Il cambiamento climatico mette in crisi il turismo nelle zone montane e le attività sciistiche. La neve alza sempre di più la sua quota, l’innevamento artificiale risolve solo parzialmente il problema ed è dispendioso e inquinante. Inoltre, mettere al rischio la salute delle montagne si traduce anche in un maggior rischio di catastrofi ambientali per le città. Partitaiva.it ha analizzato i numeri del fenomeno e rintracciato tutte le opportunità disponibili – attraverso bandi e finanziamenti agevolati – che le zone montane possono utilizzare per la neve programmata e contrastare lo spopolamento.
Indice
- Crisi del turismo nelle zone montane a due velocità
- Servizi ecosistemici e perequazione: il nuovo motore economico per le zone montane
- Bandi neve programmata: incentivi regionali per la stagione invernale
- Credito d’imposta per ripopolare le zone montane: incentivi per imprese, sanità e casa
- Unioni montane, strategie per investimenti condivisi e vocazione economica nelle valli
- Dati climatici e previsioni microclimatiche: un asset strategico per gli investitori e la resilienza in montagna
- Rischio “tech washing”: frode e controlli sui fondi PNRR
Crisi del turismo nelle zone montane a due velocità
L’economia delle valli italiane nasconde una profonda frattura strutturale che mette a dura prova la gestione finanziaria del territorio. Sebbene la media del Prodotto interno lordo (Pil) delle aree montane sia sostenuta per il 6,7% dal turismo, questo dato è l’epicentro di una disuguaglianza economica strutturale e polarizzata che richiede un immediato intervento fiscale mirato. Il divario è netto: da un lato le comunità più attrattive vedono l’incidenza del valore aggiunto turistico superare l’11% del Pil locale, confermando la centralità del settore, dall’altro le aree meno sviluppate crollano a poco più dell’1% di contributo. Questa disparità, che si riflette anche in una forbice occupazionale che va da oltre 940 a meno di 70 addetti per comunità, è influenzata dal cambiamento climatico.
L’aumento delle temperature e l’innalzamento della quota neve stanno rendendo insostenibili le attività sciistiche al di sotto dei 2.000 metri, obbligando imprese e comuni a fare i conti con una minaccia che impone un cambio radicale di strategia economica, passando dalla gestione dell’emergenza a investimenti mirati nella prevenzione. La vera scommessa finanziaria, oltre alla riorganizzazione della vocazione economica delle valli, risiede ora nel garantire che l’enorme valore dei servizi ecosistemici garantiti dalla montagna alle aree urbane sia riconosciuto e finanziato tramite adeguati strumenti di perequazione.
Servizi ecosistemici e perequazione: il nuovo motore economico per le zone montane
“L’economia delle aree montane è tradizionalmente basata su agricoltura, allevamento e silvicoltura – dice Marco Bussone, presidente nazionale Uncem, l’Unione dei comuni, delle comunità e degli enti montani -. Il settore primario rimane il motore principale dello sviluppo socioeconomico, mentre il turismo è considerato un’esternalità derivante dalla combinazione del paesaggio e della presenza umana”.
È fondamentale, per Bussone, evitare l’illusione che solo il flusso turistico possa salvare e sostenere queste aree. Negli ultimi anni, il futuro economico e finanziario dei comuni montani e delle imprese dipendenti dalla neve ha dovuto fare i conti con i cambiamenti climatici: fattori come l’aumento delle temperature medie e la crescente frequenza di eventi meteorologici estremi, come le intense precipitazioni, rappresentano una minaccia per il comparto. “Questo scenario impone un cambio di strategia, passando da interventi di emergenza a investimenti mirati nella prevenzione e nella gestione del territorio – sottolinea il presidente Uncem -. Il problema non riguarda solo le montagne, ma ha ripercussioni significative anche per le aree urbane, esponendole a rischi come frane, dissesto idrogeologico e crisi delle foreste”.
Se la montagna soffre, le città rischiano di più
Sul piano economico-strategico, aggiunge che la montagna deve innanzitutto valorizzare i servizi ecosistemici ambientali che garantisce alle città attraverso la gestione del territorio, dei versanti e del paesaggio. “Questo valore, oltre che sociale e culturale, è economico e deve essere riconosciuto finanziariamente dalle aree urbane tramite strumenti di perequazione e gestione, come previsto dalla legge 221 del 2015”.
Passando al tema del turismo invernale, l’innalzamento continuo della quota neve sta rendendo sempre più difficile l’organizzazione di attività sciistiche al di sotto dei 2.000 metri, a causa della diminuzione della neve naturale. L’innevamento artificiale potrebbe essere una risposta tecnica, ma solleva questioni di sostenibilità legate agli onerosi investimenti, ai bacini idrici e al consumo energetico. In questo contesto di crescente complessità, esaltata dalla crisi climatica e dalle mutate condizioni economiche e di mercato rispetto ai decenni passati, le valli devono operare scelte cruciali sulla loro vocazione economica.
Bandi neve programmata: incentivi regionali per la stagione invernale
“Le modalità di investimento per gli imprenditori legati alla stagione invernale sono totalmente cambiate. Oggi si registrano potenzialmente più incentivi, bonus e finanziamenti rispetto a qualche decennio fa, includendo risorse da Regioni per l’innevamento programmato e bandi nazionali in crescita dal ministero del Turismo per la risalita”, sottolinea Bussone. Per esempio, in Lombardia è stato pubblicato il bando Innevamento 2025 per coprire spese energetiche, carburante e idriche per la produzione di neve programmata nella stagione 2024/2025, con contributi a fondo perduto.
In Piemonte, il bando Sistema neve 2025-2030 per investimenti in impianti a fune e sci di fondo, oltre a bandi per infrastrutture in borgate montane (per esempio, fino al 90% di contributi per borghi storici). In Toscana è stato pubblicato il bando Sistema neve 2025, a fondo perduto per spese di esercizio e manutenzione ordinaria degli impianti sciabili.
Credito d’imposta per ripopolare le zone montane: incentivi per imprese, sanità e casa
Non solo bandi regionali. La legge 131 del 2025 ha lo scopo di favorire il popolamento delle zone montane, ne incentiva lo sviluppo attraverso interventi agevolativi mirati, di natura amministrativa e tributaria, destinati ad alcuni specifici settori strategici, come scuola, trasporti, connettività e servizi sanitari e attività economiche locali, oltre che per la tutela del territorio e degli ecosistemi.
Con questo obiettivo, il provvedimento rimodula i criteri che individuano i comuni montani e contiene disposizioni per concentrare le risorse dove servono maggiormente e lanciare le basi per un riordino delle agevolazioni destinate al settore. Al tempo stesso, per l’immediato, il provvedimento introduce interventi di stimolo di natura fiscale, in particolare istituendo una serie di crediti d’imposta a favore di diverse categorie di persone e imprese che scelgono di stabilirsi nelle zone montane individuate.
Quattro i diversi tipi di credito d’imposta: favorire le soluzioni abitative del personale sanitario e scolastico che prestano servizio nei comuni agevolati, stimolare investimenti da parte di agricoltori e silvicoltori di montagna, incentivare l’avvio di piccole e microimprese da parte di giovani imprenditori e incoraggiare l’acquisto e la ristrutturazione di abitazioni principali di montagna.
Unioni montane, strategie per investimenti condivisi e vocazione economica nelle valli
“Il modello turistico contemporaneo non è confrontabile con quello degli anni Novanta – dice il presidente nazionale Uncem -. Oggi, anche gli sport legati alla neve sono diventati sempre più onerosi e richiedono investimenti in materiali, anche per l’amatore. Per individuare la vocazione di un territorio e ottenere le risorse economiche, gli investimenti non devono nascere dal singolo comune, ma devono essere definiti attraverso la condivisione delle esigenze tra i comuni”.
Per Bussone, questa collaborazione territoriale, storicamente espressa nelle comunità montane o unioni montane, permette di decidere insieme la vocazione e l’investimento, assicurando che ciò che succede nella parte più alta della valle giovi a tutti. “In questo contesto, la collaborazione pubblico-privato è fondamentale per il funzionamento dei comprensori turistici e delle strutture ricettive”, continua.
Dati climatici e previsioni microclimatiche: un asset strategico per gli investitori e la resilienza in montagna
L’economia delle aree montane si trova oggi da una parte a dover bilanciare l’urgenza degli investimenti in resilienza ambientale e infrastrutturale, dall’altra la complessità dei meccanismi di finanziamento. Tutti i modelli di cambiamento climatico, pur divergendo sulle proiezioni oltre i cinquant’anni, convergono in modo coerente su un forte riscaldamento complessivo e sull’amplificazione degli effetti a cascata. Questa tendenza richiede importanti finanziamenti e si traduce in costi economici diretti per il territorio. La vera scommessa per accedere ai fondi, con il Piano nazionale di ripresa e resilienza in fase di conclusione rendicontativa, risiede nella qualità e nell’affidabilità delle previsioni microclimatiche.
“L’Europa è ben posizionata in termini di infrastrutture di calcolo grazie a programmi come Copernicus e centri altamente performanti”, spiega Antonio Novellino, esperto di dati ambientali e politiche europee. Le infrastrutture di calcolo sono l’insieme di risorse hardware (server, storage, rete) e software (sistemi operativi, virtualizzazione) che permettono di elaborare grandi quantità di dati e supportare applicazioni complesse, includendo soluzioni come i supercomputer (HPC) per simulazioni scientifiche.
Per le aziende e gli investitori che necessitano di decisioni operative rapide, la comunità scientifica offre buone notizie: le previsioni nel brevissimo termine (nell’arco di 3-5 giorni) sono estremamente affidabili e di alta qualità, supportando la pianificazione immediata. Per massimizzare l’utilità di questi dati in contesti orografici complessi, come le vallate, è fondamentale utilizzare modelli a scala locale (tra 5 e 1 km di risoluzione), poiché i modelli globali (20 km) possono non essere sempre precisi. I modelli a scala locale per dati montani sono modelli numerici meteorologici ad alta risoluzione (fino a 1 km o meno) che simulano processi complessi, come la formazione di nubi orografiche, temporali e accumuli nevosi, adattandosi alla topografia specifica delle montagne per fornire previsioni più accurate per attività come scialpinismo, escursionismo e allerte valanghe, pur rimanendo una sfida a causa della dinamicità dei fenomeni.
Rischio “tech washing”: frode e controlli sui fondi PNRR
La capacità di un’impresa di trasformare i dati in politiche attive dipende però dai tempi di attesa dei sussidi. Programmi europei come Emodnet e Copernicus sono vitali per indirizzare fondi e aiuti. “Sebbene un’azienda possa beneficiare di un’implementazione immediata rispondendo direttamente a un bando gestito da una piattaforma europea – aggiunge l’esperto – la ricezione tramite programmi nazionali aggiunge in media uno o due anni di ritardo per la trasformazione in leggi o bandi esecutivi”.
Guardando al futuro, secondo Novellino i nuovi strumenti che seguiranno il PNRR continueranno a supportare settori chiave, mantenendo come priorità la capacità di offrire servizi di resilienza nel cambiamento climatico. Infine, la massiccia iniezione di fondi per la transizione non è esente da rischi. “In linea con il greenwashing – spiega – sta emergendo il parallelo pericolo del tech washing, che implica frode o superficialità nell’uso dei bonus. Tuttavia, grazie alle esperienze precedenti, i soggetti gestori e i controllori dei fondi sono diventati ‘molto più esperti’. I livelli di attenzione e di controllo – conclude – sono migliorati al fine di assicurare che l’azione finanziata aiuti per davvero chi può realizzare iniziative che migliorano le condizioni, riducendo le possibilità che tentativi di frode abbiano successo”.










Mario Catalano
Giornalista