In Italia, i liberi professionisti del ceto medio, che rappresentano il 20% dei lavoratori indipendenti dell’intera Unione europea, stanno assistendo a un’erosione costante e continua dei propri guadagni. Nonostante molti abbiano deciso di aumentare le tariffe dei servizi resi, nell’ultimo biennio l’inflazione accumulata si è tradotta in una perdita reale media di 2.000 euro annui per circa 1,4 milioni di partite IVA. Il dato emerge dal rapporto sulle libere professioni presentato da Confprofessioni, che ha analizzato anche quali voci di spesa pesano di più e quali le regioni d’Italia dove i margini di guadagno sono sempre più ridotti.
Come l’inflazione sta erodendo i redditi delle partite IVA
L’adeguamento dei compensi, per molte partite IVA in Italia, non ha marciato alla stessa velocità della crescita dei costi di gestione. L‘aumento degli affitti, delle licenze software e delle utenze energetiche ha infatti contribuito a pesare sempre di più sul bilancio d’esercizio. E questa situazione, come emerge dal rapporto Confprofessioni, ha colpito in particolare i liberi professionisti con redditi medi (1,4 milioni in totale) iscritti ad albi o casse previdenziali, cui redditi nel 2025 hanno registrato il minor potere d’acquisto dal 2023.
Non a caso, i dati confermano che c’è stata anche una flessione del numero di nuove aperture di partite IVA tra gli under 35. A fronte dei guadagni sempre più ridotti, soprattutto in una fase di forte volatilità dei prezzi, i giovani preferiscono le tutele del lavoro subordinato, attirati da bonus aziendali, tredicesima e altri incentivi che il lavoro autonomo non riesce a garantire.
Dove si concentra la crisi dei redditi autonomi
La sofferenza economica non è omogenea sul territorio nazionale. Nelle regioni del Nord, in particolare, il fatturato tiene grazie alla connessione con le filiere industriali. In quest’area, il fatturato delle partite IVA è supportato dalla domanda di servizi di tipo B2B (business-to-business). Le imprese, costrette a innovare per competere sui mercati esteri, continuano a investire in consulenza tecnica, legale e informatica. Questo permette ai professionisti di recuperare, almeno parzialmente, quanto eroso dall’inflazione sui propri onorari, mantenendo margini operativi più stabili.
Al Centro e al Sud la contrazione dei consumi delle famiglie ha invece ridotto la domanda di consulenze private. Qui la libera professione è prevalentemente orientata al B2C (business-to-consumer), con i professionisti offrono servizi direttamente a cittadini e famiglie (assistenza legale civile, fiscale, servizi psicologici o architettonici per ristrutturazioni). Con il potere d’acquisto delle famiglie logorato dal caro-prezzi, i cittadini rinviano o rinunciano alle consulenze non urgenti. Il risultato è un calo dei volumi di lavoro che impedisce qualsiasi adeguamento dei tariffari al rialzo.
L’anomalia delle metropoli: il peso dei costi fissi
Un capitolo a parte riguarda le grandi città come Milano e Roma, dove la domanda di lavoro è alta, ma i margini netti vengono erosi da costi di gestione insostenibili. In particolare, gli affitti degli uffici e le spese condominiali sono cresciuti con tassi superiori all’inflazione media, arrivando a pesare per oltre un quarto (25-28%) delle uscite totali di uno studio. Ma anche altri servizi, come quelli di pulizia e gestione, hanno subito rincari a doppia cifra, trasformando i lavoratori in professionisti che incassano parcelle elevate ma trattengono una quota di profitto reale sempre più ridotta.












Redazione
Il team editoriale di Partitaiva.it