La manovra 2026 cambia le regole per andare in pensione. Con l’addio a Quota 103 e Opzione donna, cambia il requisito di anzianità contributiva. Dal 2027 l’età per la pensione di vecchiaia salirà ancora, tanto per i dipendenti, quanto per i lavoratori autonomi. La stretta si accompagna a un taglio sui lavoratori precoci e sulla pensione anticipata per chi svolge lavori gravosi, come già anticipato nei giorni scorsi.
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Pensioni, aumento età e nuovi requisiti dal 2027: chi deve restare a lavoro
L’incremento dei requisiti anagrafici e contributivi riguarda la quasi totalità dei contribuenti iscritti all’INPS. La platea coinvolta comprende i lavoratori dipendenti del settore pubblico e privato, i lavoratori autonomi e professionisti iscritti alla Gestione separata e i lavoratori precoci non rientranti nelle categorie tutelate. Per questi l’uscita dal lavoro viene posticipata di un mese nel 2027 e di altri due nel 2028 (portando il totale a +3 mesi rispetto ai requisiti attuali).
Cosa cambia per la pensione anticipata
Con la manovra 2026 il governo non ha stanziato fondi per il rinnovo di Quota 103 e Opzione donna. I canali agevolati per l’uscita in anticipo dal lavoro vengono quindi eliminati e le uniche alternative possibili rimangono la pensione anticipata ordinaria e l’APE sociale. Tuttavia, per l’anticipo pensionistico ordinario scatta lo stesso adeguamento previsto per la pensione di vecchiaia, solo che in questo caso ad aumentare è l’anzianità contributiva. Pertanto, servirà un mese in più di contributi nel 2027 e altri due mesi nel 2028.
Per gli uomini la soglia contributiva salirà, dagli attuali 42 anni e 10 mesi, a 42 anni e 11 mesi nel 2027, per poi toccare i 43 anni e 1 mese nel 2028. Identico lo scatto per le donne, che vedranno il requisito passare, dai 41 anni e 10 mesi di oggi, ai 41 anni e 11 mesi nel 2027, fino ai 42 anni e 1 mese dal 2028.
In questo modo si punta a eliminare le misure di flessibilità che hanno gravato sulla spesa previdenziale negli ultimi anni, senza proroghe per le uscite flessibili e lasciando attiva esclusivamente l’APE sociale per le categorie svantaggiate (disoccupati di lungo corso, caregiver e invalidi civili).
Nessuna modifica al riscatto della laurea
Dietrofront del governo sulla proposta di sterilizzazione dei contributi fatti vale tramite riscatto della laurea. Nelle prime bozze della manovra 2026 era previsto che, a partire dal 2031, gli anni di laurea riscattati valessero progressivamente meno ai fini della pensione anticipata (fino a una perdita di 30 mesi nel 2035). Questa norma è stata completamente eliminata con un subemendamento. Pertanto, il riscatto della laurea (sia ordinario che agevolato) continuerà a valere pienamente per il raggiungimento dei requisiti contributivi, esattamente come avviene oggi.
Stretta per i lavoratori precoci e chi svolge lavori gravosi
Nonostante la pressione per una quota 41 per tutti, non basta più essere lavoratori precoci per richiedere la pensione al raggiungimento di 41 anni di contributi versati, ma bisogna appartenere alle categorie protette (disoccupati, caregiver, invalidi al 74% e addetti a lavori gravosi). Inoltre, chi sceglie quota 41 riceverà un assegno pensionistico calcolato esclusivamente con sistema contributivo. Questo significa che chi ha iniziato a lavorare molto giovane (prima del 1996) e avrebbe diritto al calcolo retributivo – ovvero a una pensione calcolata in base allo stipendio – subisce un taglio tra il 10% e il 15% degli importi.
La manovra introduce poi criteri più rigidi per la certificazione del lavoro usurante. In particolare, non basterà più la sola mansione contrattuale, ma serviranno prove dell’effettivo svolgimento continuativo dell’attività gravosa negli ultimi 7 anni su 10. Inoltre, per i lavoratori che svolgono attività usuranti, le finestre mobili di attesa tra il raggiungimento del requisito e il primo assegno sono state allungate, passando da 12 a 15 mesi.
Rivalutazione pensioni dal 1° gennaio 2026
Dal 1° gennaio 2026 è confermato, per tutti, l’aumento delle pensioni grazie al meccanismo di rivalutazione. Gli importi aumenteranno dell’1,4%, adeguandosi al nuovo indice dei prezzi ISTAT. Questo aumento non sarà uguale per tutti, ma seguirà uno schema a fasce per contenere la spesa pubblica:
| Fascia di importo (rispetto al minimo) | Percentuale di rivalutazione | Aumento reale |
| Fino a 4 volte il minimo (circa € 2.413 lordi) | 100% | +1,4% |
| Tra 4 e 5 volte il minimo (fino a € 3.017 lordi) | 90% | +1,26% |
| Oltre 5 volte il minimo | 75% | +1,05% |
Per le pensioni pari o inferiori al trattamento minimo è confermato invece l’incremento aggiuntivo dell’1,3%, per contrastare l’erosione del potere d’acquisto dei redditi più bassi. L’assegno base salirà così a circa 611,85 euro.













Redazione
Il team editoriale di Partitaiva.it