Tra il 2025 e il 2029 oltre tre milioni di lavoratori italiani usciranno definitivamente dal mercato del lavoro, circa il 12,5 per cento della forza lavoro nazionale. La grande maggioranza lo farà per pensionamento, mentre una quota più contenuta abbandonerà per motivi diversi: dimissioni volontarie, perdita dell’impiego, trasferimento all’estero o passaggio dal lavoro dipendente a quello autonomo.
Sono le stime elaborate dall’Ufficio studi della CGIA1 su dati del Sistema Informativo Excelsior di Unioncamere e Ministero del Lavoro. La sostituzione, si legge, riguarderà soprattutto il lavoro dipendente privato con oltre 1,6 milioni di uscite, seguita dai dipendenti pubblici (768.200 unità) e gli autonomi (665.500).

«Esodo mai visto prima»
L’associazione artigiani e PMI parla di vero e proprio esodo dalle scrivanie, dalle fabbriche e dai cantieri, a cui il Paese assisterà nel giro di pochi anni. Una transizione che avrà conseguenze economiche e sociali profonde: già oggi molte imprese lamentano difficoltà a reperire personale, e la prospettiva di una contrazione ulteriore della platea di lavoratori disponibili rende il quadro ancora più complesso.
Il fenomeno non avrà la stessa intensità ovunque: le regioni più densamente abitate e dove si produce maggiore ricchezza nel Paese saranno anche quelle che affronteranno la sfida più grande. La Lombardia dovrà sostituire 567.700 lavoratori, il Lazio 305.000 e il Veneto 291.200. All’estremo opposto si trovano il Molise con 13.800 uscite, la Basilicata con 25.700 e l’Umbria con 44.800.
Se si guarda al peso del lavoro dipendente privato sul totale, la Lombardia guida ancora la classifica: il 64,6 per cento delle sostituzioni previste riguarderà questa categoria. Percentuali elevate anche in Emilia-Romagna (58,6) e Veneto (56,5). In Sardegna, Molise e Calabria, invece, la quota di dipendenti privati da rimpiazzare non supererà il 39 per cento, segno che in queste aree saranno soprattutto i dipendenti pubblici e gli autonomi a uscire dal mercato.
Sette rimpiazzi su dieci riguarderanno i servizi. Su 3 milioni di uscite, 2,2 milioni interesseranno questo comparto. Le sostituzioni più rilevanti si registreranno nel commercio (379.600), nella sanità pubblica e privata (360.800) e nella Pubblica Amministrazione (331.700).
L’industria dovrà sostituire 725.900 lavoratori, pari al 23,8 per cento del totale, con un picco nelle costruzioni che da sole conteranno 179.300 uscite. L’agricoltura e la pesca, infine, perderanno 111.200 addetti.
Un Paese sempre più anziano
Il tema dell’invecchiamento della forza lavoro (soprattutto al Sud) si intreccia con quello delle uscite. Per la CGIA l’indice di anzianità dei dipendenti privati è cresciuto rapidamente, dal 61,2 del 2021 al 65,2 del 2023. In altre parole: per ogni 100 lavoratori sotto i 35 anni ce ne sono 65 con più di 55 anni.
Le ragioni sono diverse: pochi ingressi dei giovani, permanenza prolungata dei lavoratori anziani e difficoltà strutturali nell’incontro tra domanda e offerta. Molti giovani arrivano al mercato del lavoro senza competenze in linea con quelle richieste dalle imprese. Risultato: un progressivo squilibrio generazionale.
Quando i più esperti lasceranno il posto, le aziende dovranno fronteggiare una carenza di professionalità qualificate. Non trovandole disponibili sul mercato, saranno costrette a contendersi i dipendenti migliori dei concorrenti, anche attraverso incrementi salariali significativi.
La Basilicata ha l’indice di anzianità più alto del Paese, con un valore di 82,7, seguita da Sardegna (82,2), Molise (81,2), Abruzzo (77,5) e Liguria (77,3). Le aree con l’età media più bassa tra i dipendenti privati sono il Trentino-Alto Adige (50,2), la Lombardia (58,6), il Veneto (62,7), la Campania (63,3) e l’Emilia-Romagna (63,5).
Redazione
Il team editoriale di Partitaiva.it