Avviare un’attività d’impresa, partendo da zero e usufruendo di incentivi e agevolazioni, è possibile. Ma i costi di una start up, comprese le tasse da pagare, cambiano in funzione del luogo di riferimento e possono spingere gli aspiranti imprenditori a emigrare in Paesi dove le opportunità risultano più vantaggiose. Partitaiva.it ha interpellato due esperti e messo a confronto l’Italia e la Svizzera, scoprendo come la definizione di start up possa assumere sfumature molto diverse a seconda del contesto economico, normativo e fiscale in cui nascono e si sviluppano.
Indice
- Cosa significa start up e le differenze con un’azienda consolidata
- Costi di una start up: Italia e Svizzera, modelli a confronto
- Rosario Emmi (Proclama Spa): “Per start up in Italia agevolazioni significative”
- Quante tasse paga una start up in Italia
- Meno burocrazia, più competenze: così aumentano le start up famose
- Start up innovative in Svizzera
Cosa significa start up e le differenze con un’azienda consolidata
In passato si utilizzava il termine “imprese” indipendentemente dall’età e dalle loro caratteristiche. Per inquadrare e supportarle meglio durante il loro ciclo di vita, nella new economy, si è imparato a distinguere le imprese che si trovano ancora nella loro fase di avvio – ovvero nel periodo di “start up” – e quelle che hanno già un loro mercato, perché si trovano nella fase di crescita o di maturità.
Ma cosa si intende per startup oggi? Un’impresa giovane, ad alto valore tecnologico, con importanti potenzialità di crescita. Il significato di startup, infatti, è ormai indissolubilmente legato all’innovazione, tanto che la differenza tra un’azienda e una startup non risiede più soltanto nell’età dell’organizzazione, ma nell’ambizione di raggiungere in tempi brevi fette importanti di mercato.
Per quanto si tratti di un’opportunità imprenditoriale rilevante, Italia e Svizzera hanno numeri ben diversi. Secondo una ricerca condotta da Social Innovation Monitor (SIM) e dal Politecnico di Torino insieme con l’associazione InnovUp, sono 239 gli acceleratori e incubatori attivi oggi in Italia, con la Lombardia in testa (56). Le start-up incubate sono circa 5.780, in aumento di circa il 100%. La piattaforma startups.ch, invece, segnala che, solo nella prima metà del 2024, in Svizzera sono nate oltre 27 mila nuove startup: numeri che confermano una vocazione per l’innovazione che non ha eguali al mondo.
Requisiti di una start up innovativa in Italia
Il dl 179/2012 ha stabilito precisi requisiti per le startup innovative e ha previsto per loro una sezione speciale del Registro delle imprese. Si definisce una startup innovativa una società di capitali, costituita anche in forma cooperativa, le cui azioni o quote non siano quotate su un mercato regolamentato o su un sistema multilaterale di negoziazione, che possiede queste caratteristiche:
- essere una microimpresa o una PMI;
- avere non più di 5 anni di vita;
- residenza in Italia, in uno stato Ue o in Stati aderenti all’accordo sullo spazio economico europeo, purché abbia una sede produttiva o una filiale in Italia;
- valore di produzione annuo, a partire dal secondo anno di attività, non superiore a 5 milioni di euro;
- nessuna distribuzione di utili;
- sviluppo, produzione e commercializzazione di prodotti o servizi innovativi come oggetto sociale, esclusivo o prevalente;
- non essere stata costituita da una fusione, scissione societaria o a seguito di cessione di azienda o ramo d’azienda.
Inoltre, una startup si definisce innovativa se rispetta almeno uno di questi requisiti:
- sostiene spese in R&S pari ad almeno il 15% del valore tra costo e valore totale della produzione;
- impiega personale altamente qualificato (almeno 1/3 dottori di ricerca, dottorandi o ricercatori, oppure almeno 2/3 con laurea magistrale);
- è titolare, depositaria o licenziataria di almeno un brevetto o è titolare di un software registrato.
Know how, competenze e burocrazia
Tra i requisiti di una start up innovativa, le competenze e il know how giocano un ruolo essenziale nell’avvio di un business di successo. Quella della carenza di personale qualificato è un vecchio problema italiano. E proprio sul fronte delle competenze, a dividere Italia e Svizzera c’è l’abisso: un vulnus per il Belpaese, un elemento di forza dell’ecosistema elvetico.
Rispetto alla Svizzera, inoltre, il Belpaese soffre maggiormente la farraginosità delle procedure burocratiche che ancora condizionano l’espressione di un potenziale che resta significativo. La Svizzera, dal canto suo, sta facendo i conti con un volume totale di investimenti in start up che nel 2024 è stato di 2,3 miliardi di franchi, il dato più modesto degli ultimi quattro anni, dopo i 3,9 miliardi di franchi del 2022. A rilevarlo è uno studio pubblicato dalla società di consulenza EY.
Costi di una start up: Italia e Svizzera, modelli a confronto
Italia e Svizzera sono due universi distanti anni luce per volume di affari, condizioni di mercato e normative di riferimento, ma condividono alcune criticità, come nel reperimento dei capitali. A Basilea come a Roma, infatti, la difficoltà è la medesima: le start up guardano ai mercati internazionali, ma si scontrano con una frammentazione di regole e norme che spesso impedisce loro di compiere il salto di qualità necessario per passare dalla fase iniziale a quella della competitività. Una frammentazione che poi si incontra anche a livello locale: basti pensare che in Svizzera, ad esempio, esistono 26 modelli di tassazione, una per ogni cantone.
Le start up famose le troviamo sia in Italia che in Svizzera, perché entrambi i Paesi vantano un quadro normativo che è considerato tra i più avanzati d’Europa. Ma guardiamo nello specifico all’Italia. Reperimento dei capitali, burocrazia e competenze: questi tre elementi, messi insieme, sono il tallone d’Achille delle start up dello Stivale. È pur vero che vantaggi e agevolazioni per le start up sono oggi più incisivi rispetto al passato, ma le criticità che vivono sulla loro pelle ne riducono la capacità di muoversi da protagonisti nel mercato internazionale. Un mercato, tra l’altro, contraddistinto da dinamiche sempre più complesse.
Rosario Emmi (Proclama Spa): “Per start up in Italia agevolazioni significative”
Aurora Caprodossi è la fondatrice di Comestai. Viola Bonesu, Enrico Castelli e Pietro Galimberti hanno creato Plino, una start up che ha creato un software per le PMI che permette di monitorare costi, ricavi e margini. In Italia, la lista di startupper famosi è lunga, anche grazie al quadro normativo introdotto nel 2012 che rappresenta un modello avanzato in Europa per il sostegno all’innovazione.
“Tra i principali punti di forza troviamo agevolazioni fiscali significative per le start up, maggiore flessibilità regolamentare e procedure semplificate in caso di insuccesso imprenditoriale. Le startup innovative godono anche di vantaggi operativi come l’emissione facilitata di strumenti finanziari particolari e stock option per i dipendenti”. A dirlo è Rosario Emmi, dottore commercialista e co-founder di Proclama SPA.
Finanziamenti per sopportare i costi di apertura di una start up
Per aprire una startup occorrono investimenti. A tal proposito, di particolare rilevanza è l’accesso prioritario al Fondo di garanzia per le PMI, che copre fino all’80% dei prestiti bancari senza richiedere garanzie aggiuntive o valutazioni del merito creditizio. “Questo meccanismo – spiega Emmi – ha permesso a migliaia di nuove start up innovative di ottenere finanziamenti altrimenti inaccessibili. Tuttavia, persistono alcune criticità. La recente legge 193/2024 ha ridotto il periodo base di permanenza nel registro delle startup innovative da cinque a tre anni, con possibilità di estensione fino a cinque anni in presenza di specifici requisiti: incremento del 25% delle spese in R&S, stipula di contratti con la PA, aumento del 50% dei ricavi o dell’occupazione, costituzione di riserve patrimoniali superiori a 50.000 euro, o ottenimento di brevetti. Questo approccio, pur premiando le startup più performanti, rischia di penalizzare quelle con cicli di sviluppo più lunghi”.
Nonostante gli sforzi di semplificazione, secondo Emmi, l’onere burocratico rimane significativo e la frammentazione normativa a livello locale crea incertezze interpretative. “L’ecosistema italiano – dice – mostra segnali preoccupanti: al IV trimestre 2024 risultano iscritte 12.123 startup innovative, in diminuzione del 5,60% rispetto al trimestre precedente, con un trend negativo iniziato già nel 2023. Questo calo demografico suggerisce possibili difficoltà strutturali dell’ecosistema, nonostante il rafforzamento degli incentivi”.
Il Fondo nazionale innovazione (CDP Venture Capital)
Sempre sul fronte degli investimenti in start up innovative, l’Italia è stata pioniera nella regolamentazione dell’equity crowdfunding, con un trend positivo di raccolta che ha visto un incremento del 27% tra luglio 2021 e giugno 2022, raggiungendo circa 430 milioni di euro. Emmi ci spiega che lo Stato italiano interviene anche direttamente attraverso il Fondo nazionale innovazione (CDP Venture Capital). “La recente normativa ha inoltre introdotto un credito d’imposta dell’8% per incubatori e acceleratori certificati che investono nel capitale sociale di startup innovative, applicabile dal 2025, con un limite di 500.000 euro annui per investimento”.
“Nonostante questi progressi, il capitale sociale complessivo delle startup italiane ammonta a circa 981 milioni di euro, in diminuzione del 4,84% rispetto al trimestre precedente, segnalando possibili difficoltà di finanziamento nonostante gli incentivi rafforzati”, conclude.
Quante tasse paga una start up in Italia
Le tasse sono una nota dolente per tutte le imprese, ma come funziona la tassazione per start up innovative in Italia? “Fino al 2024 – spiega il co-founder di Proclama Spa – gli investitori persone fisiche possono beneficiare di una detrazione Irpef del 30% sugli investimenti in startup innovative (fino a 1 milione di euro), oppure del 50% in regime de minimis (fino a 100.000 euro). Dal 1° gennaio 2025, questa percentuale salirà al 65% dell’investimento in regime de minimis, a condizione che non derivi una partecipazione superiore al 25% e che l’investitore mantenga le quote per almeno tre anni”.
Secondo Emmi, significativa è anche l’innovazione recentemente introdotta che consente di trasformare la detrazione in un credito d’imposta utilizzabile in futuro, evitando che il beneficio fiscale vada sprecato se l’investitore non ha abbastanza Irpef da detrarre nell’immediato. Anche gli investitori societari (soggetti Ires) beneficiano di incentivi analoghi. “L’accesso al credito bancario – chiosa Emmi – è significativamente semplificato grazie al Fondo di garanzia per le PMI, che copre automaticamente fino all’80% dell’importo, senza richiedere la valutazione del merito creditizio solitamente necessaria. La garanzia è concessa gratuitamente con criteri di accesso semplificati”.
Meno burocrazia, più competenze: così aumentano le start up famose
Come aumentare il numero di start up famose? Come favorire la scalabilità delle start up su mercati più estesi? Emmi non ha dubbi: “Sul fronte finanziario, le start-up italiane faticano a reperire investimenti consistenti per espandersi internazionalmente. I fondi di venture capital domestici spesso non coprono round avanzati di decine di milioni, costringendo molte imprese a rivolgersi all’estero o addirittura a trasferire la sede. Il calo demografico e dei capitali investiti nelle startup innovative italiane (-5,60% e -4,84% rispettivamente nell’ultimo trimestre 2024) segnala una potenziale difficoltà sistemica”.
“A livello normativo – prosegue Emmi – l’espansione internazionale impone di confrontarsi con regolamentazioni diverse in ogni nuovo mercato. Anche all’interno dell’UE, la frammentazione burocratica rappresenta un ostacolo significativo. Sul mercato italiano, molte startup incontrano resistenze culturali nell’approccio a grandi clienti corporate o pubblici, tradizionalmente poco inclini all’open innovation”. Infine, il nodo legato alle qualifiche richieste: “Dal punto di vista organizzativo, scalare richiede competenze manageriali e operative specifiche che non sempre sono disponibili. L’attrazione e la retention di talenti qualificati rappresenta una sfida in un ecosistema in contrazione”, conclude Emmi.
Investire in start up innovative per competere sui mercati globali
Quale sfida abbiamo di fronte? Secondo Emmi, quella di creare un ambiente favorevole che permetta alle start-up di consolidarsi e crescere sui mercati globali, invertendo la tendenza negativa evidenziata dagli ultimi dati disponibili. “Una delle strade da intraprendere per favorire gli investimenti in start up – spiega – è certamente quella del potenziamento degli incentivi fiscali, con l’aumento al 65% della detrazione in regime de minimis dal 2025 e l’introduzione del credito d’imposta per incubatori e acceleratori (8% su investimenti fino a 500.000 euro). Maggiore supporto – prosegue – dovrebbe arrivare anche sul fronte all’internazionalizzazione, con programmi come il Global Startup Program dell’ICE, giunto alla quarta edizione, che offre a un massimo di 80 startup italiane percorsi integrati di sviluppo all’estero per rafforzare le loro capacità tecniche, organizzative e finanziarie”.
Costi di una start up, come rivitalizzare l’ecosistema italiano
“Rivitalizzare l’ecosistema italiano dell’innovazione – conclude Emmi – è anche l’obiettivo delle recenti modifiche alla durata della permanenza nel registro speciale (da cinque a tre anni, con possibilità di estensione) che richiedono un monitoraggio attento per verificare se favoriscano effettivamente le realtà più dinamiche o se invece penalizzino startup con cicli di sviluppo più lunghi”.
Le nuove norme hanno l’ambizione di muovere fino a tre miliardi in più ma su questo fronte molti sono i dubbi e il Mimit è già al lavoro per apportare delle correzioni alla normativa alla luce delle osservazioni mosse dal mondo delle start up, tra cui Italian Tech Alliance e InnovUp. Forti perplessità, infatti, permangono sia sul meccanismo di calcolo degli investimenti in fondi di venture capital (sulla base di somme impegnate o di somme già spese?) ai fini degli sconti fiscali ma soprattutto sui requisiti per la permanenza nel registro speciale.
Start up innovative in Svizzera
EcoRobotix, Vivent e AgroSustain: anche in Svizzera, sono tanti gli esempi di start up innovative. Dopo aver esplorato l’ecosistema italiano delle start up, ci spostiamo in territorio elvetico. Qui apprendiamo da Nicoletta Iurilli, avvocato di Lexr, Società con sede a Zurigo che offre assistenza legale alle start up, che in Svizzera non esiste una regolamentazione specifica esclusivamente per le start-up. Queste sono governate dalle leggi generali sulle società, principalmente dal Codice delle obbligazioni svizzero, che si applica in modo uniforme su tutto il territorio nazionale. “Tuttavia – spiega Iurilli – alcuni aspetti come la tassazione e i permessi locali possono variare a seconda del cantone. Ad esempio, le aliquote fiscali differiscono significativamente tra i cantoni, il che può influenzare i costi di avvio di una start-up”.
Iurilli (Lexr): “Ecco quanti soldi ci vogliono per aprire una start up in Svizzera”
Una differenza significativa con l’Italia, secondo l’avvocato Iurilli, riguarderebbe i costi di costituzione, un potenziale ostacolo per alcune startup che non riescono a raggiungere un capitale minimo piuttosto elevato. Ma quanti soldi ci vogliono per aprire una start up? “In Svizzera, il capitale minimo per una società per azioni (AG) è di 100’000 CHF, mentre per una società a responsabilità limitata (GmbH) è di 20’000 CHF – prosegue Iurilli -. In Italia, il capitale minimo per una Srl (simile alla GmbH) è di € 10.000, e per una Spa (simile alla AG) è di € 120.000. Questo rende la Svizzera più costosa per le GmbH, ma simile per le AG”.
Investimenti in start up innovative, criticità in Svizzera
Tra i punti di forze dell’ecosistema svizzero, spicca l’alta qualità delle competenze. “La Svizzera – sottolinea l’avvocato – è rinomata per le sue università di alto livello, come ETH Zurigo ed EPFL, che favoriscono la creazione di spin-off e l’innovazione. Come l’Italia, poi, anche la Svizzera ospita numerosi incubatori e acceleratori che offrono risorse preziose per le startup ma l’ambiente fiscale qui è più favorevole. Infatti, i guadagni in capitale derivanti dalla vendita di beni privati, comprese le azioni, sono generalmente esenti da tasse, il che rende la Svizzera attraente per investitori e fondatori”.
A ciò si aggiunge la posizione strategica della Svizzera e i suoi solidi accordi commerciali che facilitano l’accesso ai mercati europei e globali, rendendola una base ideale per le startup che mirano a espandersi a livello internazionale. Ma è tutto oro quello che luccica? Assolutamente no. E anche la Svizzera ha le sue criticità, rappresentate principalmente dagli alti costi iniziali, da un elevato costo della vita e da un mercato interno ridotto.
“Nonostante ciò – dice l’avvocato di Lexr – l’ecosistema delle startup in Svizzera è in crescita, grazie alle sue forti istituzioni educative e a una solida infrastruttura di supporto. Tuttavia, il mercato interno è relativamente piccolo, il che può limitare le opportunità di crescita per le startup focalizzate esclusivamente sui mercati locali.
Patrizia Penna
Giornalista professionista