Negli ultimi anni l’economia circolare è passata dall’essere un semplice obiettivo di sostenibilità a diventare una vera e propria strategia industriale. Sempre più imprese italiane, spinte dall’aumento dei costi delle materie prime e dalle nuove politiche europee, stanno rivedendo i loro modelli produttivi per ridurre sprechi, consumi e dipendenze dai mercati globali. Non si tratta solo di riciclo: servono riprogettazione dei materiali, nuove competenze interne, investimenti tecnologici e filiere più efficienti. Partitaiva.it ha intervistato uno dei padri fondatori dell’economia circolare, Walter Stahel, e due esperti accademici – Enrico Maria Mosconi e Massimiliano Fabbricino – per comprendere le opportunità che le imprese possono cogliere. A trarre maggiori vantaggi sono le PMI con produzione regionale o locale.
Indice
Transizione green, +10% in un anno: le ragioni della scelta
Secondo il Circular economy report 2025 di Energy & Strategy – Polimi School of Management, tra il 2024 e il 2025 la quota di aziende intenzionate a introdurre pratiche circolari è salita dal 24% al 34%. Per molte imprese la scelta della circolarità nasce da ragioni non solo etiche ma anche reputazionali. “Nella maggior parte dei casi la motivazione è legata ad aspetti di marketing e comunicazione. Sono gli stakeholder a spingere l’impresa ad adottare questi modelli”, spiega a Partitaiva.it Massimiliano Fabbricino, docente di Ingegneria civile, edile e ambientale all’Università di Napoli Federico II.

Ma la circolarità non è un concetto nuovo. “In agricoltura esiste da sempre. La novità è applicarla all’industria moderna. L’Europa l’ha spinta tramite i Circular economy package e ora con il Circular economy act. L’obiettivo è quello di creare mercati che favoriscano i principi della circolarità lungo tutta la catena del valore, non solo nel riciclo”, precisa invece Enrico Maria Mosconi, professore ordinario al dipartimento di Economia. I fattori strutturali sono altrettanto importanti. “I principali vantaggi per le aziende sono maggiore resilienza, indipendenza, assenza di costi di conformità e maggiore competitività”, sottolinea Walther Stahel, pioniere della circular economy in Europa.
Quali sono i vantaggi dell’economia circolare per le imprese?
Per molte imprese, le pratiche circolari portano vantaggi concreti, anche immediatamente misurabili. Il professore Fabbricino distingue la circolarità reale da quella di facciata. “Se si tratta di greenwashing, i benefici sono soprattutto comunicativi o legati a punteggi per i CAM (criteri ambientali minimi) – spiega -. Se la circolarità è reale, i vantaggi diventano economici: minori costi di approvvigionamento delle materie prime e consumi energetici ridotti”.

Invece, l’esperto Mosconi inserisce questo tema in una prospettiva industriale più ampia, ricordando esempi concreti di applicazione del modello. “Il close the loop, cioè l’obiettivo del primo pacchetto europeo, ha spinto molte aziende, soprattutto quelle a valle della filiera, a modificare i processi affinché potessero creare nuove strategie (come il cradle to cradle, ‘dalla culla alla culla’). In alcuni settori, come plastica, acciaio e alluminio, abbiamo visto l’emergere di startup e innovazioni che trasformano materiali e cicli produttivi. Una lattina d’alluminio riciclata, per esempio, richiede un quarto dell’energia rispetto all’estrazione da bauxite”.
Gli ostacoli
Massimiliano Fabbricino individua nel deficit di conoscenza uno dei principali problemi. “L’ostacolo principale è l’ignoranza, intesa come non conoscenza dei vantaggi concreti che modelli circolari basati su standard di sostenibilità portano all’azienda”. Mosconi introduce un tema importante: la riconversione dei processi e la differenza tra approccio reactive e proactive. “La difficoltà principale è che l’impresa deve riconvertirsi – sottolinea -. Può aspettare la normativa e subire un problema produttivo, oppure essere proattiva e investire per modificare i processi. Nel secondo caso crea valore: come le aziende che hanno reinventato le cassette della frutta pieghevoli o quelle che hanno trovato modo di valorizzare materiali considerati a valore zero, come la cellulosa dei pannolini usati”.

Il professore evidenzia anche che spesso il valore tecnologico intrinseco di un prodotto non coincide con il suo valore di mercato: è un’area dove la circolarità può creare occasioni di profitto, dalla riconversione dei RAEE ai ricondizionamenti avanzati. Stahel segnala limiti fiscali e normativi. “Non tassare il reddito derivante dal lavoro in attività di servizi di assistenza”. Poi, aggiunge: “la cura della natura, della cultura o servizi sanitari, favorirebbe la circolarità”.
Competenze, tecnologia e AI: le nuove frontiere dell’economia circolare nelle imprese
Le competenze rappresentano la “vera infrastruttura” tecnica e culturale della transizione. “La formazione deve essere ibrida: competenze ambientali per capire dove si crea valore e competenze tecnologiche per usare strumenti come l’intelligenza artificiale. Quest’ultima riduce i tempi dell’innovazione: non basta più studiare un database, oggi si devono generare idee e soluzioni. Chi non integra queste capacità rischia di rimanere indietro”, aggiunge Mosconi. Un concetto che si lega direttamente alla sua visione del futuro: supply chain riprogettate, logistica inversa, prodotti più smontabili, passaporto digitale dei componenti.
Le tecnologie che accelereranno il business circolare
L’esperto Stahel sottolinea quanto l’integrazione tra digitale e sostenibilità stia diventando il vero acceleratore dell’economia circolare. “Gli obiettivi sono chiari: mantenere il valore dei beni nel tempo, ottimizzare la gestione degli stock e aumentare l’efficienza del loro utilizzo”, continua. Ed è proprio su questo fronte che le tecnologie più avanzate stanno imprimendo un’accelerazione decisiva. Per esempio, secondo l’esperto, l’intelligenza artificiale e i digital twin, stanno trasformando la logistica inversa, rendendo più efficienti i percorsi e migliorando la capacità delle aziende di prevedere la qualità e i tempi di ricondizionamento dei prodotti.
Le stesse tecnologie stanno rivoluzionando lo smistamento dei materiali: sistemi robotizzati e algoritmi di riconoscimento aumentano precisione e velocità nelle operazioni di recupero. Un ruolo altrettanto strategico è giocato dalla tracciabilità: sensori IoT e modelli digitali permettono di monitorare i beni anche dopo la vendita, generando dati che alimentano simulazioni del loro intero ciclo di vita. È questa capacità di prevedere usura, manutenzione e prestazioni a rendere possibile il passaggio a modelli di business basati sulle performance, in cui il produttore non vende il prodotto ma ne mantiene la proprietà e massimizza la durata del servizio offerto.
Dalla blockchain all’Era della D
Accanto all’AI, l’esperto suggerisce l’importanza della blockchain, considerata la tecnologia in grado di garantire trasparenza sulla provenienza, la composizione e la qualità dei materiali secondari. Una condizione indispensabile per creare fiducia nei mercati delle materie riciclate e facilitare l’integrazione tra filiere.
Un altro elemento di innovazione è rappresentato dalle scienze circolari, che stanno aprendo la strada a materiali potenzialmente riutilizzabili all’infinito grazie a processi di recupero molecolare e atomico. Il padre dell’economia circolare, parla dell’Era della D, riferendosi alla necessità di delink, dealloy, depolymerise e deconstruct i prodotti complessi, ovvero di separarli fino ai loro costituenti più elementari. È qui che la chimica circolare sta facendo i passi avanti più significativi, ad esempio con la depolimerizzazione delle plastiche. In questo contesto, lo sviluppo dell’acciaio verde, un acciaio prodotto senza emissioni, rappresenta secondo l’esperto “la chiave tecnologica fondamentale per la decarbonizzazione delle economie industriali”.
Produzione locale e vantaggi sistemici per le PMI
Per Stahel l’economia circolare nelle imprese diventa economicamente più vantaggiosa quando la produzione si sposta dalla scala globale a quella regionale e locale. È in un contesto di prossimità che il caso economico della circolarità diventa positivo: rigenerazione, ricondizionamento e riparazione funzionano davvero quando i centri produttivi e logistici sono vicini ai mercati di utilizzo. È qui che si riducono i costi, si accorciano i cicli di ritorno dei beni e si rende sostenibile, anche dal punto di vista economico, il modello. La sfida, quindi, è tutta nella visione delle imprese. “Il successo dipende dalla capacità di trattare investimenti in AI, IoT e blockchain non come un costo, ma come l’abilitatore strategico che apre i flussi di ricavo della circolarità”, afferma. Ed è una trasformazione che richiede leadership, oltre che tecnologia.
I rischi di restare indietro
L’economia circolare non è più una semplice possibilità per le imprese e per questa ragione esistono diversi incentivi a disposizione. “Se non sarà adottata su larga scala, i rischi sono la crescente scarsità di materie prime ed energia, con aumento dei costi di produzione e dei prezzi. E un peggioramento della qualità ambientale, con effetti negativi sulla salute umana”, fa sapere Fabbricino. Mosconi aggiunge anche un rischio sistemico: “Senza competenze e capacità di trasformazione, le imprese rimangono bloccate in un modello lineare inefficiente e vulnerabile alle dinamiche globali delle materie prime”, conclude.












Cristina Siciliano
Giornalista e scrittrice