Il cliente in condivisione è un ossimoro professionale: metodologie e soluzioni

La condivisione di un cliente tra professionisti commercialisti può garantire numerosi vantaggi: metodi e soluzioni per procedere.

di Giovanni Emmi

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Condivisione cliente professionisti
  • Condividere un cliente può essere un vantaggio per due professionisti commercialisti, e anche per il cliente stesso, che può trovare risposte di qualità ai propri quesiti.
  • Non condividere può portare ad una perdita di qualità.
  • Per condividere è necessario stabilire delle regole a priori, ovvero metodi e schemi da seguire.

Il rapporto del cliente con il commercialista è complesso. Non riguarda solo la sfera professionale, ma diverse altre. Nelle aziende più strutturate, la presenza di più consulenti e una visione più ampia rendono necessario creare rapporti professionali multipli, meno equivoci e relazioni più articolate.

Nelle aziende più a dimensione familiare (in Italia ne esistono anche di significative), il rapporto di fiducia con il professionista, avvocato o commercialista, è molto forte.

Si crea un rapporto personale molto forte con il titolare e i familiari, e le dinamiche della consulenza seguono percorsi imprevedibili. È quello che avviene con il medico generico, che di solito è il medico di fiducia per tutte le problematiche, anche se non prettamente afferenti alla professione. Il commercialista è il “medico della salute economica”.

Il ruolo del commercialista per il cliente

Come per il medico, il commercialista è il frontman delle richieste che interessano questioni economiche, di qualsiasi tipo, aziendali e personali, che cerca di risolvere in prima persona, salvo rivolgersi o indirizzare il cliente verso professionisti più specializzati sull’argomento.

Le richieste del cliente, rispetto alla competenze e all’atteggiamento del commercialista, possono prendere tre diverse direzioni:

  • richieste che il commercialista può evadere in proprio;
  • richieste che non riesce a evadere in proprio e si rivolge a un professionista più esperto per avere un consiglio;
  • richieste che non riesce a evadere in proprio e indirizza il cliente verso un altro professionista;
  • richieste che non riesce a evadere in proprio, che approfondisce e a cui tenta di dare una risposta in proprio.

L’atteggiamento del professionista, oltre che la caratteristica della domanda, decide le sorti della richiesta del cliente e influirà sul rapporto futuro tra cliente e commercialista. 

Se il commercialista è in grado di evadere la richiesta in proprio, tutto fila liscio e non vi saranno conseguenze, anzi si rafforza nel cliente la considerazione positiva sulla competenza del commercialista.

Se il commercialista non riesce a evadere in proprio la richiesta e si rivolge a un professionista più esperto, media la consulenza, che sarà di livello qualitativo inferiore rispetto a quella diretta del professionista specializzato.

In questo modo qualifica la sua competenza agli occhi del cliente, ma rischia di avventurarsi in un campo minato per il rischio e la responsabilità del consiglio.

Se il rischio attraversa anche la sfera giuridica (per esempio fornisce un parere scritto su un consiglio di un altro professionista più esperto), probabilmente non sta facendo la cosa giusta.

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Indirizzare il cliente ad un altro professionista

Se il commercialista indirizza il cliente a un altro professionista più esperto, corre due tipi di rischio: di distrarre il cliente a favore di un altro studio, o di sbagliare professionista e perdere considerazione agli occhi del cliente, per aver sbagliato approccio a un professionista che non aveva i tempi o le professionalità per essere inserito nel team di consulenza dell’azienda.

Se approfondisce l’argomento e si avventura in una attività di consulenza in proprio, potrebbe aver scoperto una nuova inclinazione o fare l’errore più grande che un professionista possa fare: dare una consulenza in un argomento nel quale non ha esperienza e competenza.

Quale sarebbe il modo migliore per approcciare situazioni di questo tipo? Probabilmente nessuno degli approcci classici del commercialista è quello corretto, nel breve o nel lungo termine il rischio di fare un errore di valutazione o professionale è alto.

Il cambiamento dovrebbe essere, anche in questo caso, culturale. Bisogna avere la lucidità e la forza di staccarsi dal cliente e tagliare il cordone ombelicale che, tantissime volte, lega un professionista al cliente, per questioni economiche o, più semplicemente, per un difetto di autostima.

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Condivisione con un metodo

Avere la sagacia e la forza di condividere il cliente con altri professionisti, che hanno la stessa visione (difficile da trovare, ma non impossibile), stabilendo a priori le gerarchie e il coordinamento delle attività.

Condividere con un metodo chiaro e un modello di approccio, dettato dall’esperienza, ma anche dell’analisi delle varie situazioni, che vanno definite e categorizzate, in modo da evitare, al momento del verificarsi del caso, di agire con lentezza o in maniera disallineata.

Se si condivide la visione e il metodo, anche in studi professionali separati, si può fare un lavoro proficuo sul cliente, creando una consulenza di qualità e ad alto valore aggiunto. Resta il problema della condivisione del compenso, che è uno dei momenti più difficili da superare, perché attiene alla valorizzazione delle persone e delle competenze, ma questa è un’altra storia.

Vantaggi della condivisione

La condivisione come abbiamo visto può portare a dei vantaggi per il cliente, come quello di ridurre il rischio collegato ad una consulenza errata, a causa della mancanza di competenze. Per condividere un cliente è necessario tuttavia stabilire alcune regole in un momento precedente.

Bisogna quindi condividere il cliente stabilendo in modo chiaro le gerarchie, e definendo a priori aree e modalità di intervento.

Gli svantaggi della non condivisione

Il commercialista, da quando vi è stata una crescita del settore, dovuta all’ipertrofia della fiscalità e la conseguente creazione di rendite di posizione nella gestione dei clienti di piccole dimensioni vincolati a un pagamento periodico, ha cambiato atteggiamento verso il cliente.

Non più un’attività di consulenza che ha un inizio e una fine, ma una vera e propria attività di somministrazione di servizi, spesso a basso valore aggiunto, che nella ripetitività trovano una loro ragione d’essere.

La sicurezza di avere un tantum mensile rende il cliente una facile fonte di introito e consente di programmare facilmente le entrate future.

Da questa convinzione nasce un attaccamento quasi morboso al cliente, in alcuni professionisti, e la ritrosia a condividerlo con altri professionisti per timore di dare la sensazione di non essere all’altezza o per non distrarlo verso altri studi.

In quest’ottica il commercialista tende a essere un tuttologo. Il cliente approfitta del pagamento onnicomprensivo per sfruttare questo primo canale di consulenza gratuita e mettere involontariamente in difficoltà il commercialista.

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La condivisione deve avere delle regole

La condivisione del cliente tra due professionisti che hanno studi separati e interessi economici non necessariamente comuni è un esercizio complicato, nella professione svolta in modo tradizionale.

Condividere la visione e il metodo di gestione delle attività di consulenza è un primo passo per avviare delle attività professionali serie e responsabili, a favore dei clienti di ogni professionista.

È necessario distaccarsi il più possibile dal rapporto personale e cercare di agire in modo oggettivo, per dare alla consulenza professionale un contenuto più elevato che, alla lunga, premia il commercialista e il cliente.

Il rischio di una competizione sulla gestione da tuttologi del cliente è molto elevato e carica lo studio di un potenziale problema nel lungo termine, con attività di consulenza di bassa qualità che potrebbero declinare in responsabilità professionali, compromettendo la continuità dello studio.

Autore
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Giovanni Emmi

Dottore Commercialista

Commercialista dal 🧗🏾‍♀️secondo millennio, innovatore professionale nel terzo millennio🏃🏾‍♂️. Il futuro della professione del commercialista nel mio ultimo libro "dalla società alla rete tra professionisti".

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