Dopo la Sicilia e la Toscana, anche l’Emilia-Romagna sta per cambiare le regole sugli affitti brevi con una proposta di legge che introduce vincoli e obblighi più stringenti per i proprietari che affittano immobili a turisti per periodi inferiori ai 30 giorni. La bozza, presentata il 26 settembre 2025 dagli assessori regionali alla Casa, Giovanni Paglia, e al Turismo, Roberta Frisoni, è attualmente al vaglio degli operatori del settore ma promette già di far discutere.
Indice
- Affitti brevi in Emilia-Romagna: la nuova categoria urbanistica
- Affitti brevi, in Emilia-Romagna tre anni di tempo per adeguarsi
- Emilia-Romagna come modello per le altre regioni?
- Legge sugli affitti brevi: soluzione per mercati locali?
- Nuove regole sugli affitti brevi in Emilia Romagna: cosa rischia chi non le rispetta
Affitti brevi in Emilia-Romagna: la nuova categoria urbanistica
Il cuore della riforma è evidentemente l’istituzione di una specifica categoria urbanistica dedicata agli affitti brevi. Una novità che comporterà, per molti proprietari, la necessità di avviare un iter burocratico per modificare formalmente la destinazione d’uso del proprio immobile. Non più abitazioni nel senso comune del termine, ma strutture ricettive con tutto ciò che ne consegue in termini di autorizzazioni e adempimenti.
La legge affida ai Comuni un potere decisionale ampio: saranno infatti le amministrazioni locali a stabilire dove e a quali condizioni sarà possibile affittare per brevi periodi. Potranno per esempio delimitare zone del territorio in cui l’attività sarà permessa o completamente esclusa, fissare tetti massimi al numero di unità destinate alla locazione turistica e imporre condizioni aggiuntive. Non solo: i Comuni avranno anche la facoltà di bloccare interventi edilizi come frazionamenti o recuperi di sottotetti che potrebbero favorire la conversione degli immobili a uso turistico.
Cantine e soffitte fuori gioco
Tra le disposizioni più innovative spicca il divieto esplicito di utilizzare spazi accessori come cantine, soffitte e altri locali non abitabili per ospitare turisti. La misura punta dunque a garantire standard minimi di qualità e sicurezza, ponendo fine a pratiche spesso ai limiti della legalità.
Gli immobili destinati agli affitti brevi dovranno naturalmente rispettare tutte le norme edilizie, igienico-sanitarie, di sicurezza e di efficienza energetica. I requisiti andranno auto-certificati attraverso una modulistica semplificata predisposta dalla Regione. Chi non si adeguerà rischierà sanzioni amministrative significative: da 3.000 a 8.000 euro per chi viola i requisiti tecnici e urbanistici, da 1.500 a 3.000 euro per chi non comunica il cambio d’uso.
Affitti brevi, in Emilia-Romagna tre anni di tempo per adeguarsi
La normativa prevede un periodo transitorio per chi già affitta immobili. I proprietari avranno tre anni dalla data di entrata in vigore della legge per mettersi in regola con i nuovi requisiti. Nei Comuni che introdurranno una propria disciplina urbanistica specifica, la comunicazione del cambio d’uso dovrà avvenire entro dodici mesi. Eventuali nuove disposizioni locali su standard minimi o dotazioni infrastrutturali potranno richiedere ulteriori adeguamenti, anche per gli immobili già operativi, con un termine minimo di tre anni per completare i lavori necessari.
Controlli e monitoraggio digitale
Per tenere sotto controllo il fenomeno, la Regione prevede la creazione di una piattaforma digitale dove confluiranno tutti i dati sugli affitti brevi. In attesa della sua attivazione, ogni Comune dovrà istituire un registro aggiornato degli immobili destinati a questo uso. La vigilanza sul rispetto delle norme e l’applicazione delle sanzioni resteranno competenza comunale, mentre le entrate derivanti dalle multe saranno destinate a interventi sul patrimonio edilizio pubblico.
Emilia-Romagna come modello per le altre regioni?
Secondo i dati dell’Associazione italiana gestori affitti brevi, le case affittate con locazione breve rappresentano appena lo 0,6% del patrimonio immobiliare complessivo dell’Emilia-Romagna. Un dato che ridimensiona le polemiche ma che non frena la volontà della Regione di mettere ordine in un settore spesso accusato di sottrarre abitazioni al mercato residenziale tradizionale, contribuendo all’aumento dei prezzi nelle città turistiche.
Peraltro, l’iniziativa dell’Emilia-Romagna non nasce nel vuoto. Toscana e Sicilia hanno già avviato percorsi simili per regolamentare il mercato delle locazioni turistiche di breve durata, mentre diversi Comuni italiani stanno studiando misure analoghe. La stretta emiliano-romagnola potrebbe quindi rappresentare un modello replicabile in altre aree del Paese, dove il boom degli affitti brevi ha generato tensioni sociali e urbanistiche.
Insomma, il dibattito è destinato ad allargarsi: da un lato chi difende la libertà di impresa e il diritto di proprietà, dall’altro chi chiede regole chiare per tutelare il diritto all’abitare e l’equilibrio dei tessuti urbani.
Legge sugli affitti brevi: soluzione per mercati locali?
Per comprendere quali possano essere gli impatti di questa misura, ne abbiamo parlato con Gianluca Capone, uno dei più noti consulenti in marketing e comunicazione real estate in Italia. “Ritengo che l’obbligo di cambio di destinazione d’uso rischi di essere una misura sproporzionata rispetto all’effettivo impatto del fenomeno sul mercato abitativo. In Emilia-Romagna, gli affitti brevi rappresentano una quota marginale del patrimonio immobiliare: parliamo di meno di 4.000 unità a fronte di oltre 13.000-15.000 abitazioni di proprietà oggi sfitte – fa sapere Capone -. È quindi evidente che il problema dell’emergenza abitativa non può essere imputato a questo comparto. Detto questo, non si può negare che il settore necessiti di un quadro più chiaro e ordinato. Negli ultimi anni, l’assenza di regole uniformi ha favorito la presenza di operatori improvvisati e situazioni non sempre trasparenti. Introdurre criteri più stringenti può avere un effetto positivo se orientato alla qualità dell’offerta e alla tutela del turista”.
Ma qual è il pericolo principale? “Il rischio è che l’obbligo di cambio di destinazione d’uso introduca un livello di burocrazia e costi tale da scoraggiare i piccoli proprietari e favorire i grandi gruppi, con un conseguente ridimensionamento dell’offerta turistica diffusa. Più che un irrigidimento normativo, servirebbe una regolamentazione moderna e proporzionata, capace di distinguere tra chi gestisce poche unità e chi opera in forma imprenditoriale” – prosegue ancora l’esperto.

I rischi connessi all’assenza dei dati
A complicare il tutto, poi, c’è anche il fatto che il potere affidato ai Comuni di limitare o vietare gli affitti brevi in determinate zona possa creare disparità territoriali significative. “Premetto che senza dati aggiornati e omogenei è difficile valutare in che misura gli affitti brevi incidano realmente sull’equilibrio abitativo locale – aggiunge -. L’obiettivo dovrebbe essere quello di trovare un punto di equilibrio tra l’esigenza di preservare la residenzialità nei centri urbani e quella di sostenere un turismo di qualità, che genera reddito e valorizza il territorio”.
Insomma, affidare ai Comuni la possibilità di introdurre limitazioni può essere una mossa funzionale, “ma solo se le decisioni vengono prese sulla base di analisi puntuali e non per rispondere a pressioni politiche o mediatiche. Servono dati oggettivi: numero di immobili locati, durata media dei soggiorni, impatto sui canoni e sulla disponibilità di case in affitto tradizionale. In assenza di queste informazioni, il rischio è quello di creare disparità territoriali significative, con Comuni che adottano restrizioni sproporzionate e altri che restano completamente deregolamentati. La ricerca dell’equilibrio è certamente la strada giusta, ma per percorrerla servono strumenti di monitoraggio e una regia regionale o nazionale che garantisca coerenza e trasparenza nelle scelte locali”.
Nuove regole sugli affitti brevi in Emilia Romagna: cosa rischia chi non le rispetta
Per quanto riguarda le sanzioni previste, la loro misura non dovrebbe essere quella di “punire”, ma di favorire il rispetto delle regole e creare un mercato equilibrato. “In questo senso, il vero punto non è tanto l’importo delle multe, quanto la capacità di prevenire le irregolarità attraverso controlli a monte e procedure chiare per chi desidera operare in modo regolare – sostiene il consulente – Porre barriere di ingresso più definite (come requisiti minimi di qualità, registrazioni obbligatorie e verifiche preventive) riduce la necessità di interventi repressivi successivi. Tuttavia, quando si parla di operatori che agiscono senza CIN, senza autorizzazioni o in immobili non conformi, le sanzioni devono essere applicate con decisione: in questi casi non si tratta solo di concorrenza sleale, ma anche di un danno sociale e reputazionale per il settore”.
In altri termini, anche in questo caso il vero nodo rimane pur sempre la capacità dei Comuni di effettuare controlli efficaci. “Molte amministrazioni locali, soprattutto nei centri minori, non dispongono delle risorse o delle competenze per gestire verifiche costanti. Per questo sarebbe utile una piattaforma regionale unica, con dati condivisi e sistemi di incrocio automatico tra registri, per semplificare la vigilanza e garantire un’applicazione uniforme delle norme sul territorio – aggiunge -. Alla luce dei numeri, è difficile sostenere che gli affitti brevi siano la causa dell’emergenza abitativa. In Emilia-Romagna rappresentano appena lo 0,6% del patrimonio immobiliare complessivo, mentre migliaia di abitazioni restano sfitte e inutilizzate. È quindi evidente che intervenire in modo così incisivo su questo segmento rischia di essere una misura più simbolica che strutturale”.
Per l’esperto le cause profonde della carenza di alloggi accessibili risiederebbero nell’assenza di incentivi per immettere sul mercato le case vuote, nella scarsità di politiche per l’housing sociale e nella rigidità burocratica che spesso scoraggia i piccoli proprietari. “Regolare gli affitti brevi è legittimo e può contribuire a migliorare la qualità dell’offerta, ma sarebbe un errore trasformare questa normativa in una risposta politica invece che in una strategia di riequilibrio reale – conclude -. Servono interventi calibrati sulle necessità del territorio, capaci di conciliare libertà di impresa, attrattività turistica e diritto all’abitare”.
Roberto Rais
Giornalista e autore