Il settore del tech è in continua crescita in Italia e nel resto del mondo. Si tratta di un ottimo investimento per coloro che desiderano avviare una propria attività redditizia o cercare un lavoro da dipendente. Ma quanto si guadagna nel tech? Senza dubbio più che in tanti altri settori. Partendo da una survey sugli stipendi nel tech in Italia realizzata da Datapizza, Partitaiva.it ha analizzato i vari profili professionali, le competenze richieste, le opportunità e le prospettive di guadagno, scoprendo i luoghi e le modalità migliori per essere pagati di più.
Conoscere queste informazioni, soprattutto in vista della direttiva 2023/970 che entrerà in vigore nel 2026 sull’obbligatorietà della RAL negli annunci di lavoro, sarà di fondamentale importanza per selezionare le offerte più valide – se si è candidati – e per rendere la propria offerta competitiva, se si è imprenditori del settore.
Indice
- Il settore tech in Italia, un mercato da 81,6 miliardi di euro
- Lavorare nel tech: figure più richieste
- Dipendente o libero professionista? Le differenze di guadagno
- Quanto si guadagna nel tech? Stipendio medio per ruolo, seniority e regione
- Come trovare lavoro nel tech e farsi assumere
- Avviare un’attività nel settore tech
Il settore tech in Italia, un mercato da 81,6 miliardi di euro
Secondo il rapporto Anitec‑Assinform, nel 2024 il “mercato digitale” (comprendente prodotti, soluzioni e servizi ICT con contenuti digitali) ha raggiunto circa 81,6 miliardi di euro, con una crescita del +3,7% rispetto all’anno precedente. Inoltre, le stime indicano che entro il 2027 il valore potrebbe salire fino a circa 91,7 miliardi di euro.
Si tratta di numeri significativi e in costante crescita, che indicano che non siamo più di fronte a una nicchia. Il settore tech-digitale in Italia rappresenta una fetta rilevante dell’economia nazionale, grazie a cloud, cybersecurity, IA e digitalizzazione delle imprese e della PA. Non più una “industry”, dunque, ma un vero e proprio settore trasversale a ogni attività umana oggi conosciuta.
Rientrano in quest’ambito tutta una serie di professioni e imprese che progettano, costruiscono e gestiscono le soluzioni tecnologiche su cui si basano aziende, pubbliche amministrazioni e servizi quotidiani, il che porta a una domanda crescente di professionisti qualificati e opportunità talvolta più interessanti rispetto ai settori tradizionali.
Lavorare nel tech: figure più richieste
A giudicare dai dati di Assintel-Anitec‑Assinform-AICA-Assinter Italia – che registra tra gennaio 2023 e agosto 2024 circa 184.000 annunci di lavoro pubblicati per professionisti ICT su LinkedIn – di cui 21.800 annunci per figure di web developer – si può ben affermare che gli sviluppatori software e web siano i veri pilastri dell’economia digitale e lavorino su applicazioni, piattaforme e sistemi gestionali per imprese di ogni dimensione.
A seguire troviamo i data analyst e i data scientist, profili capaci di interpretare grandi quantità di dati per supportare le decisioni aziendali. Nell’area delle infrastrutture cloud e della cybersecurity, servono figure come devops engineer, cloud architect e cybersecurity specialist. Anche l’intelligenza artificiale apre nuovi spazi: dalle posizioni di machine learning engineer ai prompt engineer e agli specialisti di automazione.
Per quanto riguarda i ruoli più trasversali, la ricerca si concentra su product manager, UX/UI designer, digital project manager e IT consultant, indispensabili per collegare la tecnologia alle esigenze del business.
I profili umanistici
Infine, ci sono profili che apparentemente sembrano “fuori target” come quelli umanistici, che invece trovano la loro collocazione insieme ai laureati stem, come ad esempio:
- linguisti ed esperti di linguaggio per i programmi di traduzione e analisi dati;
- esperti di etica, per sviluppare tecnologie rispettose dei valori e dei principi umani;
- esperti legali per il settore digitale.
Le competenze necessarie
In ambito tech, i dati dimostrano che la laurea non sempre rappresenta un plus. Infatti, tra il diploma e la triennale non ci sono grandi differenze di stipendio. L’impatto economico si nota solo con le lauree magistrali e i master, ma il vero boost arriva dall’esperienza, dalle competenze pratiche e dalla capacità di evolvere costantemente.
Più che limitarsi a imparare un linguaggio di programmazione, oggi serve costruire un profilo in grado di interfacciarsi col business. Tra codici, database, algoritmi, strutture dati e strumenti di visualizzazione, ciò che conta è saper comunicare “in chiaro” i risultati all’azienda.
Al netto dunque di capacità tecniche solide e comprovate, un profilo tech di livello presenta anche un valido approccio al problem-solving e l’attitudine a interfacciarsi con il business, il lavoro in team, la capacità di comunicare con altri reparti e di adattarsi al cambiamento.
Si tratta di un mercato che corre molto velocemente e in cui la qualità della prestazione offerta spesso paga di più di anni di esperienza passata. Chi parte da zero, può formarsi in azienda grazie a uno stage. Nel tempo, tutti dovrebbero investire in formazione continua, per aggiornare e migliorare sempre la propria qualità professionale.
Dipendente o libero professionista? Le differenze di guadagno
Dati alla mano, chi lavora full remote guadagna in media più di chi lavora in sede. Non perché il lavoro da casa valga di più, ma spesso per il fatto che si tratta di posizioni offerte da aziende estere e molto moderne, che hanno più budget rispetto ai competitor nel tech italiano.
Per esempio, Levels.fyi riporta che un profilo di software engineer in lavoro da remoto in Italia ha una “total compensation” (retribuzione di base, a cui si aggiungono bonus e benefit) intorno a 59.600 euro all’anno per circa 4 anni di esperienza. La RAL media italiana per profili IT/tech in sede, invece, è intorno ai 43.000 euro all’anno per profili “middle” in molte città, suscettibile di variazioni ovviamente in base a seniority, settore tecnologico, tipo di azienda, mercato internazionale.
Lo scenario dunque sembrerebbe spianare la strada soprattutto ad attività autonome con partita IVA, dal potenziale sicuramente maggiore, ma per le quali bisogna mettere in conto, oltre a minore certezza e stabilità, anche la necessità di impiegare tempo non fatturabile, ad esempio per trovare clienti, gestire la fatturazione, occuparsi anche della promozione del proprio “brand”.
Quanto si guadagna nel tech? Stipendio medio per ruolo, seniority e regione
Il sondaggio a cura di Datapizza dimostra come il guadagno dipenda dal ruolo, dagli anni di esperienza ma anche dalla sede geografica e dalla dimensione dell’azienda per cui si lavora.
Volendo rendere l’idea, senza dimenticare che ogni caso sia a sé, possiamo “mappare” alcune fasce tipiche. A inizio carriera, ad esempio per i primi due o tre anni, uno sviluppatore che lavora nelle principali città italiane può partire da una RAL compresa tra 28.000 e 35.000 euro all’anno. Maturando fino a cinque anni di esperienza, la soglia può salire a 40.000-50.000 euro annui. Per profili senior, quindi con almeno sei o sette anni di esperienza, specializzati in ambiti richiesti (cloud, AI, cybersecurity) in sedi top, si può arrivare anche oltre i 60.000-70.000 euro lordi all’anno. Questo tenendo conto che in Italia le medie restino ancora inferiori rispetto a quelle di altri Paesi.
Nel Nord-Ovest (Milano e dintorni) e in aziende medio-grandi e quotate, la RAL è generalmente più alta rispetto a realtà piccole o in zone meno dinamiche. Gli stipendi più alti si trovano in Lombardia, dove la RAL media è di 41.000 euro. E poi c’è il Lazio, con 38.000 euro, il Piemonte con 35.000 euro, il Veneto con 35.000 euro e la Sicilia con 31.000.
Sapere quanto valgano le proprie competenze e quale sia la propria fascia di riferimento rappresenta senza dubbio un passo concreto verso una negoziazione più consapevole.
Come trovare lavoro nel tech e farsi assumere
La parola d’ordine, che potremmo estendere all’intero ambito digitale e tecnologico, è specializzazione. Come già accennato, il tech cambia velocemente e investire in formazione continua, networking e aggiornamento costante (ad esempio partecipando a conferenze, open-source, community) è un requisito non negoziabile.
La conoscenza della lingua inglese si potrebbe considerare addirittura un pre-requisito, oltre ovviamente alle conoscenze tecniche specifiche che contraddistinguono ogni profilo professionale. E poi ci sono le doti comunicative, l’ascolto attivo, il senso degli affari e la capacità di saper bilanciare le esigenze degli utenti con gli interessi dell’azienda. Insomma, le barriere di ingresso a questo mondo non sono poche, ma le opportunità sono spesso maggiori rispetto a quelle di altri ambiti lavorativi. E gli stipendi offerti sono molto competitivi.
L’esperto di tecnologia coincide ancora con lo stereotipo del solitario perennemente al pc? Vista la vasta gamma di profili diversi oggi il settore tecnologico è sempre più aperto a profili diversi e a professionisti esperti, come project manager e specialisti di cybersecurity che dedicano più tempo alle relazioni umane che al lavoro sulle macchine.
Avviare un’attività nel settore tech
Chi vuole aprire un’attività in proprio nel settore tech – senza limitarsi a cercare lavoro presso un’impresa – deve considerare che questa scelta, dal punto di vista fiscale e burocratico, richiede l’apertura di partita IVA. Esattamente come avviene in tutto gli altri settori.
La sfida più ardua da affrontare riguarda, tuttavia, la validazione dell’idea per costruire un prodotto/servizio d’interesse per i clienti. Come spesso accade, prima di buttarsi a capofitto nel processo, è più vantaggioso testare il terreno, individuando un possibile target e poi specifici potenziali clienti, di cui conoscere il flusso di lavoro, per capire se possa essere automatizzato e soprattutto in quale fase ciò risulterebbe più produttivo (ad esempio proponendo soluzioni AI). Il cliente sarebbe disposto a pagare per avere questo genere di servizio? Se la risposta è affermativa, allora è il momento giusto per costruire il prodotto.














Natalia Piemontese
Giornalista