Contratto misto: partita IVA e dipendente nella stessa azienda, la novità del Ddl Lavoro

L'esecutivo apporta modifiche alla norma che regolamenta i contratti misti, favorendo le soluzioni ibride tra lavoro autonomo e indipendente. Ecco le cause e le criticità.

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  • Il Ddl Lavoro modifica la normativa sui contratti misti, combinando lavoro part-time e attività autonoma con il regime forfettario.
  • La normativa deroga il divieto precedente, ma impone condizioni come la separazione tra le attività.
  • Rimane alto il rischio di abusi da parte delle aziende, oltre alle forti limitazioni per le PMI in favore delle grandi imprese.

Gli ultimi dati ISTAT sull’occupazione relativi a luglio 2024 parlano di un mercato del lavoro sempre più frammentato. A trainare la tanto ostentata crescita dell’occupazione, un esercito di lavoratori autonomi, circa 5,2 milioni, molti dei quali si sono trovati ad aprire partita IVA non per spirito imprenditoriale, bensì per mera necessità.

Le cause del fenomeno sono attribuibili a un precariato sempre più pervasivo e alla scarsità di offerte di lavoro dipendente: per molti la scelta è quindi tra l’inattività e il lavoro autonomo.

Proprio per questo motivo, fa discutere il recente emendamento al Ddl Lavoro, che interviene sulla clausola che regolamenta i cosiddetti “contratti misti”, andando a favorire le formule di lavoro ibrido. Vediamo cosa significa.

Cosa sono i contratti misti e come funzionano

Il contratto misto è una tipologia contrattuale che combina elementi del lavoro subordinato e del lavoro autonomo. In pratica, permette a un lavoratore di essere contemporaneamente un dipendente part-time e un libero professionista con partita IVA presso la stessa azienda.

Nel dettaglio, il lavoratore viene assunto con un contratto di lavoro dipendente a tempo parziale, con un orario compreso tra il 40% e il 50% del tempo pieno previsto dal contratto collettivo applicabile. Parallelamente, lo stesso lavoratore può svolgere attività come libero professionista, usufruendo del regime fiscale forfettario e beneficiando di un’aliquota agevolata del 15% sull’imponibile relativo al reddito autonomo.

Prima delle modifiche introdotte con il Ddl Lavoro, era in vigore una clausola ostativa (art. 1, comma 57, lettera d-bis della legge n. 190 del 2014), che impediva ai lavoratori dipendenti di accedere al regime forfettario per le attività svolte prevalentemente nei confronti del proprio datore di lavoro o di soggetti collegati.

Questa clausola era stata introdotta per contrastare l’abuso delle partite IVA mono-committenti, utilizzate spesso per evitare di fornire ai lavoratori le tutele tipiche del lavoro subordinato.

Con il nuovo emendamento approvato nella seduta del 19 settembre 2024, questa clausola ostativa viene derogata, consentendo a chi lavora con contratti misti di beneficiare del regime forfettario anche se svolge attività autonoma per la stessa azienda con cui ha un rapporto di lavoro dipendente.

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Le condizioni per accedere ai contratti misti

L’accesso al contratto misto non è automatico e richiede il rispetto di specifiche condizioni, sia per i lavoratori che per le aziende. In particolare, per i professionisti iscritti ad albi o registri, il contratto misto è disponibile solo se l’azienda ha più di 250 dipendenti.

Questa condizione è stata chiaramente definita nel Ddl Lavoro, che stabilisce anche che il numero dei dipendenti venga calcolato sulla base dei dati al 1° gennaio dell’anno in cui viene stipulato il contratto.

Inoltre, il lavoratore deve essere assunto con un contratto part-time a tempo indeterminato, con un orario compreso tra il 40% e il 50% del tempo pieno. L’attività autonoma, parallelamente, deve essere certificata dalle autorità competenti per garantire che non ci siano abusi da parte del datore di lavoro.

Un requisito inserito per assicurare, nella teoria, che non si verifichino situazioni in cui il lavoro autonomo nasconda in realtà un rapporto di lavoro subordinato non tutelato.

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Per i lavoratori non iscritti ad albi o registri, l’accesso al contratto misto richiede invece la stipula di un accordo di prossimità ai sensi dell’art. 8 del DL n. 138 del 2011, finalizzato a promuovere l’occupazione e contrastare il lavoro irregolare.

Un’altra condizione stabilita dalle nuove norme riguarda la necessità di evitare la sovrapposizione tra le attività svolte come dipendente e quelle come autonomo.

Non devono esserci conflitti di interesse o di orario tra i due tipi di lavoro e il lavoratore deve eleggere un domicilio professionale distinto da quello dell’azienda per la quale lavora come dipendente. Inoltre, il lavoratore non deve superare gli 85.000 euro di ricavi o compensi annui per poter accedere al regime forfettario.

La deroga al divieto di regime forfettario: cosa cambia

Prima delle modifiche, la normativa italiana vietava ai lavoratori dipendenti di accedere al regime forfettario per le attività svolte prevalentemente nei confronti del proprio datore di lavoro o di soggetti ad esso riconducibili, attuali o dei due anni precedenti. Questa clausola, introdotta con la legge n. 190 del 2014, aveva l’obiettivo di evitare che i lavoratori venissero impiegati come autonomi quando di fatto erano dipendenti.

Con l’emendamento approvato a settembre 2024, questa clausola viene derogata per chi stipula un contratto misto. In altre parole, un lavoratore potrà operare in regime forfettario anche se svolge attività autonoma per la stessa azienda con cui ha un contratto di lavoro dipendente. Tuttavia, restano necessarie la certificazione del contratto autonomo e la separazione netta tra le due attività.

Il razionale dell’esecutivo per giustificare tale manovra è quello di favorire una maggiore flessibilità, permettendo ai lavoratori di integrare il proprio reddito con attività autonomo-professionali, pur mantenendo un rapporto subordinato con la stessa azienda. Resta però da capire se lo Stato sarà in grado di monitorare e prevenire abusi nell’applicazione pratica.

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Possibili rischi e criticità del contratto misto

Nonostante l’apparente flessibilità e i potenziali vantaggi, il contratto misto presenta infatti diverse criticità che non vanno sottovalutate. Tra i principali rischi c’è la possibilità che le aziende utilizzino questa formula per ridurre i costi del personale, trasformando di fatto rapporti di lavoro subordinato in autonomi, con lo scopo di risparmiare su contributi e tutele, alimentando così il precariato.

Dal lato dei lavoratori, combinare un impiego part-time con un’attività autonoma potrebbe non garantire la stabilità economica auspicata, soprattutto se l’attività autonoma non genera i ricavi previsti. Inoltre, la gestione di due contratti distinti con lo stesso datore di lavoro potrebbe generare incertezze dal punto di vista legale e fiscale, richiedendo un’attenzione particolare alla compliance normativa che sarà principalmente a carico del lavoratore.

Infine, le condizioni per accedere al contratto misto favoriscono principalmente le grandi imprese con più di 250 dipendenti, escludendo di fatto le piccole e medie imprese (PMI), a meno che non siano presenti accordi di prossimità e comunque evitare la sovrapposizione tra le attività da dipendente e quelle da autonomo potrebbe risultare complicato, specialmente in settori altamente specializzati.

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Francesca Di Feo

Redattrice Partitaiva.it

Classe 1994, immediatamente dopo gli studi ho scelto di intraprendere una carriera nel Project Management in ambito di progetti Erasmus+ per EPS. Questo mi ha portato ad approfondire in particolare le tematiche inerenti alla fiscalità delle PMI, anche se la mia area di expertise risulta oggi molto più ampia in questo ambito. Oggi sono copywriter freelance appassionata di scrittura e di innovazione per le piccole e medie imprese.

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