Buongiorno, voglio porle una domanda in merito ad Amazon Vine. Nei termini e condizioni del servizio non è scritto che i beni sono frutto di un servizio fornito dai privati verso Amazon, o che essi siano un pagamento che ne deriva dall’aver fatto recensioni, ma un contratto simile, definito termini e condizioni non va in contrasto con quanto dichiarato da Amazon, ossia che il privato eroga servizi?
La non presenza di fattura da parte di Amazon sulla merce ricevuta ne fa dedurre che sono a conoscenza che, prestando un servizio, dovrebbe emetterla chi riceve il bene? O è una supposizione errata?
Vi prego di approfondire la situazione Amazon Vine. Leggendo online comprendo che in tutta Europa, specie in Italia, si stanno scaldando gli animi su questo argomento e data la vostra competenza sarebbe qualcosa di davvero importante se riusciste a darci una risposta. Infatti il più dei partecipanti non sono professionisti e non hanno mai fatto una dichiarazione dei redditi. Molti sono ragazzi, madri o disoccupati, che non saprebbero davvero dove sbattere la testa. E l’unico modo per capire qualcosa sono siti come questo.
Grazie.
Buongiorno. In merito alla sua domanda è complicato dare una risposta secca, in quanto ogni caso specifico deve essere valutato come fattispecie concreta rispetto alla astrazione della norma tributaria generale, e la casistica è relativamente recente.
In linea di massima non sembra trattarsi di una mera liberalità, ossia non vi è un omaggio e basta. Bensì vi sono degli obblighi specifici tra chi fornisce il prodotto e chi lo recensisce (obbligo di fare almeno 100 recensioni in sei mesi).
L’obbligo di recensire, assunto dal testatore, è di fatto una prestazione, e la possibilità di tenere per sé il bene potrebbe essere considerato un compenso in natura. Il tutto sembrerebbe ricondurre la fattispecie al classico sinallagma contrattuale che darebbe vita a una prestazione e controprestazione, e quindi di fatto tassabile.
Se ribaltiamo questa interpretazione rigida che abbiamo fornito, e pensiamo al bene ricevuto come omaggio promozionale (che dovrebbe essere fatturato comunque dall’azienda che dovrebbe pagare iva e imposte), tutto cambia.
In questo caso la recensione non sarebbe una controprestazione, bensì un obbligo collegato non tanto alla cessione del bene, quanto alla permanenza in un programma di sondaggi di un soggetto terzo. Non si avrebbe più una prestazione e una controprestazione.
Come per il caso dei rider, dei vettori di Uber, dei gestori di case di Airbnb, l’evoluzione tecnologica corre più veloce del diritto tributario e il rischio è quello di restare schiacciati da dinamiche che non sono contemplate in Italia, nell’attesa che il nostro ordinamento si adegui.
Nel tempo questo caso sarà affrontato dal legislatore. Fino a quel momento, chi opera rischia qualcosa se non vi sono norme chiare e definite che, a questo punto, saranno contenute in qualche futuro documento di prassi o nelle prime sentenze in materia, delle Corti di giustizia tributaria.
Una soluzione possibile sarebbe quella di presentare un interpello tributario sulla questione ed avere una risposta al caso specifico, da parte della amministrazione finanziaria.
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