Da misura emergenziale a leva di crescita: lo smart working in Italia è esploso dopo la pandemia. Oggi non è più solo una soluzione temporanea, né limitata alle mansioni impiegatizie: riguarda anche ruoli manageriali e di responsabilità. Secondo la Banca d’Italia, il lavoro da remoto ha ampliato le opportunità per due categorie storicamente penalizzate nel mercato del lavoro: le donne e i lavoratori del Sud. “Le professioniste che hanno avuto la possibilità di affermarsi operando da remoto si sentono più felici e realizzate”, racconta Ilaria Profumi, fractional executive e business coach a Partitaiva.it. Ma non è tutto oro ciò che luccica. A volte si confonde
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Lo smart working crea lavoro per donne e Sud: lo studio
Secondo lo studio della Banca d’Italia “Work from home, labour market participation and employment”, lo smart working ha avuto degli effetti concreti e misurabili sulla partecipazione nel mercato del lavoro e sull’occupazione, in particolare per le donne di età compresa tra 25 e 49 anni e per i lavoratori del Sud.
La ricerca dimostra che a un aumento del telelavoro corrisponde un incremento medio di 0,9 punti percentuali nella partecipazione e di 0,7 punti percentuali nell’occupazione. Questo si traduce non solo in un maggior numero di persone disposte a lavorare, ma anche in un maggior numero di contratti effettivamente stipulati.
A confermarlo è anche l’intervistata che, nella sua esperienza di coordinamento di team multiculturali nella regione EMEIA per una corporation americana, ha riscontrato come lo smart working fosse un agevolatore di assunzioni ma anche di crescita, in termini di carriera, per donne con figli. “Inoltre trattiene i talenti, contrasta la fuga dei cervelli e stimola lo sviluppo locale, perché i redditi guadagnati vengono spesi sul territorio”, aggiunge.
Smart working e telelavoro: le differenze
Troppo spesso, tuttavia, lo smart working viene confuso con modalità differenti. “Si fa presto a dire smart – commenta Adele Nardulli, imprenditrice nel settore linguistico, citando il titolo del suo libro -. Lo smart working non va confuso con il semplice lavoro da casa o con il telelavoro tradizionale. È un modello organizzativo intelligente, che armonizza vita privata e vita professionale”.
Se il telelavoro resta la modalità dei lavoratori dipendenti che, pur lavorando da casa, sono obbligati a turni e orari rigidi, lo smart working resta un modello flessibile. Ed è proprio questa flessibilità che ha permesso a tante donne di non abbandonare il lavoro dopo la maternità o, in alcuni casi, di avviare nuove attività.
Le imprese italiane pioniere dello smart working
Il lavoro da dipendente e lo smart working si coniugano bene? In Italia esistono numerosi esempi di aziende italiane che, grazie a questa strategia, hanno ottenuto ottimi risultati e per questo vengono considerate esempi da replicare.
“Tra queste – racconta Nardulli – ci sono Barilla, che già dal 2014 aveva reso il lavoro agile parte integrante dell’organizzazione, Fastweb, che dal 2015 ha puntato su fiducia e tecnologie abilitanti, Perfetti Van Melle, che nel 2017 con il progetto PerfettISmart ha dato il via a una vera trasformazione culturale, e ancora Sanofi, Nestlé, il Gruppo Cimbali, Mazars, che hanno introdotto modelli solidi e innovativi di flessibilità e responsabilizzazione”.
Ma, al di là delle grandi imprese, anche le PMI hanno sperimentato lo smart working: Landoor, l’azienda di Nardulli, è stata tra le prime a introdurre forme di lavoro agile nei primi anni Duemila, a creare un micronido aziendale e a lanciare programmi di welfare innovativi.
Opportunità e limiti del lavoro agile
Sebbene lo smart working venga presentato come uno strumento di inclusione, capace di ridurre divari di genere e territoriali, questa modalità di lavoro non elimina tutte le criticità. “È vero – aggiunge Profumi – che lo smart working abbatte le barriere geografiche e logistiche, permettendo alle donne di accedere a opportunità di lavoro anche meglio retribuite senza doversi trasferire, tuttavia rischia di abbatterne delle altre. Per esempio, è fondamentale definire confini chiari con la vita privata: non possiamo lavorare 24 ore al giorno”.
Il lavoro agile permette poi una maggiore flessibilità nella gestione degli impegni familiari, riducendo lo stress e il costo, in termini di tempo e denaro, degli spostamenti. Accanto ai benefici, però, emergono difficoltà legate alla gestione del tempo, alle distrazioni e al carico familiare, soprattutto per le madri: “Se da un lato lo smart working elimina i tempi di pendolarismo, dall’altro spesso si traduce in un aumento del carico di lavoro domestico”. Perché molte donne restano “costrette” a lavorare in presenza dei figli o a dover gestire le faccende di casa in maniera esclusiva.
Il lavoro agile aiuta a ridurre il divario economico tra Nord e Sud
Il lavoro agile può contribuire a riequilibrare il divario economico tra Nord e Sud: più professionisti restano nelle proprie città, più reddito circola localmente, più cresce la possibilità di attrarre investimenti.
“Non è una soluzione a tutti i problemi del Sud, ma è sicuramente uno strumento potente per contrastare l’emigrazione e favorire una maggiore stabilità economica”, osserva Profumi. Nardulli aggiunge: “Lo smart working può ribaltare la dinamica di fuga dei talenti e diventare un motore di coesione territoriale”.
Quale sarà il futuro dello smart working in Italia?
Vista l’espansione degli ultimi anni, come si potrebbe migliorare lo smart working per renderlo una risorsa stabile e strutturata? Secondo Ilaria Profumi ci sono due direttrici da seguire:
A livello aziendale si potrebbero introdurre delle politiche di flessibilità oraria, delle formazioni su dei tool digitali. Al contempo, si devono garantire ambienti di lavoro adeguati, come ad esempio dei setup ergonomici, una scrivania, uno schermo adeguato e tutti gli altri strumenti necessari per il proprio lavoro.
A livello statale, invece, secondo l’esperta sarebbe opportuno introdurre incentivi fiscali per le mamme, per esempio i bonus per baby sitter e asili nido flessibili, le detrazioni fiscali per spese domestiche legate al lavoro, ma anche corsi professionali e percorsi di aggiornamento dedicati proprio alle donne con figli che lavorano da remoto.
Ma la vera chiave, ricorda Nardulli, è culturale: “Smart working significa fiducia, autonomia, responsabilità. È un cambio di mentalità che può ridisegnare il futuro del lavoro in Italia”, conclude.
Laura Pellegrini
Giornalista e content editor