Dopo l’agognata “resilienza”, la proclamazione di innovazione e ripresa. Ma l’Italia resta il Paese dei paradossi: sostiene chi già riesce a camminare da solo e lascia indietro chi avrebbe più bisogno di aiuto. Gli aiuti di Stato, pensati per rilanciare il sistema produttivo, finiscono infatti per escludere le microimprese, le PMI in crisi e i professionisti fragili, che spesso non hanno la solidità economica richiesta per accedere a queste misure. Buona parte dei bandi pubblici aperti nel 2025 ha previsto requisiti che tagliano fuori proprio queste imprese.
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Bandi pubblici 2025 che escludono PMI in difficoltà: esempi
Il bando regionale per la Doppia transizione in Emilia-Romagna, per esempio, ha richiesto aggregazioni di almeno 10 imprese, con un contributi fino a 400 mila euro per gruppi superiori alle 20 imprese. Questo limite strutturale ha di fatto impedito l’accesso alle microimprese singole o piccole, che spesso non riescono a costituire aggregazioni così ampie.
Sempre in Emilia-Romagna, il bando per l’internazionalizzazione ha fissato un un investimento minimo di 25 mila euro – 50 mila per le aggregazioni – e l’anticipo di almeno il 50% delle spese: soglie troppo alte per molte PMI con cash flow limitato, magari reduci dagli anni di crisi post pandemia, che pure sarebbero interessate a crescere sui mercati esteri.
Il bando Investimenti sostenibili 4.0 – PMI del Sud concedeva contributi a fondo perduto, imponendo però requisiti di innovazione strutturata e capacità organizzativa elevata. Le microimprese tradizionali, con livello di organizzazione minimo, si sono trovate fuori gioco. E poi, ancora, c’è il nuovo bando Ri.Circo.Lo 2025 della Regione Lombardia, dedicato all’edilizia nell’ambito dell’economia circolare, che ha espressamente escluso le imprese in difficoltà. Una contraddizione evidente, visto che proprio le imprese più fragili del comparto edilizio avrebbero bisogno di sostegno per riconvertirsi a pratiche più sostenibile.
Sempre in Lombardia, il bando Transizione digitale 2025 ha previsto l’esclusione delle imprese in difficoltà. Nonostante fosse finanziato con il Fondo europeo di sviluppo regionale, concepito come uno dei principali strumenti di coesione dell’UE.
L’impatto sulle PMI e sul mercato delle consulenze
Le soglie minime, i vincoli aggregativi e la necessità di anticipare le spese hanno un impatto diretto sulle microimprese e sulle PMI più fragili, che avrebbero bisogno di un supporto per diventare e/o restare competitive e che, invece, restano fuori dagli aiuti stessi perché non dispongono di fondi sufficienti e khow-how per redigere progetti complessi. Anche i consulenti, dal loro canto, vengono penalizzati da questa politica, trovando spazio soltanto nelle PMI strutturate, già solide.
A questa frustrazione generale si aggiunge pure la scarsa usabilità dei portali istituzionali dove si dovrebbero trovare i bandi, che restano frammentati tra i vari ministeri, le Regioni e gli enti locali. Il sito inpa.gov.it, per esempio, è spesso criticato per i filtri poco funzionali e per la mancanza di notifiche personalizzate sugli aggiornamenti dei bandi.
Definizione di impresa in difficoltà secondo il GBER
La ragione formale dietro molte esclusioni è il GBER (General Block Exempion Regulation), ossia il Regolamento generale di esenzione per categoria del 2014, aggiornato con Reg. UE 2023/1315. Si tratta di una norma che stabilisce le condizioni in cui gli aiuti di Stato possono essere concessi senza dover ottenere l’autorizzazione preventiva della Commissione europea.
Secondo l’art. 2, punto 18, le imprese in difficoltà sono quelle che:
- hanno una perdita di oltre la metà del capitale sociale sottoscritto a causa di perdite cumulate (se srl o spa);
- hanno una perdita di oltre la metà dei fondi propri a causa di perdite cumulate (se snc o sas);
- sono soggette a procedura concorsuale (fallimento, liquidazione, concordato preventivo);
- hanno un rapporto debito/patrimoni netto maggiore di 7,5 e un rapporto di copertura degli interessi inferiore di 1 negli ultimi due anni.
Per le imprese con meno di tre anni di attività, tranne casi di insolvenza o procedure concorsuali, il regolamento non si applica.
Il regime de minimis come alternativa inclusiva
Parallelamente al GBER, esiste il regime de minimis che permette contributi fino 300 mila euro in tre anni per singola impresa unica, senza applicare i criteri restrittivi sulle imprese in difficoltà. Molte associazioni di categoria – come Confartigianato e Confcommercio – hanno chiesto di estendere i bandi sotto questo regime, per non penalizzare chi ha chiuso uno o più bilanci in perdita.
I bandi pubblici per PMI che servono nel 2025
I numeri dimostrano che la necessità di finanziamenti sia altissima. Il bando Investimenti sostenibili 4.0 ha chiuso per esaurimento fondi il 20 maggio 2025, lo stesso giorno di apertura delle domande.
I bandi pubblici 2024 hanno mostrato un paradosso evidente: più un’impresa è in difficoltà, meno ha possibilità di accedere ai fondi pubblici.
È vero che il nodo centrale resti il GBER, ma il margine per un approccio più inclusivo esiste. Un sistema di bandi a sostegno di chi ne abbia davvero bisogno dovrebbe sfruttare di più il regime de minimis, prevedere voucher a importi più contenuti e accessibili alle microimprese, ridurre i vincoli aggregativi. E poi introdurre meccanismi di anticipo: questo eviterebbe che le PMI anticipassero spese importanti e insostenibili.
Ma continuare a finanziare chi è già forte – lasciando indietro chi rischia di scomparire – oppure porgere una mano a chi necessita di aiuto è una scelta politica.
Ivana Zimbone
Direttrice responsabile