Manovra 2026, stop pagamenti PA ai professionisti con debiti: le nuove soglie

Ok al fermo dei compensi pubblici per chi ha pendenze col fisco. Raggiunto un compromesso sulle modalità: trattenuta diretta per debiti sotto i 5.000 euro, blocco e pignoramento per importi superiori. I dubbi su privacy e diritto di difesa.

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Con la legge di bilancio 2026 arriva il blocco dei pagamenti ai professionisti con debiti fiscali. Si tratta di una disposizione che ha suscitato reazioni contrastanti e che impone di distinguere tra le ragioni del legislatore e le preoccupazioni delle categorie professionali, al netto delle polarizzazioni politiche. La misura ha già subìto delle modifiche rispetto al testo iniziale, ma resta ancora da chiarire come si farà a tutelare il diritto alla riservatezza e se sia davvero lecito consentire un’azione forzosa senza nemmeno contraddittorio preventivo.

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Blocco dei pagamenti ai professionisti con debiti fiscali: le ragioni della norma

L’obiettivo dichiarato della misura è quello di impedire che risorse pubbliche vengano erogate a soggetti che, contestualmente, risultano debitori verso l’erario o gli enti previdenziali. Si tratta di un principio di coerenza sistemica che, in astratto, appare difficilmente contestabile. Lo Stato, quando paga, dovrebbe poter verificare che il percipiente sia in regola con i propri doveri verso la collettività. L’articolo 48-bis del DPR 602/1973 già prevede verifiche preventive per pagamenti superiori a determinate soglie, e il sistema del DURC ha da tempo introdotto il principio della regolarità contributiva come condizione per i pagamenti negli appalti pubblici.

Tuttavia, come spesso accade quando si passa dalle intenzioni all’attuazione concreta, il testo originario della norma introdotta dal ddl di bilancio 2026 presenta criticità significative che le associazioni di categoria hanno giustamente evidenziato. Il Consiglio nazionale dei dottori commercialisti ed esperti contabili, l’Associazione nazionale commercialisti, l’Unione delle camere penali Italiane e il Consiglio nazionale forense hanno sollevato obiezioni che meritano di essere considerate con attenzione, non perché provengano da soggetti interessati, ma perché toccano questioni di principio rilevanti.

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Le criticità sostanziali della formulazione originaria

La prima e più evidente criticità riguarda l’assenza di una soglia minima di rilevanza. La formulazione originaria avrebbe consentito il blocco di compensi anche rilevanti per irregolarità di importo irrisorio. Un debito di poche centinaia di euro avrebbe potuto paralizzare il pagamento di parcelle di decine di migliaia di euro, con evidente sproporzione tra la misura e il fine perseguito. Questo profilo di irragionevolezza attiene ai principi generali di proporzionalità che dovrebbero informare l’azione amministrativa.

La seconda criticità, particolarmente sentita dall’avvocatura penalista, riguardava l’impatto sul sistema del patrocinio a spese dello Stato. L’Unione delle camere penali ha evidenziato come la norma rischiasse di compromettere l’effettività del diritto di difesa costituzionalmente garantito. Un avvocato con una pendenza fiscale, magari causata proprio dai ritardi cronici nei pagamenti statali, si sarebbe trovato nell’impossibilità di incassare i compensi per le difese d’ufficio, con il rischio concreto di un progressivo disimpegno della professione forense da questo servizio essenziale. Il diritto di difesa dei non abbienti è un pilastro dello stato di diritto e ogni misura che possa indebolirlo merita un’attenzione particolare.

La terza criticità atteneva all’aggravio burocratico che la norma avrebbe comportato, sia per i professionisti sia per le amministrazioni. L’obbligo di produrre certificazioni di regolarità ad ogni fattura, in un sistema già gravato da tempi di pagamento spesso inaccettabili, rischiava di generare un cortocircuito giuridico. I ritardi della PA generano difficoltà finanziarie nel professionista, le quali producono irregolarità, che a loro volta giustificano ulteriori ritardi. Un meccanismo perverso che avrebbe finito per punire proprio chi subisce le inefficienze del sistema.

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L’evoluzione parlamentare e il compromesso raggiunto

L’iter parlamentare sembra aver portato a una riformulazione della norma che, pur mantenendo l’impianto di fondo, ne ha attenuato le asprezze più critiche. La soluzione individuata, che richiama il meccanismo già previsto dall’articolo 48-bis del DPR 602/1973, introduce una distinzione basata sull’entità del debito iscritto a ruolo. Per importi inferiori a 5.000 euro, la pubblica amministrazione procederà a una trattenuta diretta, versando la differenza al professionista. Per importi superiori, scatterà invece il blocco con la procedura di pignoramento.

Questo meccanismo di compensazione, pur non esente da criticità, rappresenta un punto di equilibrio accettabile. Da un lato, preserva la finalità di contrasto all’evasione e all’inadempimento fiscale. Dall’altro, garantisce al professionista una liquidità residua che gli consente di proseguire l’attività e, paradossalmente, di maturare la capacità contributiva necessaria a sanare la propria posizione. È un approccio che privilegia il recupero del credito erariale rispetto alla mera sanzione punitiva e questo appare coerente con una visione moderna ed efficiente della riscossione.

Un compromesso ragionevole?

Permangono, naturalmente, alcune perplessità. La trattenuta diretta per importi sotto soglia agisce come un prelievo forzoso immediato, senza contraddittorio preventivo. Se il debito era oggetto di contestazione non ancora registrata nei sistemi, il professionista si troverà a subire una decurtazione che poi dovrà faticosamente recuperare. Inoltre, il tema della riservatezza sulla situazione fiscale del professionista nei confronti dell’ente pagatore resta aperto, con potenziali implicazioni reputazionali che non vanno sottovalutate.

In definitiva, la norma così come riformulata rappresenta un compromesso imperfetto ma ragionevole. Ai professionisti spetta ora l’onere di mantenere una condotta fiscale irreprensibile, consapevoli che il rapporto con la pubblica amministrazione comporta responsabilità aggiuntive. Al legislatore e all’amministrazione spetta invece l’impegno a garantire tempi di pagamento certi e ragionevoli, perché non si può pretendere puntualità fiscale da chi sistematicamente subisce ritardi nei propri incassi. L’equità del sistema si misura sulla coerenza dei comportamenti di tutti gli attori coinvolti.

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Giovanni Emmi

Dottore Commercialista

Commercialista dal 🧗🏾‍♀️secondo millennio, innovatore professionale nel terzo millennio🏃🏾‍♂️. Il futuro della professione del commercialista nel mio ultimo libro "dalla società alla rete tra professionisti".

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