Lavoratori in solitario, dall’infarto agli attacchi di panico: tutti i rischi e le misure preventive obbligatorie

Il datore di lavoro è obbligato ad applicare la normativa e a vigilare sul proprio dipendente.

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Sempre più lavoratori in Italia svolgono le proprie mansioni da soli. Si tratta di una realtà che coinvolge diverse categorie: dagli operatori della vigilanza privata ai tecnici delle telecomunicazioni, dagli addetti alla manutenzione fino ai driver per consegne. Ma quali sono gli obblighi normativi per i lavoratori in solitario? E quali responsabilità ricadono su imprese e datori di lavoro per tutelare chi lavora da solo? Per approfondire l’argomento, Partitaiva.it ha intervistato Anna Guardavilla, giurista specializzata in materia di salute e sicurezza sul lavoro.

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Che cos’è il lavoro in solitario 

La prima distinzione importante da fare riguarda cosa si intende per “lavoro in solitario”. “Si tratta di un’attività svolta da un lavoratore senza la presenza fisica di altri lavoratori o supervisori nelle immediate vicinanze e, di conseguenza, senza che venga attuata una vigilanza continuativa sulla corretta esecuzione dell’attività da parte di quel lavoratore e senza che quest’ultimo abbia la possibilità di ricevere assistenza rapida in caso di emergenza”, spiega l’esperta. 

Quali sono i rischi

Lavorare in solitudine comporta alcuni rischi, spesso sottovalutati, ma che possono avere conseguenze gravi. “C’è la possibilità che il lavoratore abbia malori improvvisi (infarto, crisi ipoglicemiche, malori derivanti da esposizione accidentale a sostanze pericolose, elettrocuzione, cadute, urti, tagli, punture di insetto per coloro che operano in agricoltura etc.) o che subisca incidenti stradali (si pensi ai lavoratori addetti alla guida di un automezzo quali rappresentanti commerciali, conducenti di mezzi per consegne, informatori scientifici, autotrasportatori etc.) o, ancora, aggressioni da parte di terzi (si pensi a guardie giurate e vigilanti di aziende, cantieri e abitazioni civili, addetti ai caselli autostradali, operatori notturni)”, continua l’esperta.

Da non trascurare anche i rischi psicosociali del lavoratore in solitario. “Non va sottovalutato il rischio da stress lavoro-correlato legato all’isolamento prolungato, all’assenza di interazioni sociali, alla consapevolezza della mancanza di supporto immediato. Condizione che, peraltro, può determinare una maggior gravità delle conseguenze di un infortunio, anche banale, per i tempi di intervento prolungati. E poi c’è pure il senso di insicurezza, soprattutto nell’ambito del lavoro notturno o svolto in aree isolate”. 

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Lavoratori in solitario, la normativa: obblighi per il datore di lavoro

Anche nelle microimprese o nelle realtà con un solo collaboratore, il datore di lavoro deve rispettare doveri precisi in materia di prevenzione. “Anzitutto, deve effettuare una valutazione preventiva dei rischi specifici e, sulla base di questa, adottare le misure tecniche, organizzative e procedurali conseguenti – fa sapere Guardavilla -. Tra queste misure possono rientrare, ad esempio, i dispositivi di comunicazione e allarme (telefoni cellulari, radio, dispositivi GPS o ‘uomo a terra’, sistemi automatici di allarme in caso di immobilità o caduta), le procedure di controllo e sorveglianza (chiamate periodiche o sopralluoghi, controllo remoto tramite centrali operative), la formazione e l’addestramento (con particolare attenzione alla gestione delle emergenze e all’uso dei dispositivi di sicurezza), la pianificazione degli interventi di emergenza (procedure per allertare i soccorsi, conoscenza delle vie di fuga e dei punti di ritrovo) e la sorveglianza sanitaria se prevista in relazione ai rischi specifici cui sono esposti i lavoratori”.

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La questione della vigilanza sul lavoratore in solitario

Uno degli aspetti più critici è quello della vigilanza sui lavoratori in solitario. È obbligatoria? E come si organizza in assenza di supervisione fisica? L’esperta spiega che “secondo il decreto legislativo 81/2008, la vigilanza è un obbligo in capo al datore di lavoro e al dirigente anche nei confronti dei lavoratori isolati. L’idea che un lavoratore esperto possa essere ‘preposto di se stesso’ è una convinzione del tutto priva di fondamento giuridico”.

Il concetto è chiaro: “La vigilanza, per definizione, implica che A vigili su B – precisa -. Il fatto che un lavoratore sia esperto non elimina l’obbligo di predisporre una sorveglianza adeguata su di lui. Il lavoratore ha l’obbligo di prendersi cura di sé, ma ciò non sostituisce la vigilanza da parte del datore di lavoro o di un preposto incaricato e individuato”.

Le indicazioni della Commissione parlamentare d’inchiesta

La giurista Guardavilla precisa che un riferimento giuridico importante è rappresentato proprio dalla Relazione finale della Commissione parlamentare di inchiesta sulle condizioni di lavoro (2019-2022), alla base della legge 215/2021. La Commissione ha infatti ribadito l’obbligo inderogabile della vigilanza, indicando due scenari:

  • in azienda con un solo lavoratore, il ruolo di preposto deve essere ricoperto dal datore di lavoro;
  • per lavoratori inviati in esterno, è necessario attivare un sistema di vigilanza “random” con preposti itineranti. In assenza di ciò, la responsabilità ricade direttamente su datore o dirigenti.

Quando la mancata vigilanza diventa reato

La mancata adozione di adeguate misure di vigilanza e prevenzione dei lavoratori in solitario può comportare responsabilità penali gravi. Guardavilla richiama due sentenze esemplari. La prima, della Cassazione penale, sez. IV, n.4917/2010, riguarda un infortunio mortale avvenuto in un silo di grano, durante il turno notturno. “La Corte ha confermato la responsabilità del datore di lavoro per non aver garantito la presenza di un altro lavoratore a presidio dell’accesso al silo, ritenendo insufficiente una vigilanza svolta ‘a intervalli’ da un capoturno”, aggiunge l’esperta.

La seconda è più recente, della Cassazione penale, sez. IV, n.14799/2025. In questo caso, una lavoratrice solitaria notturna di un supermercato ha sviluppato un disturbo da panico. “La Cassazione ha riconosciuto che l’azienda non aveva effettuato una valutazione dei rischi psicosociali, né attivato la sorveglianza sanitaria, come previsto dalla normativa sul lavoro notturno. Il DVR risultava generico e privo di validità legale”, conclude.

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Cristina Siciliano

Giornalista e scrittrice

Giornalista pubblicista, classe ‘97, con una solida formazione classica. Dopo la laurea conseguita con lode in Filologia Moderna, ho frequentato un Master in giornalismo politico-economico multimediale presso la 24ORE Business School. Ho collaborato con testate nazionali, come Leggo.it, e locali. Sono autrice del libro Breviario del silenzio: tra anima e parole, edito da Affiori, marchio di Giulio Perrone Editore.

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