Partite IVA vs dipendenti: chi rischia di più la perdita del lavoro? Le categorie più esposte

La partita IVA non è più sintomo di instabilità. A dirlo sono i dati ISTAT. I più a rischio disoccupazione, invece, sono gli inattivi, i giovani e le donne.

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Partite IVA e dipendenti, stabilità e lavoro

C’è da sempre l’idea che il contratto di lavoro dipendente garantisca maggiori sicurezze rispetto alla partita IVA. Ma i dati oggi sembrano suggerirci altro: a fare fatica a mantenere il lavoro sono soprattutto i giovani dipendenti con contratti a tempo determinato. I lavoratori autonomi, invece, mostrano una permanenza nell’occupazione superiore al 96%. A dirlo è il report ISTAT pubblicato il 15 ottobre, che analizza i flussi di lavoro nel biennio 2023-2024, e individua le categorie più esposte alla disoccupazione e quelle più “sicure”. Al netto dell’aumento dell’occupazione femminile, peggiora soprattutto la possibilità per le donne di far carriera e lavorare full time.

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Rischio di perdita del lavoro: partite IVA e lavoratori dipendenti a confronto

La probabilità di mantenere la stessa occupazione nel tempo è maggiore per i lavoratori con contratto a tempo indeterminato rispetto a quelli con contratto a termine. Ma il contratto a tempo indeterminato ha la stessa stabilità lavorativa di una partita IVA a un anno di distanza, pari al 96% dei casi. I precari, i giovani e i collaboratori continuativi (co.co.co), invece, faticano a trasformare il proprio impiego in un lavoro “sicuro”: solo l’83,8% dei dipendenti a termine e il 78,1% dei collaboratori riesce a restare attivo.

Anche se i contratti a termine mostrano un leggero miglioramento (+0,6 punti rispetto al 2022-2023), la possibilità di passare da un lavoro temporaneo a uno stabile si è fortemente ridotta. Solo il 18% dei dipendenti a termine del 2023 ha ottenuto un contratto a tempo indeterminato nel 2024, contro il 22,7% del periodo precedente, e la possibilità di passare a un contratto stabile si è più che dimezzata: solo il 3,9% diventa dipendente a tempo indeterminato (contro l’8% del 2022-2023).

I collaboratori mantengono lo stesso status solo nel 66% dei casi e, di questi, il 22% esce completamente dal mercato del lavoro in un solo anno. Inoltre, l’ingresso nel mercato del lavoro è sempre più con contratto instabile: nel 2023-2024, oltre la metà dei nuovi occupati (52%) è entrata con un contratto a tempo determinato e un ulteriore 6,9% come collaboratore. Nello stesso periodo, la quota dei contratti a tempo indeterminato tra i nuovi ingressi è scesa al 28,3% (era il 28,7% nel 2022-2023).

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Perdita del lavoro in calo, ma non per tutti: le categorie che migliorano

Secondo l’ISTAT, il 94,4% di chi era occupato nel 2023 lo è ancora nel 2024. Il dato è in aumento rispetto al 94% registrato nel periodo 2022-2023 e conferma un trend positivo iniziato nel 2021, seppur modesto (+0,4%) e con forti differenze tra categorie.

A migliorare la propria condizione sono per lo più: donne (+0,7 punti), stranieri (+2,7 punti), coloro che possiedono un basso titolo di studio (+1 punto), il Mezzogiorno (+1,3 punti). Tuttavia, il divario territoriale e di genere rimane elevato: nel Nord resta occupato il 95% di chi lavorava l’anno prima, contro il 93,2% del Sud. Tra gli uomini il tasso di permanenza è del 95,3%, mentre tra le donne del 93,2%. Pure il livello di istruzione continua a fare la differenza: i laureati hanno una probabilità del 96,5% di mantenere il lavoro, contro il 92,5% di chi possiede solo la licenza media.

L’incertezza del reddito delle partite IVA

I dati vanno comunque letti con cautela. Alla difficoltà di riallocazione e di ingresso nel mercato del lavoro – che tra il 2022 e il 2024 è sceso dal 6,7% al 5,4% – che impedisce ai lavoratori di migliorare la propria posizione lavorativa, per i lavoratori autonomi si aggiunge un’ulteriore criticità. Molti di loro, pur mantenendo aperta la partita IVA (e risultando quindi “occupati”), possono avere periodi senza reddito o con redditi molto bassi e incostanti.

Lasciare il lavoro per trovarne uno nuovo è una scelta che ripaga? A volte sì, ma la possibilità di passare dalla disoccupazione all’occupazione diminuisce di oltre 3 punti rispetto al 2022-2023, attestandosi al 23%.

Ingresso nel mercato del lavoro e carriera di giovani e donne

Al netto del miglioramento della stabilità lavorativa delle donne, la categoria ha subìto il peggioramento delle possibilità d’ingresso, che sono passate dal 16,9% al 13,5%. Lo stesso può dirsi dei giovani tra i giovani 15-34 anni, con una contrazione dal 15% al 12,1%. Le due categorie vivono una condizione di svantaggio pure nelle modalità contrattuali: gli under 35, nel 70% dei casi, ha un contratto temporaneo; le donne, nel 60% di casi, hanno un contratto a termine o di collaborazione. Queste ultime, nell’82,5% dei casi lavorano part-time: una scelta dettata, in più della metà delle situazioni, da una mancanza di alternative e non dalla propria volontà. Per loro scende dal 12,8% al 9,7% la possibilità di transizione verso il tempo pieno.

Pure gli inattivi hanno crescenti difficoltà di accesso: appena il 6,9% trova lavoro, contro l’8,5% dell’anno precedente.

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