L’inflazione sale in Europa, ecco i prodotti che costano di più e le previsioni per il 2026

Il prezzo dell'energia è in controtendenza, ma gli aumenti interessano soprattutto il settore alimentare. In Italia potere d'acquisto in calo.

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L’inflazione in Europa sale dal 2,1% di ottobre al 2,2% di novembre 2025. A metterlo nero su bianco è l’Eurostat. Il dato è vicino alle stime e poco sopra il target fissato dalla BCE (2%). L’istituto di Francoforte tornerà a riunirsi il 18 dicembre per le decisioni di politica monetaria e le proiezioni fino al 2028. Intanto il rialzo dei prezzi e la riduzione del potere d’acquisto continuano a condizionare la vita degli italiani. Mentre Spagna e Italia quantomeno rallentano il trend, la Francia resta stabile e la Germania accelera l’inflazione.

Inflazione in Europa, quali prodotti e servizi aumentano il prezzo

Eurostat segnala che sono i servizi a registrare il tasso annuo più elevato a novembre (3,5%, rispetto al 3,4% di ottobre), seguiti da alimentari, alcol e tabacco (2,5%, stabile rispetto a ottobre), beni industriali esclusa l’energia (0,6%, stabile rispetto a ottobre). L’energia, infatti, segue il trend opposto (-0,5%, rispetto al -0,9% di ottobre).

I Paesi che fanno peggio

I Paesi che registrano il tasso d’inflazione più alto sono l’Estonia (4,7%, in calo però dello 0,6% rispetto a settembre), la Croazia (4,3%) e l’Austria (4,1%). Cresce l’inflazione anche in Germania, che ad agosto era all’1,8% e a novembre arriva al 2,6%. Le prossime stime mensili saranno diffuse il 17 dicembre.

Inflazione in Italia, cala il potere d’acquisto: stipendi inadeguati

L’inflazione rallenta invece in Italia, che passa dall’1,4% di novembre 2024 all’1,1% di novembre 2025. Ma i cittadini non sono certo più ricchi: nel Belpaese, per esempio, i beni alimentari hanno registrato un aumento dei prezzi del 25% dal 2021 a oggi. Secondo i dati diffusi dall’ISTAT, a settembre 2025 le retribuzioni in Italia (adeguate all’inflazione) risultano essere inferiori dell’8,8% rispetto al livello registrato nel 2021. Questo significa che negli ultimi anni il potere d’acquisto dei salari si sia ridotto notevolmente e che gli aumenti salariali registrati ultimamente siano stati insufficienti a compensare le perdite.

Per esempio, nel corso dei primi nove mesi del 2025, le retribuzioni contrattuali medie orarie sono cresciute del 3,3% rispetto all’anno precedente. L’incremento è stato superiore a quello dei tassi di inflazione, ma non è bastato ancora a colmare il gap – dell’8,8% – accumulato. Le proiezioni per il 2026 indicano uno scenario di moderata stabilizzazione.

Le previsioni 2026

MEF e Banca d’Italia convergono sul fatto che, nel 2026, si assisterà a un rallentamento della dinamica inflazionistica. Salvo eventi straordinari o crisi inattese, l’indice dei prezzi dovrebbe stabilizzarsi su valori prossimi al 2%. L’aumento salariale reale stimato, invece, è dell’1-1,5%. Si tratta di percentuali ancora incapaci di riassorbire il deficit cumulativo dell’8,8% in un solo anno. L’effetto netto a fine 2026 porterebbe a una riduzione parziale del gap storico, ma non la sua eliminazione.

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