La frode carosello è uno dei meccanismi di evasione fiscale più diffusi nell’ambito dell’Imposta sul Valore Aggiunto (IVA). Si tratta infatti di un sistema fraudolento che coinvolge operazioni fittizie tra diverse società, spesso situate in Stati membri diversi dell’Unione Europea, con l’obiettivo primario di evadere il versamento dell’IVA. Una recente sentenza della Cassazione ribalta la prassi adottata dalla giurisprudenza: ecco quando gli indagati per “falsa fatturazione” per possono chiedere il dissequestro dei fondi bloccati.
Indice
Cos’è la frode carosello
Per comprendere come funziona la frode carosello, si può iniziare con il ricordare che il nome “carosello” deriva dalla natura circolare di queste operazioni: le merci coinvolte vengono fatte circolare in una sorta di “carosello” tra diverse imprese, ognuna delle quali dichiara di aver acquistato e venduto tali merci, generando così transazioni fittizie e false dichiarazioni fiscali. Il meccanismo sfrutta le normative europee sugli scambi intracomunitari, che prevedono l’esenzione IVA per le cessioni tra Paesi membri dell’UE.
Il ruolo delle società fittizie
Lo strumento per realizzare la frode sono società fittizie, comunemente chiamate “cartiere” o “missing trader”, che vengono interposte artificiosamente nelle transazioni commerciali reali. Simili società hanno il compito di incassare l’IVA dai clienti finali ma di non versarla mai all’Erario, creando così un vantaggio competitivo illegale che consente di vendere prodotti a prezzi significativamente inferiori a quelli di mercato.
Frode carosello IVA, perché è così diffusa
Il meccanismo della frode carosello sfrutta soprattutto le peculiarità del sistema IVA europeo, e in particolare il regime del “reverse charge” applicato alle cessioni intracomunitarie. Nel sistema IVA europeo, infatti, quando un’impresa italiana acquista beni da un fornitore comunitario, l’operazione è considerata cessione intracomunitaria e quindi non soggetta ad IVA nel Paese del venditore. L’acquirente italiano deve invece applicare l’IVA nel proprio Paese secondo il meccanismo del reverse charge: deve cioè emettere un’autofattura, registrando contemporaneamente l’IVA a debito (da versare) e a credito (da detrarre).
Come si evade l’IVA con la frode carosello
Il sistema, concepito per semplificare gli scambi commerciali europei, diventa però vulnerabile nel momento in cui vengono interposte società fittizie che non versano mai l’IVA incassata. La frode si ha dunque presto realizzata quando la “cartiera” italiana:
- riceve formalmente la merce dal fornitore comunitario in regime di esenzione IVA;
- rivende la merce al cliente finale applicando l’IVA italiana;
- incassa l’IVA dal cliente ma non la versa mai all’erario;
- spesso scompare o dichiara fallimento per evitare i controlli.
I settori più colpiti da questo tipo di frodi sono quelli caratterizzati da alti volumi di richiesta da parte dei privati e margini sottili di guadagno per singolo bene venduto, come il settore automobilistico, dell’elettronica, dei carburanti, dei metalli preziosi e delle telecomunicazioni.
Due meccanismi applicativi di frode carosello
Lo schema classico di frode carosello può assumere due diversi sviluppi tra loro alternativi: nella cosiddetta frode a “carosello aperto“, la broker italiana rivende la merce ad un’altra società rivenditrice italiana o direttamente al consumatore finale (cessione nazionale soggetta ad imponibile Iva), portandosi in detrazione l’IVA indicata in fattura e precedentemente pagata alla cartiera; nella cosiddetta frode a “carosello chiuso”, invece, la broker italiana rivende la merce al fornitore comunitario (cessione intracomunitaria non imponibile Iva), chiedendo in dichiarazione il rimborso dell’Iva già pagata alla cartiera.
Frode carosello aperta
Nella configurazione “aperta”, la società broker italiana, dopo aver acquistato la merce dalla cartiera a un prezzo più vantaggioso (reso possibile dall’evasione IVA a monte), la rivende sul mercato nazionale. In questo caso, la società italiana:
- applica regolarmente l’IVA sulla vendita finale
- si detrae l’IVA precedentemente pagata alla cartiera
- ottiene un vantaggio competitivo potendo praticare prezzi inferiori alla concorrenza
- la merce raggiunge effettivamente i consumatori finali.
Frode carosello chiusa
In questo secondo caso, la merce ritorna al fornitore comunitario e il “giro” può ricominciare con una nuova cessione (fittizia) della stessa merce alla società cartiera italiana. Si tratta di una variante che per diversi versi è ancora più insidiosa, considerato che:
- la merce non si sposta mai fisicamente dai magazzini del fornitore originario
- si generano solo documenti cartacei per operazioni inesistenti
- il ciclo può essere ripetuto indefinitamente con la stessa merce
- si ottengono crediti IVA illegittimi che possono essere utilizzati per compensazioni o rimborsi.
Esempio di frode carosello
Per comprendere meglio il meccanismo, consideriamo un esempio concreto di frode carosello chiusa. In questo caso, i soggetti coinvolti sono una società tedesca (fornitore comunitario), una società fittizia italiana e l’acquirente finale italiano.
Le fasi dell’operazione sono le seguenti:
- cessione fittizia. La società tedesca emette fattura senza IVA alla fittizia italiana per merci del valore di 100.000 euro (cessione intracomunitaria);
- cessione reale sottocosto. La fittizia italiana rivende la stessa merce all’acquirente finale a 105.000 euro + IVA (22%) = 128.100 euro totali;
- evasione IVA. ça fittizia italiana incassa i 23.100 euro di IVA ma non li versa mai all’erario;
- chiusura del cerchio. ç’acquirente italiano “rivende” la merce alla società tedesca a 95.000 euro senza IVA (cessione intracomunitaria), ottenendo un credito IVA di 23.100 euro
- Ripetizione: la merce, mai uscita fisicamente dalla Germania, può ricominciare il ciclo.
A margine di questo ciclo, l’acquirente italiano ottiene un credito IVA di 23.100 euro completamente fittizio, utilizzabile per compensazioni o per ottenere rimborsi dall’Erario.
Le autorità fiscali hanno identificato diversi indicatori di anomalia per individuare questi schemi fraudolenti, tra cui: movimentazioni bancarie caratterizzate da accrediti seguiti da sistematici prelievi di contante, utilizzo di causali generiche, pagamenti effettuati da terzi estranei al rapporto commerciale, e ingenti flussi finanziari realizzati in brevi periodi.
Il caso della Cassazione: società-filtro e diritto al dissequestro
Un recente sviluppo giurisprudenziale ha chiarito importanti aspetti relativi alla tutela delle società coinvolte nelle frodi carosello. La Corte di Cassazione penale, con la sentenza n. 30437 del 9 settembre 2025, ha infatti stabilito un principio fondamentale: gli imprenditori indagati per evasione IVA possono impugnare il sequestro preventivo disposto a carico della loro società, anche quando questa sia considerata una “società-filtro” nell’ambito di una frode carosello.
Il caso riguardava tre imprenditori indagati per dichiarazione fraudolenta mediante l’uso di fatture per operazioni inesistenti. Secondo la ricostruzione dell’accusa, la loro società operava come filtro tra la cartiera e l’acquirente finale nel settore dei prodotti petroliferi, consentendo di acquistare e vendere a prezzi vantaggiosi grazie all’evasione IVA. Il profitto del reato era quantificato in 998.000 euro, interamente sequestrati sul conto corrente della società. Il tribunale di primo grado aveva dichiarato inammissibili per carenza di legittimazione i ricorsi degli indagati contro il provvedimento del GIP che convalidava il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente.
Ebbene, la Suprema Corte ha ribaltato questa impostazione, chiarendo che quando la stessa ricostruzione accusatoria qualifica la società come “schermo fittizio” o “apparato fittizio” nella disponibilità degli indagati, questi ultimi acquisiscono automaticamente la legittimazione a impugnare il sequestro.
In altre parole, per i giudici della Suprema Corte se emerge che la società è un mero schermo dietro cui agiscono gli indagati come effettivi titolari, allora i beni formalmente intestati alla società sono in realtà considerabili nella loro effettiva disponibilità. Di conseguenza, essi hanno pieno diritto di chiedere il dissequestro dei fondi bloccati.
Roberto Rais
Giornalista e autore