È bastato poco per far tramontare l’irrealizzabile promessa elettorale di Matteo Salvini di andare tutti in pensione dopo 41 anni di lavoro: un semplice calcolo. Adesso il governo sta valutando di utilizzare il TFR per consentire l’accesso alla pensione anticipata a 64 anni con 25 anni di contributi. La proposta, che sulla carta sembra quasi un cambio di passo, tenta ancora una volta di tamponare l’emergenza senza affrontare i problemi strutturali. A pagare il dazio maggiore sono i giovani, troppo spesso ingiustamente tacciati di mancanza di volontà e di iniziativa, e le partite IVA.
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Italia Paese di lavoratori “vecchi” e giovani svantaggiati
Dopo una vita di lavoro e di contributi versati, si finisce per vedere slittare continuamente la propria età pensionabile. O per dover restare a lavoro perché l’assegno maturato è insufficiente a una vita dignitosa, considerando anche il crollo dei salari reali.
Non invecchia soltanto la popolazione, ma anche i lavoratori. Il report del Cnel “Demografia e forza lavoro” lo dimostra: l’Italia è il Paese dell’UE che ha lo squilibrio più alto tra le fasce di età degli occupati. E nel secondo trimestre del 2025, sono ben 10 milioni e 94 mila gli italiani over 50 che lavorano regolarmente.
Entro il 2050 il rapporto tra lavoratori attivi e pensionati sarà di 1:1. Quote varie, Opzioni donna e altri rattoppi non possono dunque essere risolutivi. Un Paese che non affronta l’invecchiamento demografico – ovvero il saldo negativo tra nascite e decessi – per ovvie ragioni continua a dover distrarre risorse preziose per istruzione e lavoro in favore di pensioni e sanità. A pagare il conto più salato sono i giovani.
Coloro che sono accusati di essere “fannulloni”, spesso molto più istruiti e competenti delle precedenti generazioni, faticano a trovare lavoro perché i posti sono occupati da chi dovrebbe già stare in pensione. E quando trovano un’occupazione, si ritrovano a versare i contributi per pagare la pensione di chi ha cominciato a lavorare in un’epoca di maggiore sicurezza economica e a sperare – nella migliore delle ipotesi – in un assegno futuro drammaticamente basso. Senza considerare, poi, la questione relativa ai bassi salari, e sui quali non si vuole nemmeno imporre il tetto minimo, che di per sé farebbe fuggire altrove qualsiasi giovane interessato a una carriera di successo.
TFR per pensionamento anticipato: il governo dimentica le partite IVA
Dover rinunciare alla liquidazione che può servire per le proprie necessità, pur di andare in pensione per il terrore di dover restare a lavoro a seguito dell’ennesima riforma, è già un fallimento, oltre che una misura contraria al consiglio dell’OCSE di allungare la permanenza. Ma l’opzione del TFR per il pensionamento anticipato porta con sé un’altra ingiustizia: in barba alla millantata attenzione nei confronti del ceto medio, dei professionisti e degli imprenditori, il governo dimentica gli oltre 4 milioni di partite IVA che rappresentano il futuro del lavoro dell’Italia e che contribuiscono più di tutti al mantenimento del sistema Paese.
Per gli autonomi, ovviamente, non può esserci nessun TFR. Molti di loro, tra l’altro, versano soltanto il minimo all’INPS, compromettendo il loro futuro pensionistico, a causa dell’irregolarità dei redditi che – in assenza di tutele – rende difficile programmare investimenti previdenziali a lungo termine.
Per Cgil, inoltre, la nuova riforma ostacolerebbe addirittura il pensionamento anticipato, di fatto innalzando l’importo minimo richiesto per accedere all’anticipo pensionistico. La proiezione al 2030 addirittura richiederebbe – rispetto al 2022 – una retribuzione lorda aggiuntiva di quasi 389 mila euro.
Progettare un sistema previdenziale per un Paese “moderno”
Non si può fare a meno di considerare l’incapacità politica di immaginare un futuro previdenziale sostenibile per chi oggi ha 30 anni. Nessuno sembra affrontare il tema di chi, con altrettanti o più anni di lavoro alle spalle rispetto ai pensionati di oggi, si ritroverà con un assegno contributivo che difficilmente supererà i 700-800 euro mensili.
Se le casse dello Stato non riescono più a compensare il gap, oltre che un programma sostanzioso di accoglienza, serve un sistema di previdenza integrativa per tutti che destini automaticamente parte della retribuzione o dei redditi allo scopo. Le partite IVA, inoltre, dovrebbero poter accedere a fondi dedicati con versamenti flessibili calibrati sui redditi effettivi. Sarebbe anche il caso di dire basta al sistema contributivo attuale che costringe molte partite IVA a versare cifre forfettarie sproporzionate nei periodi di magra, in favore di un sistema proporzionale con soglie minime ragionevoli e massimali adeguati.
La verità è che l’Italia non ha bisogno di nuove formule per mandare la gente in pensione a 64 anni, ma di politiche coraggiose per convincere i trentenni di oggi che valga ancora la pena investire il proprio futuro in questo Paese.
Ivana Zimbone
Direttrice responsabile