Flat tax per super ricchi a 300 mila euro: cosa cambia dal 2026 e cosa ci guadagna l’Italia

Il privilegio fa crescere il Paese? Per il Carroccio occorre pretendere dai Paperoni stranieri precisi investimenti.

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Flat tax super ricchi 2026

La legge di Bilancio 2026 interviene anche sul tema della flat tax per i super ricchi che decidono di trasferirsi in Italia. La manovra prevede di aumentare l’imposta forfettaria sui redditi esteri da 200 mila a 300 mila euro per i nuovi residenti. Ma nella maggioranza, e in particolare nella Lega, c’è chi vuole andare oltre: rendere l’agevolazione accessibile solo a chi accetta di investire una parte consistente del proprio patrimonio in attività italiane, come titoli di Stato, startup o enti del terzo settore. Per capire quali effetti potrebbe avere questa misura, Partitaiva.it ha intervistato Roberto Dell’Anno, professore dell’Università degli Studi di Salerno e presidente del consiglio didattico di Economia e Commercio.

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Flat tax per i super ricchi: cosa cambia nel 2026

Roberto Dell’Anno

Secondo l’esperto, la struttura del regime non subisce modifiche. “Il contribuente che trasferisce la residenza in Italia può optare per un’imposta sostitutiva sui soli redditi prodotti all’estero, a condizione di non essere stato residente in Italia per almeno 9 dei 10 anni precedenti. La manovra 2026 interviene esclusivamente sull’importo della flat tax, portandolo a 300 mila euro annui”, spiega. Dal prossimo anno, dunque, coesisteranno tre regimi diversi:

  • 100 mila euro per chi era rientrato prima del 10 agosto 2024;
  • 200 mila euro per chi ha trasferito la residenza dopo quella data;
  • 300 mila euro per i nuovi ingressi dal 2026, con una novità rilevante, cioè l’imposta forfettaria per i familiari che sale da 25 mila a 50 mila euro.

L’esperto precisa che l’innalzamento dell’imposta riduce il vantaggio fiscale per i contribuenti più facoltosi che decidono di trasferirsi in Italia. “Il beneficio atteso è quindi un incrementare del gettito complessivo dell’imposta. In altre parole, se le adesioni continueranno a crescere o rimarranno elevate, l’innalzamento della soglia forfettaria dovrebbe determinare maggiori entrate per l’erario”, continua.

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La proposta della Lega: investimenti in BTP e startup

La misura potrebbe cambiare volto se venisse approvato l’emendamento della Lega all’articolo 11,  che introduce obblighi di investimento per accedere al regime. “Non sappiamo se sarà recepito e in quale forma –  precisa il professore – ma nella formulazione attuale prevede almeno 2 milioni in titoli di Stato, 500 mila euro in società non quotate o fondi di venture capital (250 mila per start-up innovative), 500 mila in uno o più piani individuali di risparmio, 500 mila in azioni quotate sull’Euronext Growth Milan e soprattutto una donazione di almeno 1 milione a un ente del terzo settore”.

Una svolta evidente rispetto all’impianto attuale. “Se approvato, la logica sarebbe quella di collegare esplicitamente il vantaggio fiscale per i soggetti molto facoltosi a un contributo effettivo all’economia italiana: più capitali indirizzati verso il debito pubblico, l’innovazione (start-up, venture capital, EGM) e il terzo settore. In sostanza, l’obiettivo sarebbe rendere la misura più difendibile sul piano economico e politico, trasformandola da semplice agevolazione fiscale per i ‘super ricchi‘ a uno strumento che generi, almeno in teoria, ricadute positive (o meno negative) per il Paese”.

La critica della Corte dei conti: “Lo Stato non può valutarne l’efficacia”

Non è un dettaglio da sottovalutare che la Corte dei conti abbia dichiarato che lo Stato non dispone degli strumenti per valutare l’efficacia del regime. “Sappiamo quanti beneficiari ci sono stati (1.495 nel 2023) e quanto gettito è stato raccolto dal 2020 al 2023 (315 milioni) – fa sapere l’esperto -. Ma l’Agenzia delle Entrate non conosce l’ammontare dei redditi esteri effettivi né le imposte ordinarie che sarebbero state dovute in assenza del regime. Non esiste alcun sistema di monitoraggio”.

Il punto critico, spiega il professore, è l’assenza di una vera valutazione degli effetti della misura. “Lo Stato non è in grado di verificare se i nuovi residenti abbiano effettivamente realizzato investimenti produttivi. Mancano informazioni sugli impatti occupazionali, sullo sviluppo locale, sul capitale immesso nel sistema”, aggiunge.

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Quanti super ricchi si sono trasferiti in Italia? Gli effetti economici documentati

Il regime ha comunque attratto manager, imprenditori e sportivi professionisti. “Sono quasi 4 mila i beneficiari in tre anni, con una forte concentrazione a Milano e in alcune località costiere di pregio”, spiega Dell’Anno.

Gli effetti sugli investimenti produttivi, però, sono poco documentati. “Le evidenze sono aneddotiche: acquisto di immobili di lusso, consumi elevati, qualche attività finanziaria. Non abbiamo prove di impatti significativi su imprese, occupazione o innovazione”. Una dinamica che il professore definisce simile, in scala ridotta, a quella tipica dei paradisi fiscali, dove la competizione aggressiva per attrarre contribuenti facoltosi può indebolire i principi di equità e cooperazione fiscale tra Paesi.

Costi, benefici e problemi di equità della flat tax per super ricchi

Il bilancio costi-benefici resta dunque incerto. L’impatto macroeconomico è ridotto e il gettito, seppur in aumento con la soglia a 300 mila euro, rimane contenuto. Roberto Dell’Anno sottolinea però un altro aspetto. “Queste norme alimentano un forte senso di iniquità. I soggetti molto ricchi finiscono per pagare un’aliquota effettiva più bassa della classe media”.  Il rischio è un indebolimento della progressività fiscale e della credibilità del sistema, in un Paese dove l’evasione è già elevata. Sul piano internazionale, inoltre, l’Italia rischia di scivolare verso strategie di concorrenza fiscale più tipiche dei paradisi fiscali che delle grandi economie europee. “Nel lungo periodo questo può generare tensioni e compromettere i principi di equità e cooperazione fiscale”, commenta.

Verso una revisione più ampia

Secondo l’esperto, la strada maestra resta eliminare le deroghe che creano trattamenti privilegiati e rispettare il principio costituzionale di progressività. “Al crescere della capacità contributiva deve crescere la pressione fiscale in modo più che proporzionale – conclude -. Piccoli aggiustamenti di queste misure non sono in grado né di migliorare in modo significativo i conti pubblici, né di ridurre la diffusa percezione di ingiustizia fiscale che, nel nostro Paese, contribuisce a mantenere elevati i livelli di evasione”.

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Cristina Siciliano

Giornalista e scrittrice

Giornalista pubblicista, classe ‘97, con una solida formazione classica. Dopo la laurea conseguita con lode in Filologia Moderna, ho frequentato un Master in giornalismo politico-economico multimediale presso la 24ORE Business School. Ho collaborato con testate nazionali, come Leggo.it, e locali. Sono autrice del libro Breviario del silenzio: tra anima e parole, edito da Affiori, marchio di Giulio Perrone Editore.

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