- La narrazione (storytelling) dominante nel mondo del business esalta il successo e ignora il fallimento, creando un’immagine distorta che isola chi affronta crisi aziendali, nonostante queste siano fasi normali e ricorrenti.
- Comprendere le fasi della crisi , dalla negazione all’accettazione, permette di affrontarla con consapevolezza e di trasformarla in un’opportunità di crescita e rinnovamento.
- Superare una crisi richiede analisi lucida, comunicazione trasparente, revisione del modello di business e supporto esterno, per costruire un’impresa più resiliente e autentica.
Nel mondo del business, il trend in voga nella narrazione mira a celebrare il successo, inevitabilmente: startup unicorno, fatturati in crescita, imprese milionarie, visionari che trasformano un’intuizione in un impero. Nulla di sbagliato, se non fosse che però si tratta di una visione solo parziale, e quindi distorta, della realtà imprenditoriale, che rischia di isolare invece chi affronta piccole e grandi sfide quotidiane o chi attraversa una crisi.
Quello che raramente si racconta infatti è il lato oscuro dell’impresa: le crisi, gli errori, le difficoltà strutturali. Eppure, la crisi è una fase tanto comune quanto naturale nel ciclo di vita di un’azienda.
Indice
Perché nascondere la crisi aziendale è un errore strategico
Secondo il Global Entrepreneurship Monitor, circa la metà delle nuove imprese nel mondo fallisce entro i primi cinque anni. Questi numeri parlano chiaro, eppure si tende ad escluderli dalla narrazione, rendendo il “fallimento” un tabù anziché un’esperienza da cui apprendere.
C’è un altro aspetto da considerare, che offre un interessante spunto di riflessione, e riguarda la formazione per gli imprenditori. Infatti, l’eccessiva enfasi sui casi di successo, all’interno di corsi e programmi formativi per aziende e liberi professionisti, può generare un senso di inadeguatezza e, paradossalmente, ridurre la capacità di affrontare la realtà con lucidità.
Questo perché, quando si vive una crisi, ci si trova spesso soli, convinti di essere l’eccezione in un mondo di imprese vincenti, quando in realtà si è nella norma.
Le fasi della crisi aziendale: comprendere il processo per intervenire
La crisi raramente si manifesta in modo improvviso. Spesso infatti è il risultato di segnali sottovalutati, errori di gestione, rigidità organizzative o cambiamenti esterni mal gestiti. Applicando modelli psicologici al contesto aziendale, si possono individuare alcune fasi ricorrenti.
1. Negazione
Nella fase iniziale si minimizzano i segnali di allarme. Un atteggiamento tipico è quello che tende a rifiutare ad esempio l’aumento dei feedback negativi o la perdita di clienti, pensando che si tratti solo di un momento passeggero e che le vendite torneranno a salire.
2. Rabbia e ricerca del colpevole
Il focus si sposta su fattori esterni, senza affrontare le reali criticità interne, ad esempio autoconvincendosi del fatto che il mercato è cambiato e che i clienti non capiscono il vero valore dell’azienda.
3. Contrattazione
Si cercano soluzioni rapide e non strutturate, spesso inefficaci, ad esempio cercando impulsivamente un nuovo investitore nella speranza di risolvere tutto.
4. Disillusione
Si manifesta una perdita di fiducia nella leadership e nella direzione aziendale, il team si demoralizza e nella mente si insinuano dubbi che non portano a nulla di costruttivo, ad esempio che in realtà non si è mai stati all’altezza fin dall’inizio.
5. Accettazione
Finalmente si prende atto della crisi, ponendo le basi per una vera trasformazione. Solo nel momento in cui si giunge a questo grado di consapevolezza, allora si intraprende un piano di azione concreto verso la risalita.
Comprendere e attraversare consapevolmente queste fasi consente di pianificare una risposta strategica efficace. La crisi aziendale non va considerata un’anomalia ma una fase ricorrente e spesso necessaria. Riconoscerla, raccontarla e gestirla in modo consapevole permette non solo di superarla, ma di costruire un modello di business più solido, rafforzando la fiducia di clienti, collaboratori e investitori, distinguendosi per autenticità e capacità di rigenerazione.
Crisi e storytelling autentico: come trasformare il fallimento in risorsa
Per Partitaiva.it interviene Andrea Dotti, founder di Companies Talks, un progetto di storytelling che nasce per comprendere i fenomeni imprenditoriali delle aziende digitali e non solo. Attraverso la rappresentazione messa in scena da attori professionisti, aziende e imprenditori hanno la possibilità di conoscere le storie di grandi imprese che raccontano anche i loro errori e i momenti di crisi, come li hanno affrontati e superati, mettendo così a disposizione del pubblico le lessons learned che emergono.
Questo tipo di storytelling è davvero interessante, dal momento che non va a raccontare solo i successi di un’azienda, creando un’immagine distorta (non fosse altro perché parziale) del business, bensì a normalizzare la crisi quale parte integrante della vita imprenditoriale. Spiega l’esperto:
“L’idea è di proporre questi racconti alle aziende clienti per ricostruire la vita progettuale di questi brand, cercando di trovare gli errori, i cambiamenti di vision, gli accidenti esterni (basti pensare che alcune di queste aziende hanno attraversato la seconda guerra mondiale o la crisi del ‘29, la bolla delle dot.com).”
“Ciò che è interessante sapere è come hanno affrontato le crisi ma anche notare che nessuna di queste organizzazioni ha oggi la forma di quando è stata concepita, dimostrando che, nonostante la bontà della vision iniziale, è importante essere pronti a cambiarla se non addirittura a stravolgerla. E questi esempi trovano applicazione anche nella nostra realtà quotidiana professionale.”
Appare evidente allora la forza dello storytelling nel sostenere l’azienda in un momento di crisi: ma come si fa concretamente? Da dove iniziare?
“Per quanto mi riguarda, posso dire sicuramente che ci sono due punti di vista nel fare storytelling e uno di questi è quello che adottiamo in Companies Talks. Poi c’è lo storytelling che invece troviamo nelle aziende che abbiamo studiato, con alcuni casi in cui è interessante soffermarsi su alcuni aspetti che fanno riflettere. Ad esempio, quello di Amazon agli esordi, in cui vendeva solo libri, e di cui Bezos racconta un errore iniziale per cui avevano dimenticato di togliere dal menù a tendina i numeri negativi, e quindi si potevano acquistare -2,-3,-4 copie di un libro, per cui ci si vedeva riconoscere poi un credito ma senza in realtà aver speso nulla.”
“Il fatto che Bezos, che oggi detiene il 50% dell’e-commerce mondiale, abbia ammesso questo errore, volendo anche banale, fa ben sperare per chiunque che, nonostante una partenza non ottimale si possa arrivare a diventare un colosso. Ma il fatto che sia proprio lui a renderlo noto, dimostra che questo tipo di storytelling ha un enorme valore nella comunicazione con la clientela, perché Bezos avrebbe sicuramente potuto ometterlo ma ha scelto di non farlo, eliminando quindi le possibili barriere con il pubblico, e mettendosi al suo livello, non su un piedistallo.”
La lezione è illuminante: non bisogna omettere gli errori. Continua Andrea Dotti:
“L’altro aspetto da non trascurare, che si differenzia dal “non omettere”, è quello di scegliere esplicitamente di raccontare quell’esperienza, lavorando bene sul testo da comunicare, come avviene nelle nostre rappresentazioni, trovando per ogni azienda la sua “voce”. Si tratta di una delle leve più importanti su cui agire, nel momento in cui si scrive la propria presentazione aziendale. In una fase successiva, si passa al public speaking.“
Il momento di crisi aziendale genera inevitabilmente un calo della fiducia, non solo nei confronti di fornitori ed investitori ad esempio, ma anche del team di collaboratori, che si demoralizza. Cosa fare concretamente per evitare che la “gente mormori” e voci non vere inizino a circolare? Esporsi subito in prima persona o affidarsi a terzi per la corretta comunicazione?
“Ho assistito personalmente a imprenditori che, durante un evento celebrativo, hanno esordito in prima persona raccontando il momento, le false accuse ricevute, le indagini subite: e non hanno omesso, non hanno messo i loro errori sotto il tappeto.”
“Il trust nei confronti dei propri dipendenti e utenti è fondamentale ed è l’asset principale sul quale si fonda un business. Se il trust non c’è, non è per ragioni economiche ma non si va più ad acquistare dove non c’è più quella fiducia. Un caso emblematico è quello di Patagonia, che ha saputo creare un legame di fiducia talmente forte con i propri clienti, da permettersi anche di scrivere sul New York Times “Non comprare questa giacca”, in riferimento a un loro prodotto di punta, “se davvero non è indispensabile”, perché l’impatto ambientale è alto. Ma anche nei confronti dei dipendenti, il fondatore di Patagonia afferma che sono “in-impiegabili” da altre parti perché sono diventati dei fanatici e passerebbero in mezzo al fuoco per la loro azienda.”
“In generale, può essere che all’interno dell’azienda ci siano le risorse necessarie per ripensare al proprio storytelling o che invece sia il caso di farsi aiutare dall’esterno ma il discrimine è decidere se essere totalmente trasparenti e sinceri oppure no.”
“Dal mio punto di vista, la dimensione delle aziende in cui raccontarsi è ancora di tipo pubblicitario, il che è prevedibile quando ci sono successi da condividere. Ma quel che è difficile è mantenersi attraenti nel momento dell’insuccesso e della crisi.”
Ci sono differenze significative tra grandi aziende e PMI nell’implementazione di uno storytelling efficace?
“Grandi o piccole imprese…In realtà, non ci sono solo vantaggi nell’essere una grande impresa. Ad esempio, la capacità di reazione di una grande impresa generalmente è più lenta di quella di una piccola impresa. E nelle organizzazioni più sofisticate, per scegliere una linea di comunicazione sulla quale essere tutti d’accordo, passa del tempo. Le piccole organizzazioni hanno il vantaggio di poter essere molto più reattive e, da questo punto di vista, è un vantaggio.”
“E qui diventa una questione di priorità. Si può iniziare da un profilo LinkedIn per cominciare a lasciare tracce e costruire il proprio profilo e anche una piccola realtà, il singolo professionista perfino, se ha deciso che la propria linea editoriale deve andare verso la trasparenza, ogni volta valuterà se l’informazione che si sta dando è genuina oppure risponde a un’operazione di marketing.”
“E la sensazione è che il trend veda sempre più aumentare l’importanza dello storytelling nell’ambito delle attività aziendali, per rafforzare la credibilità di chi parla e ci si allontani ormai dal cliché che vede ogni azienda “leader” del mercato e la “migliore” del suo settore.”
Strategie per affrontare una crisi d’impresa in modo costruttivo
Molte note aziende hanno superato delle crisi prima di riprendersi, che le hanno anche messe sotto i riflettori. Si trova in questa situazione ad esempio la rete di attività di Chiara Ferragni. Per superare una crisi, è necessario riconoscerla e agire con metodo. Non basta reagire: serve una strategia integrata che coinvolga analisi finanziaria, revisione del modello di business e capacità di leadership. Alcuni passaggi chiave:
- analizzare dati economici e finanziari (cash flow, margini, debiti) per individuare esattamente il punto in cui ci si trova;
- ascoltare e coinvolgere il team interno, perché la trasparenza in questa fase aumenta l’engagement e la partecipazione dei collaboratori;
- rafforzare anche la comunicazione verso l’esterno, quindi nei confronti di clienti, fornitori e investitori, che deve essere trasparente, in maniera tale da farsi apprezzare per la propria onestà e offrendo rassicurazioni sul fatto di avere una visione chiara della situazione in atto;
- verificare la coerenza tra offerta e domanda di mercato. Essere affezionati al prodotto, al servizio e pensare che “si è sempre fatto così”, mentre ci si trova all’interno di una crisi conclamata, non porta lontano. Bisogna invece chiedersi se i clienti hanno davvero ancora bisogno di ciò che l’azienda offre e coraggiosamente rivedere il modello di business;
- impossibile affrontare tutto da solo. L’imprenditore deve necessariamente attivare supporti esterni (mentoring, network, advisor) e affidarsi a consulenze specializzate;
- il primo passo è costruire un piano di emergenza sostenibile, ad esempio di 90 giorni, focalizzato su costi e liquidità, persone e valore per il cliente.
Trasformare la crisi in opportunità richiede lucidità, visione e il coraggio di cambiare direzione.
Natalia Piemontese
Giornalista