Gli importi delle pensioni, dal 2040, potrebbero scendere molto, arrivando a meno della metà di quanto un giovane oggi guadagna. È la fotografia fatta da Giovanni Maggi, presidente di Assofondipensione. Nel suo intervento all’evento “Il valore del dialogo: l’Engagement di Assofondipensione”, tenutosi a Roma l’11 novembre 2025, Maggi ha dichiarato: “Si andrà in pensione con molto meno, nel 2040 si parla del 55% del salario”. La previsione fatta, si allinea a quella di altri analisti, che concordano sull’idea di un taglio del potere d’acquisto pensionistico futuro. Ma da cosa dipende?
Pensioni, la stima del 2040
La frase di Maggi va interpretata come un avvertimento sul tasso di sostituzione. Questo termine indica la percentuale del reddito percepito durante l’attività lavorativa (il salario pre-pensionamento) che verrà effettivamente coperta. Per esempio, se il tasso di sostituzione è del 70%, questo vuol dire che la pensione sarà pari a due terzi dello stipendio percepito. Ebbene, il problema sta proprio nell’andamento di questa percentuale.
Le analisi di lungo periodo, infatti, indicano un calo del tasso di sostituzione lordo/netto nei prossimi decenni se si mantengono le regole attuali. Sono tutti effetti dovuti al passaggio a meccanismi contributivi più stringenti, all’invecchiamento demografico e alle dinamiche del mercato del lavoro. E proprio documenti ufficiali della Ragioneria generale dello Stato (RGS) e dell’Ageing Report UE confermano il trend in diminuzione del rapporto pensione/retribuzione nelle proiezioni fino al 2040 e oltre. Gli studi, però, indicano tassi di sostituzione pubblica che scendono dai livelli attuali a valori intorno al 60–70% in determinati scenari. Si tratta di percentuali diverse dalla previsione di Maggi, seppur vicine.
Perché la pensione sarà più bassa?
Le ragioni principali per cui si prevede questo calo del tasso di sostituzione sono tre. In primis, il sistema pensionistico italiano si sta spostando sempre più verso il metodo contributivo. Questo significa che la pensione dipenderà esclusivamente dai contributi versati, e non più, come in passato, dagli ultimi stipendi percepiti (metodo retributivo).
Poi, ci sono sempre meno lavoratori attivi che versano i contributi e sempre più pensionati che li ricevono. Meno lavoratori attivi per ogni pensionato significa maggiore pressione sui conti pubblici e, a parità di regole, minore capacità del sistema di mantenere elevati tassi di sostituzione.
Infine, le carriere lavorative sono sempre più discontinue o con stipendi non sempre alti (specie per i giovani). Questo comporta un minor accumulo di contributi, riducendo l’importo finale della pensione. E questo squilibrio rende meno sostenibile il sistema attuale.












Redazione
Il team editoriale di Partitaiva.it