Salari reali in caduta libera, Italia ultima nel G20: ecco perché gli italiani guadagnano sempre meno

I nostri nonni, con un solo stipendio, riuscivano a sostenere un’intera famiglia, accantonare dei risparmi e magari acquistare la prima o la seconda casa. Oggi tutto questo sembra utopia. E la responsabilità non è certo dei “giovani fannulloni”, ma di stipendi e compensi inadeguati al costo della vita.

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Otto euro e settanta centesimi su cento persi in sedici anni. Questo il conto salato che i lavoratori italiani stanno pagando dal 2008 a oggi: il peggior risultato tra tutti i Paesi del G20 secondo l’Organizzazione internazionale del lavoro. L’inflazione non può essere l’unico indice da prendere in esame per conoscere la qualità della vita degli italiani. Nonostante sia in calo, infatti, per milioni di lavoratori e famiglie la percezione di una ripresa resta lontana anni luce: i salari reali in Italia – che rappresentano la quantità di beni e servizi che, nel netto dell’inflazione, si possono acquistare – restano irrisori.

Cosa dicono i dati sui salari reali in Italia

Nelle scorse settimane la premier Giorgia Meloni, in occasione della Festa dei lavoratori, si è sottratta all’ennesima conferenza stampa. Ha preferito parlare agli italiani con un videomessaggio, affermando esattamente il contrario rispetto al capo dello Stato. “I salari reali crescono in controtendenza rispetto al passato”, ha detto. Ma l’operato del Governo non c’entra affatto e questo dato sui salari reali è soltanto la conseguenza del freno all’inflazione.

Secondo l’Organizzazione internazionale del lavoro (OIL), dal 2008 al 2024 i salari reali in Italia sono diminuiti dell’8,7%. L’Italia è anche il Paese del G20 con la perdita più alta del potere d’acquisto dal 2008. È vero che nel 2024 ci sia stata un’inversione di tendenza, del 2,3%, che non recupera le perdite accumulate negli anni di alta inflazione. I dati Istat confermano questa timida ripresa: nei primi otto mesi del 2024 gli stipendi sono cresciuti del 3,2%, superiore alla crescita media dei prezzi (+1%).

A essere penalizzate sono per lo più le donne – che rappresentano il 52% di coloro che percepiscono un basso salario – e i migranti, che guadagnano mediamente il 26,3% in meno rispetto agli italiani. Ma c’è anche un altro divario drammatico: quello tra pubblico e privato. Nella pubblica amministrazione i salari sono cresciuti solo del 14,1% dal 2009 al 2023, contro il 25,9% dell’industria e il 17,3% dei servizi privati.

L’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) fa sapere che nonostante gli 850 mila nuovi posti di lavoro del 2022, i salari italiani siano in sostanziale stagnazione o addirittura in calo rispetto all’aumento del costo della vita e rispetto alle dinamiche degli altri Paesi sviluppati.

Quanto guadagnano gli italiani? Gli stipendi

Secondo JP Salary Outlook, l’Italia è al 22esimo posto su 34 Paesi Ocse per stipendi medi annui con una retribuzione annua lorda (RAL) media di 31.856 euro e una retribuzione globale annua (RGA), che include la tredicesima e quattordicesima, di 32.402 euro. Tra i dipendenti, tuttavia, lo stipendio è ampiamente variabile. Basti pensare che la RAL di un dirigente sia mediamente di 106.606 euro.

Considerando pure gli autonomi, secondo le ultime statistiche Inps, i lavoratori italiani – sui dati aggiornati al 2023 – guadagnerebbero mediamente 25.259 euro l’anno. E arriva l’allarme da uno studio dell’ufficio Economia della Cgil nazionale: oltre 6 milioni di dipendenti nel settore privato hanno guadagnato meno di 15 mila euro lordi l’anno nel 2023 e 10,9 milioni di dipendenti guadagnano meno di 25 mila euro lordi annui. Una dimostrazione lampante anche delle ridotte capacità dei sindacati di difendere i diritti dei lavoratori che, spesso, finiscono per rinunciare a tutelare la loro salute.

Perché i salari non aumentano in Italia?

Ma perché in Italia si guadagna poco? Perché lo stipendio non aumenta? La risposta non è solo nella “crisi generale” e nella globalizzazione, ma anche nella produttività stagnante. Come evidenziato dall’Osservatorio sui conti pubblici italiani, la crescita degli occupati tra il 2022 e il 2024 si è concentrata in settori a bassa produttività come commercio, pubblica amministrazione e costruzioni. In questi comparti la capacità di generare valore aggiunto per ogni ora lavorata è limitata e questo si traduce in salari più bassi.

Il dato è impietoso: secondo l’Organizzazione Internazionale del Lavoro, tra i Paesi ad alto reddito la produttività è cresciuta in media del 30% dal 1999 al 2024, mentre in Italia è diminuita del 3%. Non si può aumentare i salari se non si produce più valore.

A pesare sul fenomeno, poi, una contrattazione collettiva inadeguata all’inflazione e alle nuove esigenze del mercato del lavoro. La retribuzione oraria resta bassa e le famiglie italiane continuano a dover rinunciare a consumi non essenziali o a ridurre la propensione al risparmio, nel 2024 in calo con il 9,2%. La retribuzione e l’occupazione, a loro volta, dipendono dalla capacità di crescita delle imprese e dalla pressione fiscale, ormai insostenibile.

Il fallimento trasversale della politica

Il problema ha radici lontane. L’Italia si trova di fronte al risultato di decenni di politiche miopi, sia di centrodestra che di centrosinistra, che hanno privilegiato la crescita quantitativa dell’occupazione senza curarsi della sua qualità, creando posti di lavoro malpagati e a bassa produttività. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: un Paese che lavora tanto, ma guadagna poco.

Le responsabilità sono trasversali: da Berlusconi a Renzi, da Conte a Meloni, nessuno ha affrontato seriamente il nodo della produttività. Si è preferito il consenso facile delle politiche assistenziali o dei bonus una tantum invece degli investimenti strutturali in formazione, innovazione e riorganizzazione del lavoro.

La strada da percorrere per la crescita dei salari reali in Italia

Senza una decisa inversione di rotta sulle politiche retributive e sulla produttività – che non possono fare a meno di investimenti massicci in formazione, politiche attive per l’occupazione femminile e giovanile, riduzione del cuneo fiscale e salario minimo garantito – l’Italia rischia di trasformarsi in una nazione di working poor.

Il Paese si trova a un bivio: continuare con politiche tampone che non affrontano il nodo strutturale della produttività, oppure investire davvero in innovazione, ricerca e riqualificazione della forza lavoro. La crescita del 2,3% dei salari reali nel 2024 è un segnale positivo, ma è solo una goccia nell’oceano delle perdite accumulate in sedici anni.

Non basta più dire che “stiamo creando posti di lavoro”, se questi posti non permettono di vivere dignitosamente. È tempo di cambiare paradigma: meno propaganda sui numeri dell’occupazione, più investimenti sulla qualità del lavoro.

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Ivana Zimbone

Direttrice responsabile

Direttrice responsabile di Partitaiva.it e della rivista filosofica "Vita Pensata". Giornalista pubblicista, SEO copywriter e consulente di comunicazione, mi sono laureata in Filosofia - con una tesi sul panorama dell'informazione nell'era digitale - e in Filologia moderna. Ho cominciato a muovere i primi passi nel giornalismo nel 2018, lavorando per la carta stampata e l'online. Mi occupo principalmente di inchieste e approfondimenti di economia, impresa, temi sociali e condizione femminile. Nel 2024 ho aperto un blog dedicato alla comunicazione e alle professioni digitali.

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