Infortuni, incidenti e morti sul lavoro, ma anche malattie professionali invalidanti o mortali. Le pagine di cronaca restituiscono il quadro di un’Italia in cui di lavoro si muore. La regione con il numero più alto di morti bianche è la Lombardia, mentre quella in cui si ammala più spesso è la Toscana. Accanto al vulnus dei salari inadeguati , c’è quello ancora più grave della mancanza di sicurezza sul lavoro che ogni giorno espone una buona parte dei cittadini al rischio di non tornare più a casa.
Quali sono le professioni più a rischio di infortuni? Da cosa è determinata principalmente l’esposizione dei lavoratori al rischio di patologie collegate all’attività svolta? Quanto incide sui dati l’attenzione che un’azienda riserva alla prevenzione e alla consapevolezza del singolo lavoratore? Incrociando i dati di INAIL e Fondazione Consulenti del Lavoro, Partitaiva.it ha cercato di rispondere a tutte queste domande.
Indice
- Infortuni sul lavoro e morti bianche: le regioni più a rischio
- Infortuni gravi o mortali: i settori più a rischio e il caso Bolzano
- Dall’artrite ai tumori, le “malattie professionali” più frequenti
- Morto dopo 38 anni di lavoro su treni con amianto, riconosciuto indennizzo alla vedova
- Amianto, sostanza cancerogena priva di soglia che semina morte
Infortuni sul lavoro e morti bianche: le regioni più a rischio
A Napoli tre operai hanno perso la vita cadendo da un ponteggio mobile mentre eseguivano alcuni lavori di ristrutturazione in un edificio di 7 piani. A Roma, un operaio di 64 anni è morto all’interno dell’Aeroporto di Fiumicino dopo essere caduto mentre lavorava sul tetto di un’officina. Tragedia nei campi a Ferrara, dove qualche settimana fa una lavoratrice romena di 44 anni ha perso la vita in un incidente con un mezzo agricolo. E questa è solo la cronaca degli ultimi giorni.
L’infortunio è un evento improvviso e violento, mentre la malattia professionale si sviluppa gradualmente nel tempo a causa dell’esposizione prolungata a rischi lavorativi: ecco spiegata la sostanziale differenza tra infortuni e malattie professionali.
Secondo i dati Inail, tra gennaio e maggio 2025, sono state presentate 202.522 denunce di infortuni (in occasione di lavoro e in itinere con esclusione dei casi occorsi agli studenti). È la Lombardia a guidare la classifica delle regioni che hanno registrato il maggior numero di casi (36.734). Seguono:
- Emilia Romagna (26.247);
- Veneto (24.379);
- Toscana (16.468).
Complessivamente, in queste quattro regioni si concentra il 51% delle denunce registrate in tutto il Paese. Gli incidenti che hanno avuto esito mortale, invece, sono stati 378: erano stati 362 nello stesso periodo del 2024. Il 50% delle morti bianche si concentra in cinque regioni:
- Lombardia (58);
- Veneto (38);
- Campania (32);
- Piemonte (31);
- Sicilia (30).
Da Nord a Sud, i fattori che incidono sulla sicurezza sul lavoro
Cosa si intende per sicurezza sul lavoro? Leggere i dati ufficiali significa osservare un fenomeno sul quale, nonostante segnali di lieve miglioramento, non sembrano incidere positivamente né le nuove norme, né i controlli più stringenti, né la spinta verso nuovi investimenti finalizzati a tutelare la salute dei lavoratori.
La spiegazione è semplice: un problema complesso necessita di risposte che non è sufficiente che intervengano in modo univoco sul fronte dell’emergenza, ma che piuttosto agiscano anche a monte, contribuendo a costruire una cultura della prevenzione. Tuttavia sappiamo bene che coltivare coscienza e consapevolezza è un progetto a lungo termine.
Restano i dati e ci dicono che il rischio di infortuni sul lavoro non è distribuito in modo omogeneo sul territorio nazionale. È la Fondazione dei Consulenti del Lavoro a offrire una chiave di lettura dei dati, puntando su una serie di fattori di natura economica, strutturale, sociale e culturale che ne determinano la variabilità a livello territoriale.
Il Mezzogiorno è l’area dove, ad esempio, si registra una bassa concentrazione di infortuni (19,9% nel 2024) ma la più elevata quota di infortuni mortali, pari al 34,4%: “un dato questo – scrivono – che può essere ricondotto sia alla minore propensione alla denuncia (aspetto che a sua volta sottende molteplici cause) che a una maggiore gravità del fenomeno, riconducibile alle caratteristiche economico produttive del territorio. La situazione opposta si ha al Nord-Est, dove pur concentrandosi circa un terzo degli infortuni totali (33%) si registrano solo il 20,4% di quelli mortali”.
Infortuni gravi o mortali: i settori più a rischio e il caso Bolzano
Secondo Ester Dini, responsabile dell’Ufficio Studi della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro, uno dei principali elementi che incidono su tali differenze è la specializzazione produttiva dei territori. “Regioni – spiega a Partitaiva.it – caratterizzate da una forte presenza di settori ad alto rischio, come l’edilizia, l’agricoltura o la pesca, tendono a registrare un numero maggiore di infortuni gravi e mortali, come avviene nel Mezzogiorno, dove queste attività hanno un peso rilevante nell’economia locale”.
Bolzano viene citata nel report della Fondazione Consulenti del Lavoro come esempio calzante perché questa città è caratterizzata da una forte presenza di settori produttivi ad alto rischio, come l’agricoltura di montagna, l’edilizia alpina e il turismo stagionale. “Queste attività – si legge nel documento – comportano spesso lavori manuali intensi, svolti in condizioni ambientali complesse, come cantieri in quota o interventi in aree boschive, che aumentano la probabilità di infortuni. Inoltre, la stagionalità di molte occupazioni, soprattutto nel settore turistico, implica un alto turnover di lavoratori, talvolta giovani o stranieri, che possono avere una formazione insufficiente o poca esperienza, con conseguente maggiore esposizione al rischio”.
La dimensione delle imprese, il lavoro nero e la prevenzione degli infortuni sul lavoro
“Un secondo fattore – prosegue Dini – riguarda la dimensione media delle imprese. Nelle regioni dove prevale una struttura di micro e piccole imprese, è più difficile garantire un adeguato livello di sicurezza”. Il motivo? Semplice. Mancano spesso risorse, strutture organizzative dedicate e competenze specialistiche in materia di prevenzione. “Questo fenomeno è particolarmente diffuso nel Sud Italia, ma anche in alcune aree interne del Centro e del Nord”, chiarisce l’esperta.
A tutti questi elementi va aggiunta la maggiore incidenza del lavoro irregolare in tante aree del Mezzogiorno. Dini chiarisce il perché: “Questo determina non solo un fenomeno di sommerso delle denunce, che emerge invece in presenza dei casi più gravi, ,a anche una maggiore esposizione al rischio dei lavoratori senza regolare contratto o in condizioni precarie, spesso non coinvolte nei percorsi di prevenzione che le aziende pongono in essere. Non va infine trascurata la differente presenza e capacità operativa degli organismi di vigilanza (come le ASL, gli ispettorati del lavoro, gli enti bilaterali), che rappresenta un deterrente importante per le imprese”.
Dall’artrite ai tumori, le “malattie professionali” più frequenti
Le denunce per malattie professionali, tra gennaio e maggio 2025, sono state 42.383. Di queste, ben 31.513 hanno riguardato gli uomini e 10.870 le donne. Ma i dati sono in aumento per entrambi i generi, rispettivamente +9,59% e +7,5% rispetto allo stesso periodo del 2024.Per un singolo lavoratore afflitto da diverse malattie, precisa l’INAIL, possono essere protocollate più denunce.
Guardando alla concentrazione “regionale” delle denunce, spicca la Toscana che conta da sola 7.044 casi, quasi quanto tutti quelli registrati nel Nord-Est. Seguono la Puglia (4.884), l’Emilia Romagna (3.474). La regione più virtuosa è la Valle d’Aosta con appena 28 casi. Curiosità: a livello provinciale la maglia nera va a Pisa, in Toscana, con 1.568 denunce; decisamente più virtuosa Biella, in Piemonte, con appena 14 casi.
Quali sono le patologie professionali più frequenti? Secondo l’Inail, quasi 25 mila segnalazioni hanno riguardato malattie del sistema osteo muscolare e del tessuto connettivo come ad esempio: artrite reumatoide, tendinite ma anche ernia del disco e vasculiti. Circa 4 mila, invece, le denunce che hanno riguardato le malattie del sistema nervoso. Al terzo posto troviamo le segnalazioni di malattie all’orecchio (2.089). Poi 908 casi di tumore e 9.115 casi invece rientrano nella categoria delle malattie “non determinate”.
Morto dopo 38 anni di lavoro su treni con amianto, riconosciuto indennizzo alla vedova
Il tribunale di Catania ha condannato l’INAIL a costituire una rendita di reversibilità in favore della vedova di C.F., ex aggiustatore meccanico delle Ferrovie dello Stato, morto a 65 anni per carcinoma polmonare. Il tumore, nonostante l’uomo fosse un fumatore, è stato riconosciuto come malattia professionale da esposizione all’amianto, e l’indennizzo complessivo alla vedova supera i 150mila euro.
A entrare nel dettaglio della sentenza è l’avvocato Ezio Bonanni, presidente dell’Osservatorio Nazionale Amianto che ha difeso la vedova dell’ex aggiustatore meccanico e che al nostro giornale racconta cosa è successo: “Le Ferrovie dello Stato, già ente pubblico, ora società per azioni, il cui capitale è per la stragrande maggioranza in mano pubblica, hanno utilizzato l’amianto come materia prima, nei rotabili e nelle carrozze ferroviarie, nelle stesse massicciate ferroviarie e nelle stesse installazioni, tra cui le stazioni e officine. Così, anche presso Catania”.
L’amianto, ma soprattutto la mancata informazione e formazione, avrebbe determinato l’elevata e continuativa esposizione e quindi un vero e proprio fenomeno epidemico di malattie asbesto correlate tra i dipendenti FS.
Amianto, sostanza cancerogena priva di soglia che semina morte
In Italia vi sono innumerevoli casi analoghi a quello dell’ex meccanico di Ferrovie dello Stato. Bonanni cita i dati contenuti nell’VIII Rapporto ReNaM, pubblicato da INAIL lo scorso 26 febbraio: “Tra tutti i dipendenti FS, 795 casi di mesotelioma (3,1% del totale). Un numero abnorme, tenendo conto del totale dei lavoratori italiani, e che fanno proprio delle FS, e dei suoi dipendenti, uno dei più alti indici epidemiologici, a dimostrazione sia dell’abnorme uso di amianto, sia della violazione delle regole cautelari”.
Ci sono poi un numero di casi tra coloro che hanno abitato nei dintorni delle stazioni e delle officine grandi riparazioni, che purtroppo si sono ammalati di mesotelioma per il rilascio di fibre. “Questa neoplasia – aggiunge il presidente dell’ONA – è la punta dell’iceberg delle patologie asbesto correlate, che annoverano anche l’asbestosi, il cancro del polmone e altre neoplasie, del tratto respiratorio e gastrointestinale”.
Si deve tener conto che la più recente direttiva (UE) 2023/2668, nel settimo ‘considerando’: ‘Poiché l’amianto è una sostanza cancerogena priva di soglia, non è scientificamente possibile individuare un livello al di sotto del quale l’esposizione non produrrebbe effetti nocivi sulla salute’, e che, sempre secondo tale direttiva, oltre che evidentemente di tutte le pubblicazioni scientifiche, queste fibre provocano ‘-asbestosi, -mesotelioma, -cancro del polmone, -cancro gastrointestinale, -cancro della laringe, -cancro delle ovaie, -malattie pleuriche non maligne’. Per questi motivi, è di tutta evidenza che il mesotelioma, che è l’unica neoplasia per la quale sussiste la rilevazione pubblica, è la punta dell’iceberg.
L’ONA: “Esposizioni all’amianto proseguite anche dopo le bonifiche”
Utilizzando un’apposita app, l’ONA sta mappando l’intero territorio nazionale con tutti i dati e con le segnalazioni in ordine a tutti i siti contaminati. Sulla base dei dati raccolti, emerge che l’indice epidemiologico complessivo, per quanto riguarda le FS, è tale per cui il numero dei decessi, considerando anche il cancro del polmone e altre patologie, non può essere inferiore a 3000 morti. Per questo motivo, l’ONA prosegue la tutela di tutti gli ex dipendenti di FS esposti ad amianto.
“Sì, perché nel frattempo – spiega Bonanni – dalla metà degli anni ’90, le FS hanno avviato un programma di fuoriuscita dall’amianto. Non solo evitando di usarlo, tra l’altro poco prima dell’entrata in vigore della legge 257/1992, ma soprattutto cercando di bonificare, anche se lentamente”.
Le bonifiche dei rotabili ferroviari hanno una lunga vita, per cui tutti i rotabili a suo tempo costruiti con amianto sono stati scoibentati, ovvero è stato rimosso l’amianto, a partire dalla fine degli anni ’80. “Quindi, la scoibentazione è proseguita fino a dopo i primi anni 2000, le esposizioni sono proseguite e, con i lunghi tempi di latenza, il dato epidemiologico proseguirà almeno per i prossimi 30-40 anni in ordine alle esposizioni in FS”, conclude l’avvocato Bonanni.
Sanità e istruzione: i settori più esposti all’amianto che non ti aspetti
“Sicuramente le professioni con maggior rischio vanno identificate secondo i periodi – chiarisce Bonanni -. Allo stato attuale, è chiaro che le attività più a rischio sono quelle di coloro che smaltiscono l’amianto, in ambito di attività di bonifica. Tuttavia, coloro che ad oggi fanno registrare casi di malattie asbesto correlate sono coloro che sono stati esposti 20, 30 e anche 60 anni fa. Quindi, ora si stanno concretizzando le conseguenze dell’esposizioni pregresse. Nel tempo, ed in ragione dei casi che si stanno verificando ora”.
Secondo l’analisi dell’ONA, gli ambiti di più elevata esposizione, e quindi di incidenza di malattie asbesto correlate, sono ancora quello edile, dei cantieri navali, dei rotabili ferroviari e della difesa militare, che incide per il 4,8% del totale dei casi di mesotelioma e per un numero considerevole di tumori polmonari. Questo a causa della sinergica esposizione ad altri cancerogeni, oltre che all’uso dei proiettili a uranio impoverito. “Ad oggi, in virtù degli ultimi aggiornamenti, tra i settori a maggior rischio troviamo quello della sanità e dell’istruzione. Ciò si è verificato, in modo particolare, per l’uso di amianto nelle scuole e negli ospedali e il ritardo della bonifica”, conclude Bonanni.
Patrizia Penna
Giornalista professionista