I canoni di locazione commerciale, pattuiti tra le parti, concorrono a formare il reddito del locatore, anche se non sono stati materialmente percepiti. A stabilirlo è la Corte di Cassazione, che conferma la posizione dell’Agenzia delle Entrate e ribadisce un principio ormai consolidato: il reddito fondiario da locazioni commerciali segue il criterio della maturazione e non quello dell’incasso.
Canoni di locazione e reddito: il caso e i chiarimenti della Cassazione
La vicenda, portata in Cassazione, nasce da tre avvisi di accertamento notificati dall’Agenzia delle Entrate (per gli anni d’imposta 2012, 2013 e 2014) e relativi a un contratto di locazione commerciale. Il contratto prevedeva formalmente un canone mensile di 5.164,57 euro. Tuttavia, nel corso di un giudizio civile era emerso che le parti avevano sottoscritto una scrittura privata separata con un accordo reale ben diverso. Ovvero accordandosi per un canone annuo effettivo di 30.987,41 euro, con durata più lunga e sottoposto a rivalutazione ISTAT annuale.
Poiché la conduttrice aveva smesso di pagare da giugno 2011, i proprietari avevano ottenuto dal tribunale di Forlì (sentenza 5 marzo 2014) la condanna dell’inquilina al pagamento dei canoni arretrati fino a febbraio 2014, nella misura effettiva risultante dal patto occulto. A questo punto, sulla base dei canoni reali, l’Agenzia aveva rideterminato il reddito imponibile dei locatori. La CTP di Forlì prima e la Corte tributaria di secondo grado poi, avevano inoltre stabilito che la risoluzione del contratto avesse effetto retroattivo. Di conseguenza, i canoni non percepiti non andavano tassati.
L’Agenzia delle Entrate, allora, si è rivolta alla Cassazione, che ha accolto il suo ricorso, richiamando l’articolo 26 del Testo unico delle imposte sui redditi. Secondo la normativa, infatti, i redditi fondiari concorrono a formare il reddito complessivo del possessore a prescindere dalla percezione. Vuol dire che anche se l’inquilino era moroso dal 2011, la locatrice doveva comunque dichiarare i canoni maturati fino alla sentenza di risoluzione del 2014, poiché il reddito sorgeva per il solo fatto di essere titolare del diritto di locazione. Inoltre, l’articolo 1458 del Codice civile stabilisce che la risoluzione di un contratto a esecuzione continuata produce effetti solo ex nunc, cioè dal momento della pronuncia dei giudici. Pertanto, gli obblighi pregressi rimangono.
Cosa cambia nella pratica
I locatori, tenendo conto della pronuncia della Corte, devono ricordare che, in caso di morosità del conduttore, vale quanto stabilito dal contratto. Finché l’accordo rimane in essere, i canoni (sia reali che formali) continuano a generare reddito imponibile. Soltanto dal momento della risoluzione ufficiale del rapporto, che produce effetti solo per il futuro e non in maniera retroattiva, cessa l’obbligo dichiarativo.
Inoltre, la pronuncia dimostra che eventuali patti separati o scritture private che prevedono canoni diversi da quelli formalmente registrati possono essere utilizzati dall’Agenzia delle Entrate per rideterminare il reddito imponibile. Ciò significa che valgono anche gli accordi non formalizzati correttamente e non registrati.












Redazione
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