L’intelligenza artificiale aiuta anche a diventare imprenditori, tanto che la quasi totalità dei dipendenti italiani starebbe valutando l’opzione. Lo dimostra uno studio che ha analizzato la nuova ondata imprenditoriale. A esserne favoriti sono soprattutto i giovani. L’AI, dunque, continua a trasformare profondamente il mercato del lavoro. E non solo modificando ruoli, profili e mansioni. Questo sarebbe proprio il momento ideale per fare impresa.
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L’intelligenza artificiale fa crescere il numero di imprenditori
Secondo quanto descritto dal Work Change Report di LinkedIn, che ha analizzato i segnali emergenti di oltre 18 milioni di PMI di tutto il mondo, l’avvento di nuovi sistemi di intelligenza artificiale sta alimentando la voglia e il desiderio di diventare imprenditori.
Il numero di coloro che hanno aggiunto al parola “founder” al proprio profilo LinkedIn è cresciuto del 60% in tutto il mondo nell’arco dell’ultimo anno (da luglio 2024 a luglio 2025). In Italia, quasi 4 dipendenti su 5 hanno affermato che grazie all’AI stanno valutando la possibilità di diventare imprenditori.
Una spinta che si concentra soprattutto tra Gen Z e Millennial, attratti dalla possibilità di avere maggiore autonomia e flessibilità: sempre più giovani immaginano un futuro da liberi professionisti o titolari di micro-imprese costruite attorno alle opportunità offerte dalla tecnologia.
È un fenomeno che, per molti versi, cambia anche l’identità dell’imprenditore contemporaneo. Come racconta Chiara Arlati, Artificial Intelligence Advisor, “stiamo assistendo a uno dei ribaltamenti più profondi nella storia dell’impresa: il passaggio dal fare all’essere”.

Secondo Arlati, l’AI sta inaugurando “l’Era del deskilling creativo”, in cui non è più necessario padroneggiare ogni competenza tecnica: ciò che conta è lo scopo, la direzione, la capacità di orientare. Una trasformazione che abbatte molti alibi: “L’AI demolisce il mito dell’io non sono capace e inaugura un’epoca in cui si costruisce per orchestrazione, non per esecuzione”, spiega.
Perché l’AI spinge i giovani verso l’autonomia
Molti professionisti vedono nell’intelligenza artificiale una forza liberatoria. Arlati descrive questo cambio di paradigma con un’immagine immediata: “È come entrare in ufficio da sola al mattino e trovare venti scrivanie già occupate. Chi scrive, chi analizza, chi progetta, chi coordina. E tutti replicano il tuo stile, la tua sensibilità, la tua voce”, aggiunge.
Per chi ha sempre dovuto rinunciare a competenze strategiche per mancanza di risorse, l’AI diventa un moltiplicatore di possibilità: reparti marketing, uffici operations o analisi dati che prima erano fuori portata diventano improvvisamente accessibili.
“Da esperta di AI – continua Arlati –, oggi posso dirlo con chiarezza: questo è il momento migliore della storia per fare impresa. L’AI non elimina il rischio, ma moltiplica le possibilità. Chi ha uno scopo, oggi, costruisce il domani a una velocità mai vista prima”.
L’AI abbassa le barriere di ingresso e favorisce la nascita di nuove imprese
A rendere la nascita di nuove imprese ancora più veloce c’è un fenomeno culturale prima che tecnologico. Arlati lo definisce “vibecoding”, parola dell’anno 2025 secondo il Collins dictionary: un modo di creare tecnologia raccontando un’intenzione più che scrivendo codice.
“Oggi puoi creare un’app senza sapere cosa sia un linguaggio di programmazione. Descrivi ciò che vuoi ottenere e l’AI lo traduce in software”. Strumenti come lovable.dev permettono di validare idee in poche ore e automatizzare processi in pochi minuti. “L’unico capitale iniziale? Il linguaggio umano”, sintetizza Arlati.
Ma non si tratta solo di teoria. Arlati porta un esempio concreto: la sua stessa esperienza. “.mindots. è rinata dalle ceneri post-Covid grazie a un uso strategico dell’AI generativa. In pochissime persone siamo riusciti a costruire ciò che, fino a due anni fa, sarebbe stato impensabile”, fa sapere.
Eppure l’AI non sostituisce l’imprenditore: “Accelera ciò che già esiste. Il motore rimane lo stesso di sempre: un’idea valida, un mercato pronto e la capacità di darle forma”, precisa l’esperta. L’AI può ridurre costi, accorciare i tempi e permettere di fallire più velocemente, ma il gesto imprenditoriale nasce altrove: nello scopo, nell’intuizione, nel coraggio di provarci.
La sfida delle PMI: processi e persone
Se l’AI apre nuove possibilità, non tutte le aziende sono pronte ad accoglierle. “La prima cosa che guardo nelle PMI è la loro mappa della realtà interna: come parlano, come documentano, come decidono”, racconta Arlati.
Due sono le “P” da cui partire: Processi e Persone. L’AI generativa non è una bacchetta magica: se applicata a processi disordinati rischia di amplificare il caos. “Serve cultura, fiducia, curiosità. E va chiarito: l’AI più avanzata non è sempre quella giusta”, sostiene. In molti contesti, il machine learning tradizionale è più utile e sostenibile dell’ultimo modello generativo.
Infine, per far nascere più imprenditori guidati dall’AI, servono anche politiche adeguate: “Prima ancora degli incentivi, serve educazione”, conclude Arlati. Formare cittadini capaci di comprendere l’AI, di usarla con consapevolezza e di imparare e mettersi in gioco. Perché il futuro dell’impresa, conclude l’esperta, sarà conversazionale, e nascerà da chi saprà dialogare meglio: con le macchine, certo, ma soprattutto con le persone.













Laura Pellegrini
Giornalista e content editor