Referendum riforma giustizia, perché votare NO (nonostante la necessità di “separazione delle carriere”)

Non si sceglie "a sorte" nemmeno un amministratore di condominio, ma il Governo vorrebbe applicare questo metodo per selezionare i membri del Csm.

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Il referendum confermativo sulla riforma della giustizia, che si terrà nella primavera del 2026, rappresenterà uno spartiacque per il sistema giudiziario italiano. Approvata dal parlamento il 30 ottobre 2025 con 112 voti favorevoli al Senato, la riforma costituzionale voluta dal ministro Carlo Nordio prevede la separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri, la creazione di due distinti Consigli superiori della magistratura e l’introduzione del sorteggio per i componenti dei nuovi organi.

Al di là delle statistiche, nessuno vorrebbe – e dovrebbe – trovarsi imputato in due procedimenti diversi, incontrando lo stesso magistrato, una volta nei panni del giudice e un’altra in quelli di pubblico ministero. Si tratta di una questione di garanzie processuali. Eppure, il voto al referendum dovrebbe essere “no”. Perché questa riforma costituzionale non risolve il problema dichiarato e ne genera di altri, ben più pericolosi. E perché c’è una confusione nei termini utilizzati: separare le carriere non significa soltanto evitare il passaggio tra funzioni.

Riforma della giustizia, il problema del passaggio tra funzioni risolto dalla riforma Cartabia

La riforma Cartabia del 2022 ha già “messo una pezza” e ovviato al passaggio tra funzioni giudiziarie: i magistrati possono cambiare carriera una sola volta e solo nei primi dieci anni di servizio. I dati, tra l’altro, confermano che chi passa da giudice a pm (o viceversa) rappresenta una percentuale minima, appena sopra lo 0%. Il problema che si dice di voler risolvere, dunque, è stato già affrontato con una norma ordinaria, senza la necessità di modificare la nostra Costituzione e lasciando intatti i criteri d’accesso in magistratura.

Insomma, ancora giudici e pubblici ministeri in Italia sono magistrati e vengono reclutati tramite un concorso unico. D’altronde, pur svolgendo funzioni diverse, hanno lo stesso scopo e necessitano di uguali competenze. Quando vincono il concorso, possono scegliere, in funzione dei posti disponibili, la funzione da assolvere.

Separazione delle carriere dei magistrati: indebolimento della giurisdizione

La separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri, invece, è una questione diversa. Non rafforza l’indipendenza della magistratura italiana, piuttosto la indebolisce. L’unitarietà della giurisdizione costituisce il principio su cui si fonda l’autonomia del potere giudiziario rispetto agli altri poteri dello Stato: Montesquieu docet.

Nel 1748, ne Lo spirito delle leggi, il filosofo francese teorizzò la separazione dei tre poteri – legislativo, esecutivo e giudiziario – come fondamento della libertà dei cittadini. “Chiunque abbia potere è portato ad abusarne; egli arriva sin dove non trova limiti. Perché non si possa abusare del potere occorre che il potere arresti il potere”, sosteneva.

Montesquieu avvertiva che “non vi è libertà se il potere giudiziario non è separato dal potere legislativo e da quello esecutivo”. La sua teoria non prevedeva di certo la frammentazione interna della magistratura, al contrario sosteneva l’indipendenza del potere giudiziario nel suo complesso dagli altri poteri dello Stato. Una lezione accolta dalla nostra Costituzione che, all’articolo 104, stabilisce l’ordine autonomo e indipendente della magistratura da ogni altro potere. Un principio pensato per evitare le prevaricazioni del potere esecutivo sulla giustizia, già sperimentate durante il ventennio fascista.

L’obiettivo della nuova riforma della giustizia, invece, è avere due corpi separati, due Csm distinti. Questo si traduce in due entità più vulnerabili, più facilmente isolabili e più esposte a pressioni esterne: i pubblici ministeri, separati dai giudici e privi della forza derivante dall’appartenenza a un unico ordine, potrebbero diventare un bersaglio più accessibile per le interferenze politiche.

Sorteggio membri del Csm, quando la casualità sostituisce la responsabilità

Un altro aspetto critico della riforma costituzionale della giustizia riguarda l’introduzione del sorteggio per i componenti dei Csm e della nuova Alta Corte disciplinare. Il sorteggio non garantisce né trasparenza, né meritocrazia, rappresenta piuttosto un’abdicazione alla responsabilità democratica.

Non viene usato nemmeno per amministrare un condominio o rappresentare gli studenti di una scuola. Perché chi viene estratto a sorte non ha scelto il proprio ruolo, non si è candidato, non ha ricevuto un mandato elettorale. Un magistrato sorteggiato può trovarsi a ricoprire funzioni delicate senza desiderarlo, senza il sostegno dei colleghi, esposto a pressioni o intimidazioni. La democrazia costituzionale si regge sulla responsabilità delle scelte, non sul fato.

Costi della riforma della giustizia: più organi, più burocrazia e nessun beneficio concreto

Nel 2020 il referendum costituzionale ha ridotto il numero dei parlamentari per contenere i costi e snellire le procedure. Ora la riforma Nordio pare percorrere la strada opposta, proponendo di moltiplicare gli organi: due CSM distinti e un’Alta Corte disciplinare. Difficile pensare che questo non comporti un aumento dei costi pubblici, della burocrazia e dei conflitti interni tra magistrati.

In barba alle aspettative dei cittadini sulla tanto attesa riforma, i problemi atavici della giustizia italiana rimarranno irrisolti: carenza di magistrati e personale amministrativo, arretrato processuale, strutture obsolete, lentezza che nega il diritto costituzionale alla giustizia.

Referendum giustizia 2026, una riforma nata dallo scontro politico

La riforma della giustizia nasce, di fatto, da una contesa politica che dura da decenni. Dal caso Craxi al caso Berlusconi, dalle recenti sentenze della Corte costituzionale sull’autonomia differenziata alle decisioni sul piano Albania, il meccanismo si ripete: quando la magistratura applica la legge in modo sgradito al potere politico, viene accusata di “politicizzazione”. Di recente è accaduto persino per il parere della Corte dei conti sul ponte sullo Stretto. Ma nello scontro tra politica e magistratura, a perdere sono sempre i cittadini onesti e la democrazia.

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Ivana Zimbone

Direttrice responsabile

Direttrice responsabile di Partitaiva.it e della rivista filosofica "Vita Pensata". Giornalista pubblicista, SEO copywriter e consulente di comunicazione, mi sono laureata in Filosofia - con una tesi sul panorama dell'informazione nell'era digitale - e in Filologia moderna. Ho cominciato a muovere i primi passi nel giornalismo nel 2018, lavorando per la carta stampata e l'online. Mi occupo principalmente di inchieste e approfondimenti di economia, impresa, temi sociali e condizione femminile. Nel 2024 ho aperto un blog dedicato alla comunicazione e alle professioni digitali.

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