Cannabis light, con il decreto sicurezza a rischio 30 mila lavoratori: cosa cambia e perché le imprese fuggono all’estero

Il dubbi sulla costituzionalità del dl sicurezza restano. Ecco cosa sta succedendo in America e negli altri Paesi europei.

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cannabis light legale in Italia

Il decreto sicurezza, approvato con il dl n.39/2024 e convertito in legge nella primavera del 2025, ha introdotto nuove e stringenti restrizioni sul commercio della cannabis light in Italia. Le limitazioni hanno causato la crisi di un settore in cui il Belpaese aveva conquistato la leadership in Europa. Tra incertezze normative e procedimenti penali, molti imprenditori hanno deciso di trasferirsi in altri Paesi UE che garantiscono maggiore serenità. Partitaiva.it ha rintracciato le norme contradditorie vigenti e individuato le opportunità che le imprese possono cogliere per salvaguardarsi.

Cosa prevede il decreto sicurezza

Il decreto sicurezza, voluto dal governo anche con l’intento di “rafforzare il contrasto alle droghe”, ha incluso tra le sue misure più controverse una stretta sulla vendita e produzione di derivati della canapa sativa con THC inferiore allo 0,5%, ovvero la cannabis light.

In particolare, l’articolo 18 del dl n.39/2024 stabilisce che le infiorescenze di canapa non possano più essere oggetto di libera vendita, anche se con un contenuto di THC inferiore allo 0,2%, valore precedentemente accettato secondo la legge 242/2016. La nuova normativa:

  • esclude le infiorescenze dalla lista dei prodotti agricoli commerciabili, ammettendone l’uso solo per scopi industriali, tecnici o di ricerca;
  • applica le sanzioni previste dal DPR 309/1990, ovvero il Testo unico sugli stupefacenti, anche a chi commercializza prodotti a base di cannabis light;
  • inasprisce i controlli doganali e restringe le autorizzazioni alla coltivazione di canapa, impedendo la trasformazione delle infiorescenze in prodotti da banco (oli, cosmetici, alimenti).

Queste misure hanno avuto un impatto diretto e immediato sulle imprese del settore, che ora operano in un clima di forte incertezza giuridica. “Questo divieto indiscriminato per quanto riguarda le infiorescenze di canapa, al di là delle finalità per cui viene coltivata, mette a rischio l’intero settore della canapa industriale – fa sapere Raffaele Desiante, presidente di Imprenditori canapa Italia -. La pianta di canapa necessariamente produce infiorescenze, quindi il coltivatore, almeno in un momento della fase di produzione, si troverà a dover avere a che fare con delle infiorescenze”

Le conseguenze sulle imprese di cannabis light in Italia: negozi chiusi e fuga all’estero

La prima conseguenza tangibile del decreto è stata la chiusura di decine di negozi e grow shop, soprattutto nelle grandi città e nei capoluoghi di provincia. Molti imprenditori si sono visti costretti a sospendere le vendite o riconvertire l’attività, in attesa di chiarimenti giuridici o sentenze dei Tar.

“Una sentenza della Cassazione stabilisce che un prodotto privo di efficacia drogante non possa essere punibile con le pene previste per le droghe pesanti, dall’articolo 73 del dpr n.309/90 – rassicura Desiante -. Consigliamo agli operatori di proseguire l’attività, prestando molta più attenzione alla tracciabilità, alle analisi tossicologiche, ai cartellini delle varietà certificate che provino il fatto che siano consentite a livello europeo. Con l’articolo 18, comunque, il rischio di incorrere in un sequestro e in un procedimento penale aumentato”.

Un altro effetto è stato lo spostamento di attività produttive all’estero. Aziende italiane che coltivavano o trasformavano la cannabis in modo legale hanno deciso di migrare in Paesi più favorevoli, con un quadro normativo più stabile e meno punitivo. Per aggirare le nuove restrizioni, in alcuni casi, è stato sufficiente trasferire soltanto la sede legale o il confezionamento.

Il decreto sicurezza ha introdotto anche nuovi vincoli per l’import-export di cannabis industriale. Le importazioni richiedono ora una documentazione tecnica dettagliata e una giustificazione esplicita della destinazione d’uso dei prodotti. Inoltre, sono aumentati i casi di sequestro alle dogane, anche di merce già regolarmente certificata secondo la normativa UE.

Oltre 30 mila famiglie a rischio

Secondo le stime di Imprenditori canapa Italia il settore rischia la perdita del 100% dei posti di lavoro. Soltanto nel periodo 2017-2022 il comparto contava 10 mila lavoratori diretti, soprattutto giovani e risorse provenienti da territori marginali, con benefici anche in termini di legalità e sostenibilità agricola. Se si considera l’indotto, tuttavia, gli impiegati sono molti di più.

“Dal 2016 il comparto produttivo è arrivato a 3 mila aziende e 30 mila operatori impiegati, considerando gli stabili e gli stagionali – fa sapere il presidente dell’associazione -. Questo ha generato un volume d’affari di circa mezzo milione di euro, dovuto per il 90% all’export”. E proprio le esportazioni adesso stanno rallentando, sia per le incertezze normative interne, sia per il danno reputazionale subìto. Così molti imprenditori del Belpaese hanno perso le commesse estere, perché molte aziende straniere hanno deciso di fare un passo indietro, preoccupate per le possibili implicazioni legali.

Cosa dice l’UE e i dubbi sulla costituzionalità del decreto sicurezza

L’articolo 18 del decreto sicurezza sembra a molti in contraddizione con la giurisprudenza dell’Unione europea: la Corte di giustizia dell’UE, con la sentenza Kanavape (C-663/18), ha stabilito che il CBD non sia una sostanza stupefacente e che i prodotti contenenti cannabidiolo legalmente fabbricati in uno stato membro non si possano vietare in un altro. Una posizione che mette in discussione la compatibilità del decreto italiano con il diritto comunitario europeo.

Per questo Imprenditori canapa Italia ha depositato atti di accertamento alle corti d’appello di Firenze, Milano, Trento e Bologna. “Abbiamo individuato oltre 40 profili di incostituzionalità, siamo in attesa delle prime udienze”, precisa Desiante, specificando come l’associazione intervenga prontamente in aiuto di tutti gli imprenditori colpiti da sanzioni.

La cannabis light in Europa e nel mondo

L’alt sulla cannabis light in Italia arriva proprio nel momento in cui l’Europa si muove verso la legalizzazione e l’integrazione del mercato. Diversi Paesi europei si sono mossi per una regolamentazione chiara o hanno fatto diventare tale una consuetudine:

  • in Svizzera la vendita di cannabis light con THC fino all’1% è legale;
  • in Germania, il 1° aprile 2024 è entrata in vigore la legge per la legalizzazione dell’uso ricreativo della cannabis;
  • in Spagna l’uso personale è depenalizzato e sono attivi migliaia di cannabis social club;
  • nei Paesi Bassi il commercio è tollerato da decenni, pur senza un quadro legislativo uniforme.

Cosa succede in America e il caso della Repubblica Ceca

Le principali aziende italiane di distribuzione di cannabis legale hanno deciso di trasferirsi in Repubblica Ceca. “Lì la normativa è ben definita, lascia spazio agli investimenti e consente di lavorare in maniera serena – commenta il presidente -. Sulla stessa lunghezza d’onda si muovono Canada e Stati Uniti, che hanno sviluppato modelli avanzati di legalizzazione regolata, a livello industriale, finanziario e normativo. In questi mercati, il CBD è considerato un ingrediente funzionale, non uno stupefacente”.

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Natalia Piemontese

Giornalista

Giornalista pubblicista, sono laureata con Master in selezione e gestione delle Risorse Umane e specializzata in ricerca attiva del lavoro. Fondatrice dell'Academy di Mamma Che Brand, per l'empowerment femminile e la valorizzazione delle soft skills in particolare dopo la maternità, insegno le competenze digitali che servono per lavorare online.

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