Blue economy, dalla pesca al turismo esperienziale: la classifica delle regioni e delle città in cui funziona meglio

L'economia del mare attrae i giovani e non solo. Le attività più promettenti, le difficoltà burocratiche e l'impatto del cambiamento climatico.

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Semplificazione normativa, sostegno agli investimenti, incentivi all’innovazione e valorizzazione del capitale umano: sono le richieste che a gran voce sono arrivate dal IV Summit Nazionale sull’Economia del Mare: un settore, quello della blue economy o economia del mare, che sta vivendo un periodo di profonde trasformazioni legate alla digitalizzazione, al cambiamento climatico e che sta affrontando a viso aperto la sfida della sostenibilità ambientale. Nonostante i venti di tempesta che soffiano dagli Usa con i dazi al 15% e le temute ricadute su tutto il sistema imprenditoriale italiano, l’obiettivo per la blue economy resta il medesimo: continuare a essere un’opportunità per i giovani. Partitaiva.it ha cercato di scoprire come.

Che cosa si intende per blue economy, settore che vale l’11,3% del PIL nazionale

La centralità della blue economy nella crescita del nostro Paese è confermata dai numeri: il settore oggi conta la bellezza di 232.841 imprese, oltre un milione di occupati e un valore aggiunto complessivo pari all’11,3% del PIL nazionale.

Il modello proposto è quello legato alla creazione di un sistema economico sostenibile ma redditizio attraverso l’innovazione tecnologica. La redditività: ecco, dunque, qual è la differenza tra blue economy e green economy. La prima è un ramo della seconda. Quest’ultima, infatti, si concentra più nello specifico solo sull’uso efficiente delle risorse, in modo circolare, per ridurre al minimo gli sprechi. 

Pesca, acquacoltura, industria della trasformazione alimentare, cantieristica e servizi connessi alla nautica da diporto, turismo costiero e attività estrattive sono le principali attività del mare. Tutte accomunate da un potenziale enorme che, per esprimersi al meglio, necessita di risorse, competenze e riforme strutturali.

Blue economy, in quali regioni italiane è più conveniente investire

La presenza del mare nelle regioni del Sud aiuta l’economia e a confermarlo sono i numeri del XIII Rapporto Nazionale sull’Economia del Mare, a cura dell’Osservatorio Nazionale Ossermare, Unioncamere, Tagliacarne e Blue Forum Italia Network da cui si evince che è il Sud Italia a consolidare il suo primato di area a maggiore produzione di valore aggiunto, con una quota del 32,5%. Lo stesso vale per l’occupazione, con il 37,7% al Sud, nonché per le imprese, che addirittura si attestano nel 2024 al 49,2%. Più basso invece il moltiplicatore pari all’1,6, a fronte del 2,1 del Nord-Est, del 2,0 del Nord-Ovest e dell’1,7 del Centro.

Secondo il rapporto, le regioni della top 5 per incidenza del valore aggiunto dell’economia del mare sul totale dell’economia territoriale sono:

  • Liguria (13,8%);
  • Sardegna (8,8%);
  • Friuli-Venezia Giulia (8,4%);
  • Lazio (6,7%);
  • Campania (6,6%).

Mentre le province:

  • Trieste (25,4%);
  • Livorno (18,7%);
  • La Spezia (17,4%);
  • Venezia (15,4%);
  • Rimini (14,7%).

Il ministro Musumeci: “L’economia del mare ha bisogno di competenze, ripartire dalle scuole”

“L’Italia non ha un buon rapporto con il mare, basti pensare che la stessa parola mare non compare neanche nella nostra Carta costituzionale”: un’affermazione che ha letteralmente spiazzato il pubblico quella fatta dal ministro per la Protezione civile e per le Politiche del mare, Nello Musumeci, in apertura del convegno  “Blue Economy – Il mare come risorsa”, organizzato a Catania dal sindacato Ugl pochi giorni fa e al quale Partitaiva.it ha partecipato. “Oggi – ha proseguito il ministro – l’attenzione nei confronti del mare è molto alta perché abbiamo finalmente raggiunto la consapevolezza che questa risorsa può diventare la carta vincente che non abbiamo mai giocato, soprattutto nelle regioni del Mezzogiorno che hanno finalmente riscoperto la centralità di questo bene”.

La proposta del ministro è quella di ripartire dalle scuole per rilanciare tutta la filiera dell’economia blu a partire dall’elemento che oggi manca ma che può rivelarsi strategico per il suo sviluppo: le competenze. Senza però dimenticare lo stato di salute del mare: “Ogni possibile e razionale sfruttamento del mare – ha spiegato Musumeci – deve essere compatibile con la garanzia della tutela della biodiversità e dell’equilibrio marino”.

Avviare un’attività di pesca: requisiti e competenze necessarie

Tra le attività economiche più intrinsecamente legate al mare, c’è sicuramente la pesca. Chi la vede come mestiere tradizionale che ha progressivamente perso appeal tra i giovani, si sbaglia di grosso. La pesca è certamente tradizione per il nostro Paese, è storia ma è anche presente e futuro, grazie alle opportunità che può offrire alle giovani generazioni e al turismo. Parola di Gennaro Scognamiglio, presidente UNCI Pesca, l’Unione Nazionale delle Cooperative Italiane, che è un’organizzazione che unisce le forze delle cooperative per creare un impatto positivo sulla società e sull’economia. 

“Avviare un’attività di pesca oggi significa seguire regole precise – spiega in un’intervista al nostro giornale -. Non è più come un tempo: per essere un comandante di una unità di pesca devi essere in possesso di un diploma nautico, devi saper parlare l’inglese, devi conoscere le rotte. Non è più come una volta. Anche per vendere una barca c’è un iter burocratico preciso che bisogna seguire”. Oltre all’iter burocratico, c’è poi quello economico. Imbarcazione, licenze, carburante, attrezzatura, personale: per avviare un business nel settore della pesca, potrebbe essere necessario un budget che varia da alcune migliaia a diverse centinaia di migliaia di euro, a seconda del tipo di attività.

Pesca, un settore che naviga in cattive acque a causa della burocrazia europea

Chi svolge un’attività in questo settore produttivo non può non conoscere il Regolamento Ue West Made che impone ai pescatori, tra le altre cose, una certa distanza dalla costa e profondità più ampie per le catture: “Misure che – commenta il presidente Scognamiglio – la burocrazia di Bruxelles si inventa in nome di una blue economy che non tutela affatto i pescatori e non investe su di loro”.

Scognamiglio non usa mezzi termini e parla di un’aggressione “green” ai danni della pesca, “frutto di una politica poco attenta all’economia sociale, all’economia solidale e ad un’attività che è parte integrante della tradizione italiana e mediterranea”.

I primi ecologisti? Sarebbero gli stessi pescatori perché, a detta di Scognamiglio, “l’attenzione e la cura che essi rivolgono al mare diventa garanzia per il loro stesso futuro. Una pesca invasiva svolta oggi sarebbe un danno enorme domani”. Il presidente racconta il dramma che oggi vive il settore della pesca italiana, dal momento che alla burocrazia cieca e sorda si aggiungono gli effetti del cambiamento climatico che condiziona il comportamento dei pesci che per riprodursi si allontanano alla ricerca di acque più fredde: “Viviamo un periodo di forte crisi, molti pescatori hanno abbandonato le reti: siamo al momento ad oltre 1.200 richieste di dismissione volontarie di barche in tutta Italia”.

Pesca e turismo esperienziale: ecco come trasformare la crisi in opportunità

Che sia del polpo, del tonno rosso o del pesce spada. Che sia a strascico o a circuizione, con le reti da posta, o con le nasse, la pesca è sempre un’attività che offre un’esperienza, anche visiva, unica. “Non c’è transizione digitale che tenga – chiosa Scognamiglio – se non c’è il pescatore esperto che ti spiega le dinamiche, che ti spiega come si è fatta una rete, non solo non c’è futuro per questo settore ma non se ne capisce nemmeno il potenziale enorme sotto il profilo turistico. Mettere insieme pesca e turismo esperienziale. ecco cosa significa sostenibilità economica”.

Limitare questo settore, denunciano gli addetti ai lavori, significa aumentare la dipendenza dalle importazioni e mettere a rischio il tessuto socio-economico delle comunità marittime. Qualità, sicurezza alimentare e competitività: un messaggio chiaro quello che il nostro Paese vuole indirizzare a Bruxelles anche attraverso la creazione di un fronte diplomatico, insieme ad Albania, Croazia, Montenegro e Slovenia,per esercitare una forte e condivisa influenza sui futuri negoziati sia in seno alla Commissione europea che alla Commissione Generale per la Pesca nel Mediterraneo (CGPM). Questi Paesi intendono contrastare le proposte di riduzioni delle giornate di pesca, che peraltro non tengono conto della diminuzione delle flotte pescherecce, un fattore economico e sociale di crescente rilevanza.

Sostenibilità ambientale ma anche “economica”: dalla tecnologia un aiuto per abbassare i costi

“Stiamo provando a capire se motori ibridi o che sfruttano tecnologie innovative possono diminuire il carico di costo che al momento grava sui pescatori”. È un binario doppio quello descritto da Scognamiglio e sul quale si sviluppa l’impegno dell’associazione Unci: aiutare un settore rendendolo sostenibile sia dal punto di vista ambientale che economico per i suoi addetti. In atto, ci racconta, vi sono progetti sperimentali che, sfruttando hub innovativi e di intelligenza artificiale, stanno cercando di capire l’impatto delle microplastiche, oltre che del cambiamento climatico sul mare e sulla riproduzione delle specie ittiche e, al netto di queste problematiche, di sfruttare le opportunità che si possono cogliere dalla tecnologia e dall’innovazione.

“L’anno scorso – dice il presidente di Unci Pesca – il settore dei mitili ha perso il 50% della produzione a causa dell’aumento delle temperature del mare. L’acqua surriscaldata in superficie ha rovinato i banchi naturali di mitilicoltura. Unci sta lavorando in sinergia con le università di Ancona, Foggia, Palermo e Messina per capire quale futuro dare al settore, oltre ogni regolamento europeo che tra l’altro vale solo per una parte del Mediterraneo. Altro paradosso che crea un problema di pari opportunità: non ci sono pescatori di serie A e di serie B, non ci sono pescatori europei e non europei. A tutti vanno garantiti gli stessi diritti”.

Unci è impegnata anche sul fronte della formazione dei pescatori. “Penso al bel percorso formativo per biologi marini organizzato ad Ancona”, fa sapere il presidente di Unci Pesca. Il primo passo? Far capire che la pesca incide sull’ambiente come tante altre attività, non in misura maggiore. “I nostri pescatori – chiarisce – sono biologi marini a tutti gli effetti: le loro competenze rappresentano il punto di partenza irrinunciabile per elaborare strategie che rafforzino l’aspetto legato al marketing che è poi quello che consente al settore di diventare un richiamo tanto per i giovani quanto per i turisti”.

Portualità turistica, una proposta di legge per rilanciare asset strategico

Come la pesca, anche il destino dei porti è intrinsecamente legato al turismo. L’idea di rilanciare la portualità turistica italiana, altra attività legata all’economia del mare, arriva da Luciano Serra, presidente di Assonat- Confcommercio. Un’idea che ha assunto la forma di una proposta di legge che si articola in sedici articoli e che si poggia su alcuni pilastri fondamentali tra cui la modernizzazione delle infrastrutture, le tecnologie ecocompatibili e la semplificazione burocratica.“Il nostro obiettivo – ha spiegato – è creare porti che siano al centro dell’innovazione e della sostenibilità, unendo sviluppo economico e rispetto per l’ambiente”.

“Questa legge deve rispondere alle esigenze di un settore che è fondamentale non solo per l’economia del mare, ma per l’intera economia nazionale”, ha proseguito Serra. “La portualità turistica italiana è uno degli asset più importanti del nostro Paese, un volano che contribuisce alla creazione di posti di lavoro e alla crescita del turismo internazionale. Oggi più che mai, la politica deve supportare questo settore con azioni concrete e normative adeguate”.

Cantieristica, l’industria navale in Italia vola: ordini per 37 navi da crociera entro il 2035

Altro fiore all’occhiello della blue economy è l’industria navale italiana che vede nella costruzione delle navi da crociera la sua punta di diamante, a testimonianza di un legame indissolubile tra blue economy e turismo.

Uno studio condotto da Cassa Depositi e Prestiti e pubblicato due mesi fa, lo mette nero su bianco: forte vocazione all’export con 9,1 miliardi di euro di fatturato all’estero e una filiera produttiva che conta 14mila imprese: un settore trainante del made in Italy, “che genera valore per 2,7 milioni, per ogni milione investito”. E che si caratterizza per una domanda in costante aumento e orientata verso la richiesta di standard qualitativi sempre più elevati. Il nostro Paese oggi contribuisce per il 36% sulla produzione a livello mondiale di navi da crociera. Gli ordini, intanto, volano: ben 37 le unità previste entro il 2035.

L’altro segmento della cantieristica navale – che comprende, solo per fare alcuni esempi, pescherecci, altre navi, infrastrutture offshore – ha registrato ricavi per 978 milioni, in calo del 2,2% sul 2022 e in aumento del 196% sul 2013, secondo i dati Istat elaborati da Cipnes e UniOlbia.

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Patrizia Penna

Giornalista professionista

Sono nata a Catania, mi sono laureata con lode in Lingue e Culture europee all'Università di Catania. Ho lavorato per quasi vent'anni come redattore al Quotidiano di Sicilia, ho curato contenuti ma anche grafica e impaginazione. Oggi sono una libera professionista. Mi occupo di informazione, uffici stampa e curo sui social media la comunicazione di aziende, anche straniere.

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