta, tuttavia, proprio come in Italia, una serie di adempimenti burocratici, come ad esempio:

  • ottenimento del numero di partita IVA per operare in altri Paesi;
  • dichiarazioni IVA periodiche in base alle scadenze stabilite nel Paese di riferimento;
  • dichiarazioni Intrastat;
  • tenuta del registro delle vendite comunitarie;
  • dichiarazioni locali come lo Spesometro in Italia e altri adempimenti richiesti dal Paese estero.
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Come funziona lavorare in Italia con Partita Iva estera

Secondo quanto stabilito dal del D.P.R. n. 917/86 (T.U.I.R.), l’imprenditore residente in Italia che percepisce utili da società estera è tassabile in Italia, ad eccezione delle imposte già versate all’estero e gli accordi internazionali per evitare la doppia imposizione.

Invece, per quanto riguarda le attività svolte all’estero ma con interessi commerciali anche in Italia, è necessario verificare se questi abbia o meno una stabile organizzazione in Italia.

Infatti, generalmente quando si lavora in Italia con partita Iva estera si costituisce una stabile organizzazione. La stabile organizzazione è considerata una sede fissa, una succursale di un’impresa non residente con cui esercita la sua attività in uno Stato estero.

Un cantiere di costruzione o l’esercizio di attività di supervisione è considerato stabile organizzazione se tale cantiere o tale attività ha una durata superiore a tre mesi.

Tuttavia, una sede fissa di affari non viene considerata stabile organizzazione nei seguenti casi:

  • viene utilizzata una sede solo come deposito, esposizione o sede per la consegna di beni dell’impresa;
  • i beni o le merci sono immagazzinati ai soli fini della trasformazione da parte di un’altra impresa;
  • una sede fissa è utilizzata solo per acquistare beni o merci o raccogliere informazioni per l’impresa;
  • la sede è utilizzata per svolgere, per l’impresa, qualsiasi altra attività di carattere preparatorio o ausiliario.

La stabile organizzazione può essere di due tipologie:

  • materiale;
  • personale.

La stabile organizzazione di tipo materiale è un complesso di strutture materiali finalizzate all’attività economica controllata dalla casa madre. Invece, per quella personale, il soggetto residente o non residente agisce in nome dell’azienda.

Partita Iva estera: tassazione

Il professionista o l’imprenditore non residente in Italia, ma che qui esercita un’attività professionale deve verificare:

  • se vi sono convenzioni contro le doppie imposizioni tra l’Italia e il Paese di residenza e versare una ritenuta fiscale del 30% in Italia, ossia il Paese in cui svolge la prestazione;
  • la configurazione della base fissa per cui, se specificato nella convenzione contro le doppie imposizioni, il professionista versa le tasse in Italia se qui ha stabilito una base fissa (ufficio) e applica la ritenuta del 30% documentando quali sono i redditi che derivano dall’ufficio presente in Italia.

Di conseguenza, se l’attività professionale di un residente all’estero è svolta in maniera soltanto occasionale in Italia, bisognerà versare le tasse soltanto nel Paese di residenza del professionista. Negli altri casi, invece, le prestazioni del professionista residente all’estero è soggetta a tassazione italiana.

Se il professionista lavora in Italia e ha residenza in Italia ma lavora con Partita Iva estera, i principali rischi sono l’esterovestizione e la stabile organizzazione occulta.

Applicazione Iva nell’Unione Europea

Bisogna considerare che se un soggetto passivo Iva italiano vende beni ad un consumatore finale di un Paese membro, si applica l’Iva italiana, purché l’importo annuo non sia superiore a 100.000 euro.

Se, al contrario, il soggetto supera tale importo, è tenuto ad applicare l’Iva del Paese UE e adempiendo agli obblighi contributivi e previdenziali previsti nel Paese di riferimento. Ogni Paese europeo ha una soglia delle vendite complessive annuali differente. Tali soglie sono:

  • Austria: 35.000 euro;
  • Belgio: 35.000 euro;
  • Cipro: 35.000 euro;
  • Croazia: 270.000 HRK;
  • Danimarca: 280.000 DKK;
  • Estonia: 35.000 euro;
  • Finlandia: 35.000 euro;
  • Francia: 35.000 euro;
  • Germania: 35.000 euro;
  • Irlanda: 35.000 euro;
  • Italia: 35.000 euro;
  • Lettonia: 35.000 euro
  • Liechtenstein: Non si applicano le regole sull’Iva;
  • Lituania: 35.000 euro;
  • Lussemburgo: 100.000 euro;
  • Malta: 35.000 euro;
  • Paesi Bassi: 100.000 euro;
  • Polonia: 160.000 PLN;
  • Portogallo: 35.000 euro;
  • Regno Unito: 70.000 GBP;
  • Rep. Ceca: 1.140.000 CZK;
  • Romania: 35.000 euro;
  • Slovacchia: 35.000 euro;
  • Spagna: 35.000 euro;
  • Svezia: 310.000 SEK.
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Lavoro in Italia con Partita Iva estera: i rischi

Il rischio di avere una Partita Iva estera e operare in Italia senza darne le dovute comunicazioni all’Amministrazione finanziaria può portare ad alcuni rischi.

I principali rischi sono:

  • esterovestizione: la fittizia localizzazione della residenza fiscale all’estero di un’attività che opera in Italia;
  • stabile organizzazione occulta: un’attività estera che opera in Italia con un’organizzazione sottodimensionata non dichiarata al Fisco.

Il rischio, quindi, è quello di ricevere l’accusa di evasione fiscale che porta ad un avviso di accertamento da parte dell’Agenzia delle Entrate. Le sanzioni, poi, possono andare dal 120% al 240% dell’imposta dovuta e non versata.

Lavorare in Italia con Partita Iva estera: le condizioni

Per operare legalmente in Italia con una Partita Iva estera è necessario che si verifichino alcune condizioni:

  • le decisioni sull’amministrazione della società non devono essere prese in Italia;
  • il personale italiano non deve avere il potere di concludere contratti per conto dell’impresa;
  • non deve configurare una stabile organizzazione in Italia.

Invece, in caso in cui l’azienda operi in Italia come stabile organizzazione, questa sarà tenuta a pagare le imposte in Italia.

Partita Iva estera –  Domande frequenti

Con la Partita Iva estera si può lavorare in Italia?

Secondo il nostro ordinamento è possibile lavorare in Italia con una Partita Iva estera a condizione che si paghino le imposte sia in Italia che all’estero. Scopri i limiti da rispettare.

Come si apre una Partita Iva all’estero?

All’interno dell’Unione Europea, per il principio di libertà di stabilimento, i cittadini sono liberi di aprire la Partita Iva in uno Stato membro. Per i Paesi extra-UE bisogna verificare i requisiti richiesti dal singolo Stato.

Quali sono i rischi di vivere e lavorare in Italia con Partita Iva estera?

Un professionista che vive e lavora in Italia ma con Partita Iva estera rischia l’esterovestizione e la stabile organizzazione occulta. Leggi cosa sono e come evitare questi rischi.

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Ilenia Albanese

Esperta di finanza personale e lavoro digitale

Copywriter specializzata nel settore della finanza personale, con esperienza pluriennale nella creazione di contenuti per aiutare i consumatori e i risparmiatori a gestire le proprie finanze.

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