Licenziamenti illegittimi PMI, la Corte costituzionale rivede il Jobs Act: ecco come cambiano le sanzioni

Il giudice torna ad avere voce in capitolo, valutando caso per caso cosa spetta al lavoratore. Tutte le novità spiegate dagli esperti.

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Licenziamenti illegittimi PMI

Con la sentenza n. 118 del 21 luglio 2025, la Corte costituzionale è intervenuta sul tema della tutela dei lavoratori vittime di licenziamenti illegittimi nelle PMI. Una decisione destinata a mutare l’equilibrio dei rapporti di forza tra datore di lavoro e dipendente nelle aziende con meno di 15 dipendenti, modificando il cosiddetto “contratto a tutele crescenti“, cuore del Jobs Act del 2015. Ecco cosa cambia.

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Licenziamenti illegittimi PMI, cosa ha deciso la Corte costituzionale

La Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 9, comma 1, del D.Lgs. 23/2015, limitatamente alle parole “e non può in ogni caso superare il limite di sei mensilità“. La motivazione? Il limite “vanificava la funzione equitativa e compensativa dell’indennizzo” e impediva ai giudici di adattare la sanzione alle reali circostanze del caso.

Il meccanismo del dimezzamento dell’indennità rispetto ai parametri ordinari (previsti per le aziende sopra i 15 dipendenti) è stato ritenuto legittimo. Ma, eliminato il tetto delle sei mensilità, il giudice potrà oggi muoversi su una “forbice molto più ampia”: da 3 a 18 mensilità (per i casi ordinari), rispetto all’intervallo precedente che si fermava, al massimo, a sei.

L’esperto: “Un minimo di equità per chi lavora nelle PMI”

Per comprendere meglio l’argomento, Partitaiva.it ha intervistato l’avvocato Giovanni Benevole, patrocinante in Cassazione ed esperto del diritto del lavoro. “Ci sarebbe molto da dire, partendo dalla legge Fornero sino al Jobs Act – ha sottolineato -. La sentenza n. 118/2025 rappresenta una correzione di rotta, che ristabilisce un minimo di equità anche per i lavoratori delle piccole imprese, da sempre trattati come cittadini di serie B”.

Secondo l’avvocato, il Jobs Act, soprattutto per le PMI, aveva creato “una vera e propria asimmetria normativa, che incentivava i datori di lavoro a procedere con leggerezza, se non con cinismo, ai licenziamenti sapendo che il costo massimo era limitato a poche mensilità”. L’avvocato sottolinea che “si era arrivati a un abuso sistematico dei licenziamenti facili“, con motivazioni fittizie come crisi inesistenti o riorganizzazioni strumentali. “Oggi grazie alla Consulta, la funzione dissuasiva della sanzione torna ad avere un senso: se si rischiano 18 mensilità anziché 6, il datore di lavoro ci penserà due volte prima di licenziare senza fondamento”, aggiunge.

L’avvocato Giovanni Benevole
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Licenziamento illegittimo PMI, cosa prevedeva il Jobs Act

Come ricorda l’avvocato “il decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23 (c.d. Jobs Act), ha introdotto un nuovo regime sanzionatorio per i licenziamenti illegittimi, noto come ‘contratto a tutele crescenti’, applicabile ai lavoratori assunti a tempo indeterminato a far data dal 7 marzo 2015. Per i datori di lavoro che non raggiungono i requisiti dimensionali di cui all’art. 18 della legge n. 300/1970 (Statuto dei lavoratori) – ovvero che non occupano più di quindici dipendenti – l’art. 9, comma 1, del D.Lgs. 23/2015 prevedeva un regime di tutela attenuato. In particolare, in caso di licenziamento illegittimo (per vizi di giustificato motivo, giusta causa o procedurali), la norma stabiliva:

  • l’esclusione della tutela reintegratoria (anche nei casi di insussistenza del fatto materiale);
  • il dimezzamento dell’indennità risarcitoria prevista per i lavoratori di imprese di maggiori dimensioni;
  • la fissazione di un limite massimo invalicabile per tale indennità, pari a sei mensilità dell’ultima retribuzione utile per il calcolo del TFR”. 

Il sistema era già stato oggetto di critica e degli scorsi referendum. “La Corte costituzionale, con la sentenza n. 183 del 2022, pur dichiarando inammissibile la questione per la pluralità di soluzioni normative possibili, aveva evidenziato un vulnus nella disciplina, sottolineando come l’esiguità dell’intervallo tra minimo e massimo dell’indennità vanificasse la possibilità di adeguare l’importo alla specificità del caso concreto – fa sapere l’avvocato -. La Corte aveva anche segnalato al legislatore l’urgenza di un intervento, avvertendo che un’ulteriore inerzia non sarebbe stata tollerabile”.

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Le nuove regole sui licenziamenti per le PMI: cosa cambia per il lavoratore

Nel regime ante-sentenza, un dipendente licenziato da una PMI poteva ottenere al massimo sei mensilità, anche in presenza di un licenziamento chiaramente infondato. Con la pronuncia n. 118/2025, il tetto cade: il giudice potrà ora attribuire al lavoratore fino a 18 mensilità, a seconda della gravità del caso. Non si tratta, tuttavia, di un automatismo. Come spiega ancora l’avvocato Benevole: “L’ampiezza della nuova forbice richiede un’attenta strategia processuale. Se un lavoratore non si affida a un legale esperto, rischia che un ricorso debole comprometta tutta la causa. Nel rito del lavoro, tutto si gioca nel primo atto: non si può correggere il tiro in corsa. È fondamentale costruire un fascicolo robusto già dalla fase introduttiva”.

I criteri del giudice: come si calcola l’indennità

La sentenza non fissa nuovi parametri numerici, ma affida ai giudici una valutazione personalizzata basata su diversi criteri:

  • anzianità di servizio del lavoratore;
  • dimensioni e capacità economica dell’azienda, anche se sotto la soglia dei 15 dipendenti;
  •  condizioni personali del lavoratore, come età, carichi familiari e difficoltà di ricollocazione;
  • gravità del vizio del licenziamento: un licenziamento manifestamente infondato potrà giustificare l’indennizzo massimo.

Il nuovo assetto punta dunque a una giustizia sostanziale, che tenga conto della realtà concreta e non si limiti a formule rigide e sanzioni simboliche.

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Licenziamenti illegittimi nelle PMI: cosa rischiano le imprese

Per le PMI, la sentenza rappresenta un cambiamento importante anche in termini economici. Il rischio legato a un licenziamento illegittimo triplica: da un massimo di 6 mensilità si passa a 18, con un’incertezza molto maggiore sull’esito del contenzioso.

“I datori di lavoro – continua Benevole – non potranno più dire ‘male che vada paghiamo qualche mensilità’. Questa frase, che ho sentito troppe volte nelle aule dei tribunali, oggi non regge più. Finalmente si introduce una reale funzione deterrente”. La Corte ha definito l’impianto sanzionatorio del Jobs Act per le PMI un “trattamento irragionevolmente deteriore“, sottolineando come il solo numero dei dipendenti non sia più un criterio adeguato per misurare la capacità economica dell’impresa. E proprio su questo punto l’avvocato Benevole è particolarmente netto:

“È il momento di superare del tutto questa logica binaria tra piccole e grandi aziende. Oggi ci sono microimprese con milioni di euro di fatturato e startup digitali che operano globalmente con meno di 10 dipendenti – prosegue l’esperto -. Il legislatore deve aggiornare i criteri, magari includendo volume d’affari, capitale sociale, bilancio”.

“Serve un nuovo testo unico organico sui licenziamenti”

La sentenza 118/2025, pur non abrogando l’intero impianto normativo, riapre la partita sulle tutele contro i licenziamenti. Per Benevole, è il momento di una riforma profonda: “Serve un nuovo testo unico organico sui licenziamenti. Occorre abrogare la legge Fornero e ripristinare l’art. 18 dello Statuto dei lavoratori almeno per le grandi aziende. I licenziamenti truffaldini non devono essere un risparmio per le imprese ma un costo insostenibile. Un tema, questo, che incrocia anche la tenuta del welfare – conclude -. Gli effetti negativi si ripercuotono sulle casse dello Stato o dell’INPS e sulla finanza pubblica che si trova sempre costretta a pagare la NASPI (indennità di disoccupazione) e anche i TFR dei lavoratori licenziati illecitamente”.

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Sentenza della Corte su licenziamenti illegittimi PMI: “Cambiano solo le sanzioni, ma serve più prudenza”

Il presidente Potito Di Nunzio

Sulle implicazioni concrete della sentenza n. 118/2025 per il mondo delle micro e piccole imprese interviene anche Potito Di Nunzio, presidente dell’Ordine dei consulenti del lavoro di Milano, secondo il quale la decisione della Consulta non modifica le regole sostanziali che disciplinano il licenziamento. “La gestione del licenziamento resta la stessa perché la sentenza non interviene sui presupposti sostanziali, che restano la giusta causa e il giustificato motivo – fa sapere -. Tuttavia, le PMI devono ora tenere ben presente che un licenziamento non fondato o non pienamente proporzionato ai fatti può avere ricadute economiche molto più rilevanti rispetto al passato. Mentre in passato il rischio di licenziare ‘male’ era contenuto, perché al massimo si dovevano mettere in conto sei mensilità di RUT (retribuzione utile al calcolo del  TFR), oggi il licenziamento non giustificato può costare fino a 18 mesi in base alle valutazioni del giudice, che terrà conto della complessiva situazione aziendale sia a livello economico che organizzativo, oltre che al grado di illegittimità dell’azione datoriale”. 

Questo significa che le imprese dovranno valutare con maggiore prudenza e responsabilità la scelta di interrompere un rapporto di lavoro. I consulenti del lavoro possono rappresentare, in tal senso, una sicurezza in più per le imprese, per evitare decisioni affrettate. “Se cambia il quadro sanzionatorio, non cambia però il dovere di consigliare sempre comportamenti improntati alla correttezza e al rispetto della normativa”, precisa Potito.

La “revisione” Jobs Act scoraggia le assunzioni? “No, ma resta il problema dei costi”

L’esperto sottolinea che, contrariamente a possibili timori, la nuova decisione non scoraggerà le assunzioni, almeno non nelle realtà più strutturate e responsabili. Anzi, la progressiva uniformazione delle tutele tra lavoratori di grandi e piccole imprese potrebbe generare un effetto espansivo sull’occupazione. “Se le differenze tra le tutele si assottigliano, le aziende non temeranno più di superare la soglia delle 15 unità – continua -. Questo potrebbe incentivare l’espansione occupazionale anche tra le PMI”. 

Resta però aperta la questione della sostenibilità di un sistema che differenzia le tutele solo sulla base del numero dei dipendenti. Come sottolineato anche dalla Corte costituzionale, la forza economica di un’impresa oggi non dipende più solo dalla dimensione occupazionale. “Ci sono piccole imprese che operano con altissima tecnologia e fatturati importanti, ben più solide di altre aziende formalmente più grandi ma legate a sistemi produttivi obsoleti. La differenza di trattamento non è più giustificabile, né sotto il profilo economico né costituzionale”, aggiunge. 

La sentenza, secondo Potito Di Nunzio, rimette al giudice un compito delicato ma fondamentale: calibrare la sanzione in base a criteri equi e proporzionati, evitando automatismi. Tuttavia, il vero problema delle PMI non sta nella maggiore tutela riconosciuta al lavoratore, ma nei costi generali del sistema e nella burocrazia. “Il nodo da sciogliere resta il peso eccessivo del costo del lavoro e la rigidità burocratica nella gestione del personale. È su questi fronti che si gioca la vera competitività delle PMI”, conclude.

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Cristina Siciliano

Giornalista e scrittrice

Giornalista pubblicista, classe ‘97, con una solida formazione classica. Dopo la laurea conseguita con lode in Filologia Moderna, ho frequentato un Master in giornalismo politico-economico multimediale presso la 24ORE Business School. Ho collaborato con testate nazionali, come Leggo.it, e locali. Sono autrice del libro Breviario del silenzio: tra anima e parole, edito da Affiori, marchio di Giulio Perrone Editore.

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