Riforma pensioni 2026, dal blocco età al TFR, cosa cambia con la manovra? Tutte le opzioni

Flessibilità contro sostenibilità: la difficile sfida del governo per ridisegnare il futuro del sistema previdenziale italiano.

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Al centro del dibattito politico è tornata la riforma delle pensioni, decisiva per il futuro del sistema previdenziale italiano e, proprio per questo motivo, punto fondamentale della manovra 2026. Il governo sta lavorando su più fronti, dal blocco dell’aumento dell’età pensionabile previsto dal 2027, alla valorizzazione del TFR per sostenere il montante contributivo, fino a una possibile revisione delle misure di flessibilità in uscita, come opzione donna, quota 103 e il bonus Maroni.

Si tratta di un intervento complesso e strategico, poiché l’esecutivo dovrà trovare un difficile equilibrio tra flessibilità e sostenibilità, tra tutela dei lavoratori prossimi alla pensione e garanzia per le nuove generazioni.
Molto dipenderà dalle risorse effettivamente disponibili in manovra e dalle scelte politiche che il Consiglio dei ministri sarà disposto a compiere nei prossimi mesi.

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Riforma pensioni, blocco dell’aumento dell’età pensionabile dal 2027

Tra le ipotesi più discusse figura il congelamento parziale dell’aumento di tre mesi dell’età pensionabile, previsto per gennaio 2027 in base all’adeguamento automatico alla speranza di vita.

Anche se il sottosegretario al Lavoro Claudio Durigon ha espresso l’intenzione del governo di fermare l’aumento per tutti, i costi elevati rendono probabile un intervento selettivo e l’idea più concreta, al momento, è quella di limitare il blocco a chi ha già compiuto 64 anni nel 2026.

Una misura che consentirebbe di contenere l’impatto sui conti pubblici, ma garantirebbe comunque un po’ di respiro a chi è vicino alla pensione e teme un nuovo slittamento dei requisiti.

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TFR come leva per anticipare la pensione

Altro nodo centrale della riforma è il trattamento di fine rapporto (TFR), che l’esecutivo starebbe valutando di utilizzare per rafforzare la posizione contributiva dei lavoratori, così da favorire l’accesso alla pensione. Una delle ipotesi prevede di far confluire le somme accantonate del TFR all’INPS, incrementando il montante utile per il calcolo dell’assegno. Tuttavia, i sindacati si sono opposti a questa formula, perché temono un indebolimento della libertà individuale nella gestione delle proprie risorse.

Un compromesso, in questo senso, potrebbe essere quello di prevede l’accettazione per “silenzio assenso al contrario” dei neoassunti. Quindi, il TFR verrebbe destinato automaticamente alla previdenza complementare, salvo esplicito rifiuto del lavoratore.

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Flessibilità in uscita: che fine fanno Opzione donna, quota 103 e bonus Maroni?

Il tema della flessibilità in uscita resta uno dei più delicati. Il governo intende rivedere Opzione donna, misura ormai poco utilizzata a causa delle penalizzazioni economiche troppo pesanti. L’idea è quella di rendere lo strumento più equo, garantendo un assegno mensile meno penalizzato e ampliando la platea di beneficiarie. Secondo le prime simulazioni, una revisione in tal senso avrebbe un costo sostenibile, proprio perché oggi l’adesione è limitata.

Niente rimodulazione ma cancellazione definitiva invece di quota 103 alle alla fine del 2025. E la stessa fine potrebbe essere destinata al bonus Maroni (nel 2025 ribattezzato bonus Giorgetti), ma a patto di trovare una soluzione alternativa per continuare a incentivare chi sceglie di restare più a lungo al lavoro.

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