Crediti d’imposta inesistenti e non spettanti, fino a sei anni di reclusione per chi non paga: le regole

Le sanzioni possono essere sia amministrative che penali nei casi in cui la soglia superi i 50 mila euro.

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Crediti d'imposta inesistenti

Arriva dal ministero dell’Economia e delle Finanze una maggiore distinzione tra i crediti d’imposta “inesistenti” e quelli “non spettanti”. Il distinguo è diventato più marcato in seguito all’atto di indirizzo del 1 luglio 2025. Si trattava di un documento particolarmente atteso per chiarire un’area controversa del diritto tributario.

Crediti d’imposta inesistenti e non spettanti, la distinzione

In primo luogo la distinzione. I crediti “inesistenti” sono quelli privi dei requisiti oggettivi o soggettivi stabiliti dalla normativa. E, ancora, quelli frutto di condotte fraudolente, ovvero quei tributi attuati con documenti falsi o artefatti.

I crediti “non spettanti” sono quelli esistenti a livello formale ma che non rispettano le regole di fruizione stabilite dalla normativa. Ovvero, errori formali che non vanno ad intaccare la reale esistenza del credito ma ne impediscono la leggittima compensazione.

Le sanzioni

Si tratta di un inquadramento necessario per equilibrare le sanzioni alla normativa. Quelle per i crediti “inesistenti” sono più severe. Le multe vanno dal 70% dell’importo fino al 140%.

Mentre per quanto riguarda quelli “non spettanti”, le sanzioni sono di minore entità, pari al 25% dell’importo oppure di una multa pari a 250 euro nel caso in cui ci sia una violazione puramente formale.

A livello penale, entrambe le condotte sono punite con la reclusione se superano la soglia di 50 mila euro. La reclusione va da 1 anno e 6 mesi, fino a 6 anni, per quanto riguarda i crediti inesistenti. Per i crediti non spettanti, la pena detentiva va da 6 mesi a 2 anni, a meno che non venga comprovata un’obiettiva incertezza tecnica sulle condizioni per poter legittimamente beneficiare del credito.

Conta la norma, non i manuali tecnici

Secondo quanto fanno notare diversi analisti, la precisazione del MEF sancisce che l’unico riferimento è quello normativo. Al contrario, l’Agenzia delle Entrate ha costruito diverse contestazioni sul credito d’imposta per ricerca e sviluppo basandosi sui manuali tecnici, sia quello di Oslo che quello di Frascati.

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