Ratifica MES, tra pressioni UE e retorica sovranista, il governo Meloni sceglie il silenzio

L'Italia vuole essere protagonista della costruzione europea, con tutti i vincoli e le opportunità che questo comporta, o preferisce coltivare l'illusione di una sovranità solitaria?

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Ratifica MES Meloni Lagarde

Christine Lagarde torna alla carica. La presidente della BCE ha rinnovato il suo appello all’Italia per la ratifica del MES (Meccanismo Europeo di Stabilità), che dal 2021 attende invano il via libera del parlamento italiano. Mentre Palazzo Chigi continua ad arrivare solo silenzio, Lagarde apre un altro fronte nel dibattito: usare il MES per aumentare in modo “sicuro” le spese per la difesa.

Ratifica MES, Italia unico Paese UE “attendista”: il peso della retorica sovranista

L’Italia è ormai l’unico Paese dell’eurozona a non aver completato l’iter di ratifica. Una posizione scomoda, che riflette le contraddizioni profonde della politica italiana degli ultimi anni. Il MES è stato dipinto come il “fondo salva-Stati” che avrebbe messo sotto tutela i Paesi in difficoltà e, da altri, come uno strumento di controllo tedesco mascherato da solidarietà europea. Una narrazione che ha attraversato maggioranze diverse, trovando terreno fertile nel sovranismo di Lega e Fratelli d’Italia.

Oggi Giorgia Meloni si trova in una posizione delicata. Ratificare la riforma significherebbe sconfessare anni di battaglie retoriche, ammettere che forse il MES non è quel mostro descritto in campagna elettorale. Ma rifiutare esplicitamente di procedere comporterebbe tensioni con Bruxelles e la BCE proprio mentre l’Italia ha bisogno di mantenere la propria credibilità sui mercati finanziari. Lo spread non perdona e la memoria dei governi Monti e Letta è ancora viva.

La strategia scelta sembra essere quella dell’attesa: non dire né sì, né no, lasciare che il tempo passi, sperare che il tema scivoli nell’oblio mediatico. Ma Lagarde non sembra intenzionata a lasciare cadere la questione.

La pressione di Lagarde? Tempismo perfetto

Le esortazioni della presidente BCE non sono casuali. Arrivano in un momento in cui i mercati sono nervosi, i tassi d’interesse restano elevati e il debito pubblico italiano continua a rappresentare una fragilità strutturale dell’eurozona. La riunione del consiglio direttivo della BCE prevista a Firenze per fine ottobre potrebbe essere l’occasione per tornare sul tema con ancora più forza. Non a caso la scelta di Firenze, città simbolo della finanza europea: un richiamo alla tradizione dei grandi banchieri del Trecento, ma anche alla fragilità dei sistemi finanziari quando manca solidarietà e coordinamento.

Lagarde sa bene che l’Italia, più di altri Paesi, potrebbe aver bisogno in futuro di una rete di sicurezza finanziaria. E il MES riformato, con condizionalità alleggerite rispetto al passato, è pensato proprio per questo. La presidente BCE ha sottolineato che la riforma sia indispensabile per completare il mercato unico del risparmio e degli investimenti, uno dei principali progetti europei delineati nei rapporti di Draghi e Letta, ora adottati dalla Commissione.

Ma c’è di più. Lagarde ha collegato il MES anche alle spese per la difesa europea, aprendo un fronte nuovo nel dibattito – anche se non del tutto, visto che, già l’anno scorso, il think tank belga Bruegel proponeva un fondo parallelo per lo scopo -, seppur senza sbilanciarsi troppo. In un’Europa che deve fare i conti con la guerra in Ucraina e con le pressioni per aumentare significativamente gli investimenti militari, avere uno strumento comune di finanziamento diventa una questione geopolitica.

Rarifica MES in Italia, le perplessità di chi non la vuole

Il dilemma italiano sul MES resta sempre lo stesso: quanto siamo disposti a cedere in termini di sovranità nazionale per ottenere solidarietà europea? Il MES, anche nella sua versione riformata, prevede forme di controllo e condizionalità sui Paesi che vi accedono. Certo, meno invasive di quelle del passato, ma comunque presenti.

Le ragioni di chi si oppone alla ratifica non sono tutte pretestuose o ideologiche. Ci sono preoccupazioni concrete e legittime. In primo luogo, la condizionalità: anche se alleggerita, il MES prevede che i Paesi che vi accedono si sottopongano a una forma di sorveglianza macroeconomica. Per un Paese con un debito pubblico come quello italiano, questo significa aprire potenzialmente la porta a vincoli e raccomandazioni su politiche fiscali, riforme strutturali, gestione della spesa pubblica. Troika greca docet.

In secondo luogo, c’è la questione dei costi. L’Italia ha sottoscritto un capitale di oltre 125 miliardi, versandone oltre 14. Cifre significative per le casse pubbliche che, per alcuni, sarebbero ingiustificate: perché impegnare queste risorse per uno strumento che potremmo non usare mai, o peggio, che potremmo essere costretti a usare proprio perché troppo deboli per farne a meno?

C’è poi il timore della stigmatizzazione dei mercati. Accedere al MES, anche con le nuove linee di credito precauzionali, potrebbe essere interpretato dai mercati come un segnale di debolezza. Il risultato paradossale potrebbe addirittura essere l’aumento dello spread proprio mentre si cerca protezione.

La sovranità assoluta è un’opportunità?

L’ultima questione a proposito del MES, quella più cara alla maggioranza, è di principio politico. I sovranisti sostengono che il MES rappresenti un’altra tappa della cessione di sovranità a organismi tecnocratici non eletti. In un momento in cui molti cittadini europei si sentono distanti dalle istituzioni di Bruxelles, la ratifica si tradurrebbe in una legittimazione ulteriore di un sistema di governance che molti percepiscono come lontano e antidemocratico.

I sostenitori ribattono che in un mondo globalizzato e interconnesso, la sovranità assoluta sia un’illusione e che i meccanismi di mutualizzazione del rischio siano nell’interesse di tutti, Italia compresa. Il Belpaese crede davvero di potersi permettere di restare fuori? Quando arriverà la prossima crisi finanziaria – che arriverà – sarà certamente meglio avere accesso a uno strumento condiviso, piuttosto che ritrovarsi da soli a negoziare con i mercati.

MES per il riarmo europeo: cambio di obiettivi

L’aspetto forse più interessante dell’ultimo intervento di Lagarde è il collegamento tra MES e spese militari. L’Europa è chiamata ad aumentare in modo importante i propri investimenti in difesa. Nello scorso vertice NATO a L’Aia, gli Stati membri NATO hanno stabilito di destinare il 5% del PIL entro il 2035. Seppure Giorgia Meloni abbia rassicurato sul tetto al 2%, si tratta comunque di cifre enormi, che metteranno sotto pressione i bilanci pubblici di tutti i Paesi membri, senza nemmeno la costruzione di un vero esercito comune.

Tuttavia, se il MES si evolvesse da fondo “salva-Stati” a strumento di finanziamento per investimenti comuni in difesa, cambierebbe radicalmente la sua natura. Per l’Italia, che già fatica a rispettare i vincoli di bilancio, questa potrebbe essere un’opportunità. Invece di dover trovare da sola le risorse per il riarmo, potrebbe accedere a finanziamenti comuni a condizioni favorevoli; ma per farlo, bisognerebbe prima ratificare la riforma.

Nessuno è indispensabile: il silenzio non ripaga

Il governo Meloni, che facendo finta di niente continua a perdere credibilità, non potrà evitare all’infinito di prendere una posizione. Prima o poi, la pressione europea, la logica dei mercati e la realtà geopolitica imporranno una scelta. La ratifica del MES è soprattutto una scelta di campo: l’Italia vuole essere protagonista della costruzione europea, con tutti i vincoli e le opportunità che questo comporta, o preferisce coltivare l’illusione di una sovranità solitaria in un mondo sempre più complesso e pericoloso?

È necessario che il governo chiarisca definitivamente la propria posizione: o conferma il rifiuto del trattato, presentando una proposta alternativa credibile, oppure aderisce alle modifiche già sottoscritte dagli altri Paesi. Il silenzio non è una risposta. Mentre l’Italia tentenna, l’Europa va avanti, anche senza di noi.

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Ivana Zimbone

Direttrice responsabile

Direttrice responsabile di Partitaiva.it e della rivista filosofica "Vita Pensata". Giornalista pubblicista, SEO copywriter e consulente di comunicazione, mi sono laureata in Filosofia - con una tesi sul panorama dell'informazione nell'era digitale - e in Filologia moderna. Ho cominciato a muovere i primi passi nel giornalismo nel 2018, lavorando per la carta stampata e l'online. Mi occupo principalmente di inchieste e approfondimenti di economia, impresa, temi sociali e condizione femminile. Nel 2024 ho aperto un blog dedicato alla comunicazione e alle professioni digitali.

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