Corte dei conti boccia il ponte sullo Stretto, Salvini e Meloni contro i giudici: quando i controlli diventano “nemici”

La vittoria elettorale non può essere un assegno in bianco. I controlli sono legittimi, sono l'essenza stessa della democrazia, dello stato di diritto.

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ponte stretto di messina corte dei conti

La Corte dei conti boccia il progetto del ponte sullo Stretto di Messina. Non ha ammesso al visto la delibera Cipess n.42/2025. Non si conoscono ancora le motivazioni che, però, saranno rese note entro 30 giorni con una deliberazione. Il ministro Matteo Salvini promette di “andare avanti” e di “aprire i cantieri a febbraio“. La premier Giorgia Meloni critica l’operato dei giudici, parlando di un “atto d’invasione”. Ma è davvero così? O forse siamo davanti a un pericoloso slittamento semantico, in cui ogni controllo viene letto come sabotaggio e ogni pronunciamento giudiziario sfavorevole come un “atto eversivo”?

Corte dei conti dice no al ponte sullo Stretto: la separazione dei poteri è ancora una garanzia?

Non ci si può limitare a un tifo da stadio tra chi plaude alla Corte dei conti e chi la accusa di fare politica. Ciò che sta accadendo attorno al ponte sullo Stretto è lo specchio di una frattura ben più profonda nel nostro sistema democratico: il rapporto sempre più conflittuale tra controllo di legittimità e decisione politica.

Partiamo dai fatti. La Corte dei conti non ha bocciato il ponte in sé, non ha espresso un giudizio di merito sull’opportunità dell’opera, non ha espresso un’opinione politica. Ha negato il visto a una delibera del Cipess – il Comitato interministeriale per la programmazione economica e lo sviluppo sostenibile – perché ha riscontrato delle irregolarità che, evidentemente, non le hanno consentito di certificare la legittimità dell’atto. È un passaggio tecnico, di verifica della regolarità amministrativa e contabile, che rientra pienamente nelle prerogative costituzionali della Corte. Anzi, è esattamente ciò per cui esiste: vigilare sulla corretta gestione delle risorse pubbliche, verificare che le procedure siano rispettate, garantire che i soldi dei contribuenti vengano spesi secondo la legge.

La reazione del Governo

Eppure, la reazione del Governo è stata immediata e durissima: “invasione di campo”, “ostacolo allo sviluppo del Paese”, “ennesimo tentativo di bloccare un’opera strategica”. Il ministro Salvini ha promesso di andare avanti comunque, quasi che il visto della Corte non fosse un requisito di legge, ma soltanto un optional. La premier Meloni ha parlato esplicitamente di “atto d’invasione”, evocando l’ombra di un complotto della magistratura contro la volontà popolare, come se i giudici contabili fossero un organo politico ostile e non un baluardo di legalità.

Il mito della volontà popolare senza limiti

C’è un equivoco di fondo: l’idea che la maggioranza elettorale conferisca al Governo un mandato illimitato, senza vincoli e senza controlli. Un’idea seducente, che fa leva su un sentimento popolare genuino: quello della frustrazione per una burocrazia che troppo spesso paralizza, per procedure che sembrano fatte apposta per impedire qualsiasi cosa, per controlli che arrivano sempre troppo tardi o troppo presto, ma mai al momento giusto.

Al netto delle reazioni individuali alle difficoltà burocratiche, si tratta un’idea profondamente sbagliata e pericolosa, soprattutto se promossa dalle istituzioni che, invece, dovrebbero rappresentare l’oggettività del diritto. Perché confonde la legittimità democratica – che il Governo certamente ha – con l’onnipotenza decisionale, che invece nessun Governo può avere in uno stato di diritto. La democrazia non è solo il voto, non è solo la maggioranza. È un sistema complesso di pesi e contrappesi, di limiti e garanzie, di controlli reciproci tra poteri diversi che si bilanciano l’un l’altro. È esattamente questa architettura istituzionale che ci protegge – anche se non completamente, come ci dimostrano le pagine di cronaca – dall’arbitrio, dalla corruzione, dall’uso distorto delle risorse pubbliche.

Corte dei conti sul ponte sullo Stretto: la separazione dei poteri e il controllo “nemico”

La separazione dei poteri non è un orpello burocratico inventato dai costituzionalisti con la passione per le complicazioni, ma l’essenza della democrazia liberale, ciò che distingue uno Stato democratico da uno autoritario. Quello che preoccupa, in questa vicenda, è la retorica con cui il Governo ha reagito. Non si è trattato di un’argomentazione tecnica che contestasse il verdetto della Corte, ma di una delegittimazione totale dell’istituzione stessa, della sua funzione.

Quando un ministro annuncia che “andrà avanti comunque”, che “i cantieri apriranno a febbraio” nonostante il mancato visto, non sta difendendo la volontà popolare. Sta aggirando un meccanismo di garanzia previsto dalla legge, sta dicendo, in sostanza, che i controlli valgono solo quando danno ragione al Governo.

E quando la presidente del Consiglio accusa la magistratura contabile di “invasione”, non sta proteggendo la democrazia. Sta facendo passare il messaggio che i controlli siano legittimi soltanto quando avallano il suo operato, il ché è esattamente il contrario di ciò che dovrebbe accadere in una democrazia.

La necessità del sistema dei controlli

Il precedente che si sta creando è pericoloso. Se la retorica dello scontro tra poteri si consolidasse, se diventasse accettabile l’idea che i controlli siano un’interferenza indebita, allora domani potrebbe essere più facile delegittimare qualsiasi altro tipo di controllo.

Tutto questo non significa che il sistema dei controlli sia perfetto. Anzi, è corretto discutere di come renderlo più efficiente, più veloce; ma non possiamo mettere in discussione la sua legittimità. La separazione dei poteri è ancora una garanzia per la democrazia solo finché la rispettiamo tutti: governo e opposizione, maggioranza e minoranza, politica e magistratura.

Il ponte sullo Stretto si farà o non si farà sulla base di valutazioni tecniche, economiche, ambientali. Ma la democrazia italiana sarà ancora tale soltanto se saremo capaci di accettare che avere ragione politicamente non significhi avere ragione giuridicamente, che la maggioranza abbia il diritto di decidere ma anche il dovere di rispettare le regole. Senza questa consapevolezza, non avremo solo perso un visto della Corte dei conti, ma qualcosa di molto più prezioso: la fiducia nelle istituzioni che ci proteggono da noi stessi.

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Ivana Zimbone

Direttrice responsabile

Direttrice responsabile di Partitaiva.it e della rivista filosofica "Vita Pensata". Giornalista pubblicista, SEO copywriter e consulente di comunicazione, mi sono laureata in Filosofia - con una tesi sul panorama dell'informazione nell'era digitale - e in Filologia moderna. Ho cominciato a muovere i primi passi nel giornalismo nel 2018, lavorando per la carta stampata e l'online. Mi occupo principalmente di inchieste e approfondimenti di economia, impresa, temi sociali e condizione femminile. Nel 2024 ho aperto un blog dedicato alla comunicazione e alle professioni digitali.

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