L’ospitalità diffusa è un modello che si propone di rilanciare i borghi abbandonati, valorizzare patrimoni dimenticati e dare nuova linfa alle comunità locali. Il potenziale è altissimo, ma richiede competenza e investimenti, oltre che capacità di visione. Grazie ai fondi disponibili e a iniziative come la vendita simbolica di case a 1 euro, oggi è possibile avviare un progetto imprenditoriale e, al contempo, contribuire alla ripopolazione di luoghi la cui bellezza toglie il fiato.
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Ospitalità diffusa per la riqualificazione dei borghi: come funziona
Di fronte alla crisi demografica e al declino delle aree interne, l’Italia riscopre un’idea nata più di quarant’anni fa e oggi tornata al centro del dibattito sul futuro dei territori: l’ospitalità diffusa come modello di sviluppo locale.
A sposarla è Opera KaraSicilia, cooperativa sociale di servizi turistici destinati sia ai turisti che alle imprese dell’ospitalità familiare. “L’ospitalità diffusa, non è un’alternativa turistica – precisa subito il presidente Salvatore Scalisi – perché, prima che una località diventi destinazione, ci vuole tempo e lavoro. Per intenderci, Cefalù lo è, mentre Motta D’affermo, dove siamo noi, no. E l’ospitalità, senza una rete di servizi di accoglienza, non funziona”.

La carenza di servizi
A pesare sarebbe persino la carenza di servizi essenziali come posta e bancomat, nonché di negozi di generi alimentari nelle vicinanze. “L’ospitalità diffusa – continua Scalisi – dovrebbe misurare la qualità della vita in un borgo, prima di farlo diventare attrattivo. Noi di KaraSicilia procediamo inversamente, magari prima piantando un albero e poi sperando che tutti si aggreghino nella valorizzazione del territorio, anche con soluzioni semplici ma concrete”. La cooperativa, per esempio, per il prossimo anno sta valutando un servizio di consegna a domicilio di alimentari.
Pubblico, privato e terzo settore potrebbero collaborare insieme per aggiungere nuove attrazioni. “Questa sensibilità spesso manca, purtroppo. Così, a parte le case che cerchiamo di affittare a Motta, tutte le altre ristrutturate con i fondi pubblici nel Palermitano 25-30 anni fa sono chiuse”, fa sapere.
Ospitalità diffusa e vendita di case a 1 euro: “Ecco come metterle a reddito”
Negli ultimi anni le iniziative diffuse di vendita simbolica di case a 1 euro per ripopolare i borghi disabitati hanno fatto sognare tanti che desideravano acquistare un immobile in un luogo di pace dove trasferirsi per le vacanze. Ma ciò non va confuso con l’ospitalità diffusa, che non coincide con la proprietà: “Abitare queste case soltanto per uno o due mesi l’anno, significa danneggiare tutta la comunità, facendo chiudere le attività commerciali negli altri mesi per l’assenza di potenziali clienti”, spiega il presidente.
Le case a 1 euro non vanno solo ristrutturate, vanno messe a reddito, affittate, gestite con logiche di rete e interventi che migliorino la qualità della vita, partendo dal basso. Per far crescere la visibilità mediatica e la reputazione turistica di queste zone occorrerebbe lavorare per farle diventare una destinazione di villeggiatura e non di vacanza. Si tratta di luoghi non adatti al turismo di massa ma a quello esperienziale, in cui vivere con un ritmo lento e rilassato, godere di una colazione in camera, decidere se dedicarsi alla lettura, alla pittura, alla fotografia. E poi ci sono quelli – come la Fiumara d’arte – che offrono scorci di mare unici al mondo. Il tutto a prezzi concorrenziali.

Finanziamenti disponibili e bando Borghi: “Rischio perdita 80% dei fondi”
L’ospitalità diffusa è potenzialmente in grado di generare valore ben oltre il turismo, di far diventare esperienziali le aziende agricole, di far riscoprire agli artigiani antichi mestieri, di attrarre giovani imprenditori. Un antidoto a quella che Scalisi definisce “eutanasia collettiva”, ovvero l’inesorabile spopolamento dei borghi.
Cosa serve per cogliere l’opportunità? “Visione strategica e denaro, perché i primi 4-5 anni sono soltanto di investimenti – aggiunge -. I fondi ci sono, basti pensare ai 2,4 milioni di euro assegnati a Motta d’Affermo Pettineo e Castel di Lucio attraverso bando Borghi. In tre anni, però, pare sia stato speso appena il 10%, a causa di carenze organizzative e strutturali, comuni senza personale formato, una normativa che non consente affidamenti rapidi degli incarichi. Servirebbero invece team multidisciplinari, capaci di lavorare in sequenza: oggi un architetto, domani un esperto di marketing, poi un project manager o un comunicatore”. C’è tempo fino al 2026 per usufruire del bando Borghi e, senza un cambio di rotta, si potrebbe perdere dal 70 all’80% delle risorse a disposizione.
Natalia Piemontese
Giornalista