Risarcimento legge Pinto per processi troppo lunghi, adesso spetta anche alle grandi aziende: le novità

I processi che si prolungano oltre i termini comportano danni non soltanto patrimoniali, ma anche morali. Ecco come calcolare l'importo del risarcimento.

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Il risarcimento legge Pinto spetta di diritto ad una grande azienda anche se la pretesa economica è irrisoria. Lo ha stabilito la Cassazione con la sentenza 31809/2025. Si aprono così nuovi scenari sull’equa riparazione per durata irragionevole dei processi: i ristori, previsti dalla legge 89/2001, adesso potranno riguardare anche somme di denaro modeste rispetto al capitale sociale dell’impresa richiedente. 

Partitaiva.it ha approfondito le ragioni di una sentenza destinata a far discutere. E soprattutto ad aprire ancora di più le maglie delle casse pubbliche che, adesso dovranno rispondere di danni cagionati da lungaggini processuali a prescindere dal fatturato, dal capitale sociale o dalle dimensioni dell’azienda che quei danni li ha patiti.

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Risarcimento legge Pinto, cosa cambia dopo la sentenza della Cassazione

Al centro della sentenza dei supremi giudici troviamo una procedura fallimentare che aveva sforato il tetto dei sette anni. Le società che chiedevano l’equa riparazione avevano incassato un secco “no” al ricorso da parte della Corte d’appello, organo competente a decidere sulle domande di indennizzo. La valutazione era stata fatta in relazione alle condizioni personali delle parti: il credito ammesso al passivo era, in un caso, di quasi 36 mila euro, pari allo 0,16% del capitale sociale, allo 0,01% del fatturato 2022 e dello 0,03% del patrimonio netto. Non molto diverse le proporzioni nell’altro caso, in cui c’era un credito ammesso al passivo di 19.546,31 euro, pari allo 0,10% del capitale sociale, allo 0,02% del fatturato 2022 e allo 0,03% del patrimonio netto. 

I danni “irrisori” valgono

La Cassazione ha ribaltato la valutazione incentrata sul contrasto tra capacità finanziaria dell’azienda da una parte ed esiguità del danno cagionato dall’altra. Ha contrapposto ad essa un principio stabilito dalla stessa Corte europea dei diritti dell’uomo, secondo cui di irrisorietà si può parlare nel caso in cui l’importo è pari o inferiore a 500 euro. E precisando, altresì. che tale soglia non ha lo scopo “di rendere non indennizzabile il ritardo per soggetti capitalizzati, ma quello opposto di rendere valutabile la pretesa risarcitoria per l’irragionevole durata dei processi di valore modesto per la maggioranza dei consociati, per consentire la prova contraria rispetto alla presunzione di non risarcibilità”.

L’attesa di oltre sette anni in merito alla domanda di iscrizione al passivo di una società fallita, secondo gli Ermellini, costituisce un danno per i ricorrenti senza che debba esistere una diretta proporzionalità tra valore della domanda e situazione economico-finanziaria degli stessi ricorrenti. E quando si tratta di persone giuridiche, il valore va parametrato sul danno provocato alle persone preposte alla gestione dell’ente o ai suoi membri “giacché le esigenze di adeguata patrimonializzazione di tali soggetti – precisano i magistrati – imposte dalla vocazione imprenditoriale, non possono costituire automatica ragione di esclusione dei medesimi dalla titolarità del diritto all’indennizzo”.

L’esperto: “Sentenza più che giusta”

Magi Consulting srl ha sede a Napoli e offre consulenza specialistica gratuita sulla materia del danno da irragionevole durata del processo attraverso il portale www.dannipinto.it. “Fornita la consulenza gratuita – ci spiega l’avvocato Giulio Russo – l’utente che si è rivolto a noi ha due strade: o si rivolge ad un proprio legale di fiducia al fine di reclamare l’indennizzo ex lege Pinto nelle opportune sedi, oppure può rivolgersi a noi e noi provvederemo a seguirlo a condizioni per lui molto vantaggiose”.

Giulio Russo

“A nostro avviso – chiosa il legale – la pronuncia della Suprema Corte è più che giusta. Corregge un errore in cui diverse Corti di appello sono incorse, e cioè il ritenere che il ritardo nell’incassare delle somme non arreca nessun patema d’animo a chi amministra società che fatturano importi elevati”.

Secondo l’avvocato di dannipinto.it, “l’errore in cui sono incorse le Corti di appello che questa (per la verità, ulteriore) pronuncia della Suprema Corte mira a correggere, è ritenere che gli amministratori e i soci di società che hanno un elevato volume di affari siano del tutto insensibili ai ritardi della giustizia italiana nel chiudere un processo il cui valore non sia molto elevato”. 

“È vero invece l’esatto contrario – conclude Russo -. Ogni imprenditore, grande o piccolo che sia, soffre – sicuramente non allo stesso modo, ma pur sempre soffre – dei ritardi e delle incertezze dei tempi della giustizia. Perché non può contare, spesso per molti anni, in entrate che sono sicuramente utili, se non necessarie, per il mantenimento e lo sviluppo dell’azienda”.

Chi paga

La sentenza 31809/2025 della Cassazione ha portato ancora una volta alla ribalta un tema spinoso, quello della giustizia lenta rispetto al quale non sembrano esservi soluzioni quanto piuttosto un solo rimedio: quello di pagare per il mancato rispetto del “termine ragionevole” di durata del processo (civile, penale, amministrativo, tributario, fallimentare). 

L’indennizzo lo paga lo Stato italiano, più nello specifico il ministero della Giustizia. E altro non può fare di fronte ad un sistema giudiziario inefficiente che sembra girare a vuoto e che stritola cittadini e imprese, già alle prese con condizioni difficili di sopravvivenza in un mercato in continua evoluzione. La competenza a decidere sui ricorsi per equa riparazione, invece, spetta al presidente della Corte d’appello nel cui distretto ha sede il giudice innanzi al quale si è svolto il primo grado del processo presupposto.

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Chi può usufruire della legge Pinto?

Il termine di durata ragionevole del processo si considera rispettato se il processo non eccede la durata di tre anni in primo grado, due anni in secondo grado, un anno nel giudizio di legittimità. Oppure se il procedimento di esecuzione forzata si è concluso in tre anni e se la procedura concorsuale si è conclusa in sei anni, oppure se il giudizio viene definito in modo irrevocabile in un tempo non superiore a sei anni. I potenziali beneficiari di un risarcimento legge Pinto sono coloro i quali che, a vario titolo, si sono trovati coinvolti in un procedimento giudiziario che non ha rispettato tali termini.

Il danno subito non deve essere per forza di natura patrimoniale ma può anche configurarsi come danno morale o esistenziale, purché l’insieme delle conseguenze negative subite siano quantificabili. 

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Risarcimento danni legge Pinto, novità introdotte dal decreto Giustizia 

In passato, una condizione da soddisfare tassativamente era che la richiesta di equo indennizzo venisse presentata entro sei mesi dalla conclusione definitiva del procedimento, dimostrando un nesso causale tra il ritardo e il danno subito. Il decreto Giustizia n. 117/2025, approvato lo scorso agosto, ha introdotto un’importante novità sul fronte della semplificazione burocratica delle procedure di accesso all’indennizzo: la possibilità di fare richiesta immediatamente quando vengono superati i limiti temporali stabiliti dalla legge anziché attendere la conclusione definitiva del processo con il rischio di aspettare anni e anni prima di poter anche solo presentare la richiesta. 

Altra novità riguarda la riscossione dell’indennizzo che potrà avvenire entro un anno dalla data di pubblicazione del decreto. Non siamo di fronte a un termine indicativo ma tassativo, superato il quale la “vittima” del disservizio perderà il diritto al risarcimento. La scelta è chiara: il legislatore è così riuscito ad eliminare la possibilità che i creditori possano essere tentati di ritardare la richiesta di liquidazione per far maturare ulteriori interessi sulle somme riconosciute.

Arriva PintoPaga, pagamenti più veloci ma non è oro tutto quello che luccica

Anche la digitalizzazione è venuta in soccorso allo Stato italiano. Proprio quest’anno, infatti, il ministero della Giustizia ha lanciato il progetto PintoPaga con l’obiettivodi azzerare l’arretrato di circa 80.000 decreti emessi tra il 2015 e il 2022, un debito di centinaia di milioni di euro. Un’iniziativa che si basa ulla digitalizzazione delle pratiche che confluiscono sulla piattaforma digitale SIAMM: qui, entro il 30 ottobre 2026 e pena la decadenza, sarà possibile caricare le istanze di liquidazione con la certezza di pagamenti finalmente più rapidi. I dati del ministero della Giustizia, aggiornati allo scorso 2 ottobre, parlano di oltre 65 mila le istanze lavorate e 75 milioni di euro pagati.

Secondo Russo, PintoPaga ha certamente contribuito ad un forte incremento delle posizioni liquidate. Tuttavia, non è oro tutto quello che luccica. “Il parlamento – spiega l’avvocato Giulio Russo al nostro giornale – nel varare PintoPaga, ha vietato ai creditori di intraprendere un giudizio di ottemperanza contro il ministero per ottenere il pagamento di quanto dovuto”. Il rischio si corre è che, a fronte di questo divieto che impedisce ai creditori di chiedere l’esecuzione dei propri decreti, non si avrà il pagamento di tutti i decreti che sono rimasti bloccati. Questo determinerà l’ennesimo danno inferto ai cittadini, che non solo hanno dovuto agire contro lo Stato per ottenere il risarcimento del danno subito a causa della irragionevole durata del proprio processo, ma si sono poi visti anche costretti a non fare nulla, in attesa di un pagamento che è stato annunciato ma che poi non è pervenuto. Oltre al danno, la beffa …”.

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Come calcolare l’importo del risarcimento

L’importo del risarcimento legge Pinto aumenta in maniera proporzionale agli anni di irragionevole durata di un processo.

Sulle procedure fallimentari, la Corte di Cassazione, con l’ordinanza 10508/2025, ha chiarito che il limite massimo dell’indennizzo deve essere calcolato sull’importo del credito ammesso al passivo all’inizio della procedura, e non sul credito residuo dopo eventuali pagamenti parziali. Una volta determinato il numero di anni cosiddetti irragionevoli, questo numero verrà moltiplicato per una cifra che parte da 400 euro e può arrivare anche a mille euro.

Il sito dannipinto.it riporta l’esempio di un processo civile, penale o amministrativo che sia durato dieci anni in primo grado, si considereranno ragionevoli i primi tre anni ed irragionevoli i successivi sette anni. Viene specificato che “solo con riferimento a questi sette anni si procederà al calcolo dell’indennizzo. Quindi, un processo civile durato in primo grado 10 anni avrà una durata irragionevole pari a sette anni. Il giudice riconoscerà al richiedente una somma che oscillerà tra un minimo di 3.200,00 Euro (400,00 x 7) e un massimo di 5.600,00 Euro (800,00 x 7)”. 

La legge prevede poi che queste somme possano essere aumentate dal giudice fino al 20 per cento per gli anni (irragionevoli) successivi al terzo e fino al 40 per cento per gli anni successi al settimo.

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Patrizia Penna

Giornalista professionista

Sono nata a Catania, mi sono laureata con lode in Lingue e Culture europee all'Università di Catania. Ho lavorato per quasi vent'anni come redattore al Quotidiano di Sicilia, ho curato contenuti ma anche grafica e impaginazione. Oggi sono una libera professionista. Mi occupo di informazione, uffici stampa e curo sui social media la comunicazione di aziende, anche straniere.

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