Diventare imprenditori di successo è il sogno di molti liberi professionisti ma anche di dipendenti che desiderano cambiare lavoro e fare il salto di qualità. Per riuscirci non basta sapere come far partire un’impresa. Occorre diventare abili nella gestione aziendale. Non è proprio come andare in bicicletta ma il concetto di equilibrio c’entra, eccome.
Capacità di problem solving, fiuto e buona volontà da soli non sono sufficienti. Per una gestione aziendale vincente servono una chiara divisione dei comparti aziendali e competenze specifiche. Servono finanziamenti ma anche un sistema efficace (non ossessivo) di controlli sulle performance dei dipendenti.
Quello che un’azienda deve fare per avere successo, dunque, è costruire la propria attività su questi “pilastri” e dimostrare di possedere tutti quegli anticorpi necessari a resistere agli imprevisti e agli scossoni di un mercato in continua trasformazione. Anticorpi che non giungono in azienda per opera dello Spirito Santo ma che vanno costruiti, uno per uno. Ecco come.
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Gli errori di gestione aziendale: perché le imprese falliscono
Sono tantissime le realtà imprenditoriali che in Italia nascono sotto i migliori auspici e con un buon potenziale di crescita, ma poi qualcosa si inceppa: cosa e perché? A queste domande abbiamo provato a rispondere affidandoci all’esperienza di Stefano Modena, esperto di corporate governance, insieme al quale abbiamo esplorato le cause, non sempre squisitamente economiche, che portano in rovina un’azienda.

“Dall’analisi realizzata da CRIBIS, la società del Gruppo CRIF specializzata nelle informazioni commerciali – esordisce Modena – le liquidazioni giudiziali registrate nel corso del 2024 sono state 9.162, in crescita del +19,7%) rispetto al 2023. Secondo Marco Preti, AD della Società, le cause principali sono il contesto macroeconomico, l’instabilità geopolitica, l’aumento dei costi energetici e dei materiali, e l’innalzamento dei tassi di interesse”.
Il caso Olivetti
Più in generale possiamo dire che le aziende falliscono quando finiscono i soldi. “Le difficoltà finanziarie – spiega l’esperto a Partitaiva.it – sono un sintomo palese di una gestione non economica, in cui bassa marginalità, cioè prezzi troppo bassi e costi troppo alti, non consente all’azienda di proseguire la propria attività. Le cause profonde vanno ricercate nella capacità dell’azienda di leggere il contesto in cui opera, il punto del ciclo dell’industria e del prodotto in cui si trova, nella capacità di innovare, investire e rinnovarsi, o anche di cambiare strada prima che sia troppo tardi. Un’azienda è un insieme complesso di competenze che spaziano dalla produzione al marketing, dal commerciale alla finanza, e se ne manca qualcuna i problemi si notano subito”.
Modena rievoca la mitica Olivetti, un esempio classico: “Leader nelle macchine elettromeccaniche ha inventato il personal computer, ma per innumerevoli motivi non è riuscita a coglierne le potenzialità e ha perso una grande occasione. Alla fine, dopo una lunga crisi, è diventata un operatore telefonico”.
Cosa si intende per gestione dell’impresa
Cosa significa gestire un’azienda non è presto detto. Seppure considerati talenti indispensabili all’imprenditore nella gestione aziendale, determinazione, intuito, resilienza e capacità manageriali non costituiscono da soli una garanzia di successo.
La gestione aziendale è a tutti gli effetti un processo. Significa sostanzialmente avere un obiettivo e mettere in campo tutta una serie di scelte, anche di tipo organizzativo, che puntino al raggiungimento di quel determinato obiettivo nel più breve tempo possibile ed in una prospettiva di crescita costante del business che consenta di guardare a traguardi sempre più ambiziosi.
La gestione aziendale può essere suddivisa in diverse aree, come la gestione caratteristica, la gestione finanziaria, la gestione patrimoniale e la gestione fiscale. Da questa suddivisione è possibile evincere quali siano i criteri, le strategie e i passaggi che conducono l’imprenditore non solo alla scelta del business che intende avviare, ma anche del numero dei dipendenti da assumere, degli organi aziendali (reparti o uffici) attraverso i quali articolare l’organizzazione dell’impresa. Stiamo parlando di quell’insieme di operazioni che messe insieme consentono all’imprenditore di avere sotto controllo ogni aspetto legato alla sua attività, senza dover intervenire in prima persona, dunque ricorrendo alla delega.
Quali sono le 4 fasi della gestione aziendale
Gestire in modo virtuoso e vincente una qualunque realtà imprenditoriale, piccola o grande che sia, è una sfida continua che richiede, innanzitutto, preparazione. La mancanza di una cultura d’impresa è un grande problema italiano.
Pianificazione, esecuzione, verifica e azione: sono queste le quattro fasi della gestione aziendale rispetto al progetto imprenditoriale. Pianificare significa individuare cosa, come e quando. Significa definire obiettivi misurabili, valutando le strategie da mettere in atto ma anche il tempo necessario al loro raggiungimento. Il passo successivo è quello che porta dal dire al fare. L’esecuzione, in ambito aziendale, indica proprio quella fase in cui le strategie delineate nella pianificazione vengono tradotte in azioni, processi e procedure.
L’analisi relativa alla misurazione delle performance aziendali è l’attività propria della fase di verifica. Un passaggio importantissimo che serve a capire se la strada intrapresa nella gestione aziendale è quella giusta o se sono necessarie correzioni. Pianificazione, organizzazione e controllo portano alla quarta e ultima fase, quella dell’azione, nella quale la gestione aziendale si estrinseca in modo concreto, traducendosi in attività ancora più specifiche che possono essere anche azioni di marketing o di riduzione dei costi.
Da liberi professionisti a imprenditori: la differenza
“Professionisti e imprenditori sono agli antipodi – ci dice Modena -. Il professionista è il massimo esperto nel suo campo e tende ad occuparsi dei problemi in prima persona. L’imprenditore invece è dotato di intuito e capacità organizzativa, deve saper delegare e controllare”. A Modena abbiamo chiesto di immaginare di rivolgersi ad un libero professionista che voglia provare a fare il salto di qualità e ad avviare un’attività. “Più che salto di qualità – ci risponde – parlerei di un altro mestiere, oppure di ingegnerizzazione della propria professione. Avvocati, commercialisti, ingegneri e architetti si organizzano spesso in studi associati nei quali tendenzialmente ogni professionista continua a seguire i propri clienti. Una maggiore strutturazione porta a far svolgere alcune parti più semplici o standardizzate a professionisti junior, in modo da aumentare la capacità dei senior e partner di aggiungere valore alla propria attività”.
I 5 consigli utili per una gestione aziendale di successo
Modena prosegue nel suo ragionamento: “Fare l’imprenditore è diverso. Il primo consiglio è avere una visione di ciò che si intende sviluppare, sapere qual è il problema che si vuole risolvere”. Questo concetto è spiegato bene dalla celebre frase di Philip Kotler, uno dei guru del management: “la gente vuole un buco nel muro, non un trapano”. “Il secondo consiglio – chiosa – è di farsi affiancare da bravi collaboratori. Per fare gli imprenditori bisogna saper scegliere le persone, saper delegare, avere fiducia e saper controllare. L’impresa è come una macchina, l’imprenditore deve capirne il funzionamento, anche se non conosce in dettaglio tutti i meccanismi”.
“Il terzo consiglio – prosegue – è molto pratico: preparare un piano industriale molto analitico. La visione va declinata in azioni e il piano, uno strumento fondamentale per farsi domande e trovare le soluzioni prima di cominciare. Nessuno costruirebbe un grattacielo senza un prima aver fatto un progetto. Soprattutto mette in evidenza quali saranno le necessità finanziarie dell’impresa e consente di parlarne con i finanziatori, gente che i piani li conosce bene”.
Decisioni difficili e ponderate: ecco cosa significa gestire un’impresa
“Il quarto consiglio – aggiunge Modena – è di farsi affiancare da un consiglio di amministrazione. Quando arriva il momento delle decisioni difficili l’imprenditore è solo e normalmente sottovaluta i rischi e sopravvaluta le opportunità. Ha una grande fiducia in sé stesso e tende a scambiare i propri desideri per la realtà. Un buon consiglio di amministrazione lo costringe a stare con i piedi per terra e mediare tra il proprio intuito e i dati oggettivi, in modo da prendere decisioni ponderate”.
L’ultimo consiglio? “Avere sempre ben chiaro qual è il proprio vantaggio competitivo e monitorare costantemente cosa sta facendo la concorrenza. Troppe aziende si guardano l’ombelico e si ritrovano fuori mercato perché non sanno cosa succede fuori”.
Crisis management: imparare a prevenire e gestire le crisi
Stefano Modena parte dalle definizioni: “Il Codice civile definisce imprenditore chi esercita professionalmente una attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi”. Quindi la capacità di organizzazione è fondamentale, non solo sotto il profilo giuridico ma anche pratico. “Esatto – conferma l’esperto di corporate governance – L’impresa nasce intorno a un’idea che serve a risolvere un problema a qualcuno, l’imprenditore è colui che deve definire e organizzare tutti i passaggi che servono per arrivare alla soddisfazione di un bisogno da parte di un cliente in modo economicamente soddisfacente per entrambe le parti. Questa capacità è chiamata fiuto. Nell’etimo della parola impresa ritroviamo tutta l’epica di chi si lancia in un’avventura spinto da una visione, senza avere la certezza che funzionerà, ma con una incrollabile fiducia in sé stesso e nella propria idea”.
Attenzione, però. Anche gli imprenditori si sbagliano. “Circa un’azienda su due – spiega – non arriva al quinto anno perché non riesce a implementare un modello di business sostenibile, o per mancanza di capacità manageriali. Le capacità imprenditoriali sono innate mentre quelle manageriali si possono imparare. Un imprenditore dovrebbe avere anche un’adeguata formazione, in modo da evitare gli errori più grossolani”.
Cosa significa gestire un’azienda? Piccole imprese vs grandi imprese
Il modello principale delle aziende italiane è certamente quello familiare. Stiamo parlando delle piccole realtà che con pochi mezzi sono stati capaci di compiere veri miracoli imprenditoriali che hanno reso grande il nostro Paese in tutto il mondo.
I principi fondamentali di una buona gestione aziendale sono sempre gli stessi, ma la differenza dimensionale rende la conduzione molto diversa. “Nelle piccole realtà – ci spiega Modena – le informazioni sono relativamente poche, l’imprenditore ha il polso della situazione visivamente andando in magazzino o nello stabilimento, parlando con poche persone, spesso di famiglia, l’organizzazione è flessibile e ciò permette tempi di reazione veloci ad ogni sollecitazione che viene dal mercato”.
Gestione aziendale e controllo delle risorse umane
Le operazioni di gestione di un’impresa restano per molti una sorta di oggetto misterioso: un vulnus di conoscenza e comportamenti che possono impattare sul business portando con sé gravi conseguenze: crisi e fallimenti, ambienti di lavoro tossici, perdita del patrimonio, bancarotta.
Quali uffici o reparti deve avere impresa che funziona? Vanno gestiti direttamente? Come fare a controllarli per evitare che i dipendenti sbaglino? Una gestione aziendale virtuosa è in grado di rispondere anche a questi interrogativi. Quando l’azienda cresce si deve necessariamente dotare di un sistema di controllo che permetta di ordinare e suddividere il lavoro. “Organigrammi e procedure – prosegue – diventano indispensabili, ma tendono ad ingessare la società e ogni cosa che esce dal previsto diventa un problema. Le persone diventano uffici e fanno fatica a parlare tra di loro, inoltre spesso hanno obiettivi personali divergenti. Accompagnare la crescita dell’azienda con un buon sistema di controllo però è indispensabile. Non si può navigare con un transatlantico come se fosse una barca a vela”.
La salute sul luogo di lavoro è una cosa seria: il benessere dei dipendenti
Mentre in Spagna si lavorerà meno a parità di stipendio, in Svezia ormai da tempo le imprese hanno fatto del benessere dei loro dipendenti una mission aziendale. Nel nostro Paese, al contrario, i dipendenti non si fermano nemmeno nel weekend. Saranno i più stakanovisti d’Europa ma i lavoratori italiani sono sicuramente anche quelli più infelici. “L’ambiente lavorativo, e per cui anche l’azienda, di qualunque tipo e dimensione è tossico”, precisa Modena, secondo il quale il bravo imprenditore cerca di creare un ambiente in cui il lavoro sia piacevole ma lo scontro è inevitabile.
Quando un’azienda va male? “Una certa dose di tensioni e contrasti, come lo stress, possono essere positivi – spiega l’esperto – ma superata una certa soglia ne risente tutta l’organizzazione. Il problema dell’insoddisfazione è connaturato al contesto e le aziende più attente la monitorano e implementano programmi per migliorare il benessere dei collaboratori”.
Ecco perché moltissimi italiani vogliono cambiare lavoro
Il motivo, naturalmente, è quello di attrarre e mantenere legate all’azienda le migliori risorse, altrimenti l’azienda va in crisi. “Tra le giovani generazioni c’è molta più un’attenzione alla qualità della vita – chiosa Modena – In azienda si passa almeno un terzo del proprio tempo. E al lavoro non si smette mai di pensare, neanche di notte o nel weekend. Anche se lavorare può non essere divertente, almeno non deve essere stressante”.
“Il Covid ha fatto emergere nuove possibilità di gestione del tempo e delle attività, da cui le aziende possono trarre molti spunti per riorganizzare in modo più soddisfacente l’ambiente di lavoro”, conclude Modena.
Patrizia Penna
Giornalista professionista