T come talento: come generare e gestire nuove risorse in uno studio commercialista

Sono sempre meno i giovani che ambiscono ad entrare negli studi commercialisti. Occorre una profonda revisione sulle gestione dei nuovi talenti

di Giovanni Emmi

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Il talento del commercialista è la capacità di coniugare le competenze personali con quelle professionali per creare prestazioni di eccellenza.

Coltivare il talento vuol dire sviluppare una catena di valore attraverso la selezione, formazione e inserimento di giovani professionisti all’interno dello studio, rendendolo vivace e capace di mantenere, nel tempo elevati standard di qualità.

Il talento professionale può essere coltivato partendo dalla università, fino al tirocinio professionale all’interno dello studio, oppure con master specialistici di settore.

Crisi di vocazioni: la scarsità di nuove risorse

Per molto tempo, la professione del commercialista è stata considerata una delle più rispettabili, ambite e remunerative sul mercato.

In tantissimi intraprendevano gli studi per entrare nel settore. Sul finire del secolo scorso, la crescita esponenziale dei commercialisti ha contribuito alle restrizioni per l’accesso alla professione, fra cui l’obbligo di tirocinio triennale.

Dopo circa vent’anni, però, il trend si è rovesciato.

Abbiamo assistito alla riduzione del tirocinio a diciotto mesi e, di recente, si parla della c.d. crisi della vocazione, con un accesso ridotto di giovani al tirocinio professionale ed una difficoltà degli studi di trovare stagisti, praticanti e collaboratori.

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Gestione dei talenti: cosa non va

  1. Il tirocinio professionale nello studio di commercialisti  è una fase di necessario apprendimento che all’interno degli studi professionali è tradizionalmente svolta in modo pressoché gratuito.
  2. La mancanza della vocazione, probabilmente, dipende anche dalla gratuità del trattamento (o limitato a un piccolo rimborso spese).
  3. L’anemia del mercato dei giovani professionisti disposti ad apprendere i rudimenti delle professioni contabili è anche frutto della concorrenza delle società di consulenza.
  4. Dopo l’abilitazione, il rapporto con lo studio, si trasforma spesso in una collaborazione a partita iva.
  5. Il professionista con un alto grado di autonomia crea un proprio studio, quello con un minore grado di autonomia resta in studio in una situazione di quasi subordinazione.

Talenti e nuovi commercialisti: cosa si dovrebbe fare

  1. L’autonomia e la indipendenza professionale sono uno stimolo alla produttività del lavoro.
  2. La stabilizzazione del rapporto in una condizione di quasi subordinazione inficia lo spirito della attività libero professionale.
  3. L’associazione del giovane professionista al progetto di studio, con una partecipazione attiva, non solo economica ma soprattutto strategica alle dinamiche professionali, è un fatto positivo.
  4. Le partnership creano quel giusto connubio tra gratificazione ed autonomia che possono dare una prospettiva al rapporto di lavoro.
  5. Creare un sistema di regole chiare che disciplinino non solo l’ingresso, ma anche la crescita del giovane professionista, all’interno dello studio, in un percorso tracciato a priori.
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Giovanni Emmi

Dottore Commercialista

Commercialista dal 🧗🏾‍♀️secondo millennio, innovatore professionale nel terzo millennio🏃🏾‍♂️. Il futuro della professione del commercialista nel mio ultimo libro "dalla società alla rete tra professionisti".

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