In caso di accertamento fiscale, l’Agenzia delle Entrate può basarsi su semplici presunzioni indiziarie. Non è obbligata, quindi, a portare in tribunale tutti i documenti originali che dimostrano l’illecito. Se l’accusa riguarda, ad esempio, l’uso illegittimo di crediti d’imposta (magari tramite un modello F24), il Fisco non deve per forza esibire in tribunale l’esemplare cartaceo o digitale di quel modello specifico per dimostrare che è stata commessa un’irregolarità .
La prova dell’irregolarità può essere fornita in altri modi. Utilizzando elementi indiziari (cioè prove “non dirette”, ma che fanno presumere l’illecito) e altri documenti che sono stati raccolti durante la verifica fiscale. Se da questi emerge in modo chiaro che quell’operazione era illegittima, quelle prove sono sufficienti. Questo orientamento è stato recentemente confermato dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 30773/2025.
Accertamento fiscale: quando può basarsi su semplici presunzioni indiziarie
Il sistema tributario italiano ammette che l’attività di accertamento, compreso l’accertamento parziale, possa fondarsi su elementi presuntivi, purché dotati dei requisiti di gravità , precisione e concordanza. Ciò significa che, ai fini della ricostruzione del debito fiscale, il Fisco può utilizzare incroci bancari, accessi a banche dati e testimonianze tecniche o anomalie contabili. Anche in assenza della documentazione originale acquisita integralmente.
Nel caso esaminato dalla Cassazione, la verifica fiscale aveva evidenziato operazioni di compensazione indebita realizzate con crediti non spettanti, sulla base della documentazione acquisita e del libro unico dei lavoratori, nonché della disponibilità informatica degli F24 nei sistemi dell’amministrazione. La difesa aveva contestato la mancata produzione fisica dei modelli e la genericità della prova. Tuttavia, la Corte ha ritenuto tale argomentazione priva di fondamento, sostenendo che la documentazione raccolta in sede di controllo era sufficiente a dimostrare il fatto illecito, mentre spettava all’imputato dimostrare l’eventuale infondatezza delle conclusioni raggiunte.
Cosa cambia con la sentenza della Corte di Cassazione
Con la sentenza n. 30773/2025 la Cassazione ribadisce e rafforza un principio già espresso. In una precedente pronuncia (la n. 24254/2024) era stato già ribadito che la produzione materiale degli F24 non costituisce condizione necessaria per dimostrare l’indebita compensazione. Inoltre, l’articolo 10-quater del D.Lgs. 74/2000, che punisce l’utilizzo di crediti inesistenti o non spettanti per importi superiori a 50.000 euro annui, non richiede la prova documentale tipica dello strumento utilizzato per compensare. Basta, infatti, la dimostrazione sostanziale del comportamento doloso.
Quindi, una volta dimostrata la condotta illecita attraverso elementi probatori acquisiti dall’amministrazione finanziaria, l’onere della prova si sposta sul soggetto destinatario dell’accertamento. Questo non può limitarsi a sollevare eccezioni formali ma deve contestare nel merito la ricostruzione accusatoria, dimostrando errori di calcolo o travisamenti della documentazione.












Redazione
Il team editoriale di Partitaiva.it