Tassazione partecipazioni qualificate, anche la nuda proprietà conta: la sentenza

I dividendi incassati ricevuti dal socio, se le sue azioni complessive superano il 25%, vengono tassati con un'aliquota più elevata.

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Tassazione partecipazioni qualificate nuda proprietà

Con sentenza n. 17741 del 1° luglio 2025, la Corte di Cassazione ha chiarito una regola molto importante per chi possiede azioni di società: per calcolare se una partecipazione sia o meno “qualificata” occorre considerare anche le azioni possedute in nuda proprietà, non solo quelle di piena proprietà.

Si tratta di una distinzione non certo marginale: la corretta considerazione del peso della propria partecipazione determina infatti quale regime fiscale si applica ai dividendi ricevuti dai soci. Nel caso in cui la partecipazione complessiva superasse il 25% del capitale sociale della società, si considererebbe “qualificata”, con la conseguenza che i dividendi sarebbero tassati con un’aliquota più alta.

Cos’è la partecipazione qualificata

Una partecipazione si considera qualificata se rappresenta una percentuale significativa del capitale o del patrimonio di una società: nel caso delle società non quotate in un mercato regolamentato (nel nostro caso, Borsa Italiana), la soglia è del 25% del capitale sociale o del patrimonio.

Fino a questa sentenza, c’era maggiore incertezza su come si potesse calcolare questa percentuale nel momento in cui un socio possedeva azioni sia in piena proprietà che in nuda proprietà. Ebbene, la Cassazione ha ora chiarito che entrambe le tipologie di possesso devono essere sommate per determinare se si raggiunge o meno la soglia qualificante del 25%.

Tassazione partecipazioni qualificate e nuda proprietà: il caso

Nella specifica fattispecie, la controversia è nata nel momento in cui l’Agenzia delle Entrate ha contestato a una contribuente di aver superato la soglia del 25%, considerando sia le azioni di piena proprietà che quelle di nuda proprietà. La contribuente si è opposta sostenendo che le azioni in nuda proprietà non dovessero essere contate perché il nudo proprietario non riceve dividendi.

I primi due gradi di giudizio avevano dato ragione alla contribuente. I giudici tributari avevano infatti stabilito come fosse errato applicare il regime della partecipazione qualificata se il nudo proprietario non percepisce dividendi e che quindi sarebbe stato ingiusto tassarlo con aliquote più alte su redditi che non riceve.

Il valore della nuda proprietà

La Suprema Corte ha però ribaltato questa decisione spiegando che la questione va vista in modo evidentemente diverso. Secondo i giudici, il fatto che il nudo proprietario non riceva dividendi non significa che la sua partecipazione non abbia valore ai fini del calcolo della soglia.

A conferma di ciò, la Cassazione ha precisato come i dividendi siano il “frutto civile” delle azioni e che spettano effettivamente all’usufruttario quando le azioni sono oggetto di usufrutto. Tuttavia, questo non toglie che la posizione del nudo proprietario abbia un valore economico che deve pur sempre essere considerato per determinare l’entità complessiva della partecipazione.

Per calcolare il valore delle azioni in nuda proprietà, pertanto, vanno applicate le regole del Testo unico sulle imposte di registro che stabiliscono come valutare beni posseduti a titolo di nuda proprietà, usufrutto, uso e abitazione.

Cosa cambia ora per i contribuenti

In altre parole, la sentenza dei giudici della Suprema Corte chiarisce che nel momento in cui si è chiamati a verificare se una partecipazione sia o meno qualificata, bisogna sommare il valore di tutte le azioni possedute, indipendentemente dal titolo di possesso (piena proprietà o nuda proprietà). Se questa somma supera il 25% del capitale sociale, allora la partecipazione è qualificata.

In questo caso, i dividendi effettivamente ricevuti dal socio vengono tassati con l’aliquota più elevata prevista per le partecipazioni qualificate. Ovviamente non si applica l’aliquota ai dividendi non incassati (quelli della nuda proprietà), ma si tratta di applicare un’aliquota diversa ai dividendi realmente incassati tramite la piena proprietà.

La decisione ha dunque effetti potenzialmente piuttosto importanti proprio per quei contribuenti che pianificano i propri investimenti attraverso nuda proprietà e usufrutto. In altri termini, chi pensava di poter “aggirare” le soglie delle partecipazioni qualificate separando nuda proprietà e usufrutto, deve probabilmente rivedere i propri calcoli.

Ad ogni modo, si tratta di contribuenti probabilmente poco accorti. La pronuncia della Corte di Cassazione conferma infatti l’orientamento dell’Agenzia delle Entrate, rafforzando così la presa di posizione del Fisco e stabilendo un principio ora più chiaro: l’amministrazione finanziaria può considerare il valore complessivo di tutte le partecipazioni, anche quelle che non generano direttamente reddito per il possessore.

Per i professionisti che assistono i clienti nella pianificazione fiscale, la decisione richiede invece una maggiore attenzione nella valutazione delle strutture proprietarie e dei loro effetti fiscali. Sarà necessario calcolare con precisione il valore di tutte le componenti della partecipazione per determinare il regime fiscale applicabile.

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Roberto Rais

Giornalista e autore

Giornalista e autore, consulente e coordinatore editoriale, collabora con agenzie di stampe e società editoriali italiane ed estere specializzate in economia e finanza, gestione di impresa e organizzazione aziendale.

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