Le vacanze di Natale sono spesso un’occasione utile per andare in ferie e trascorrere più tempo in famiglia. Ma non sempre quest’intento riesce a realizzarsi mettendo d’accordo dipendenti e imprenditori. Ferie obbligatorie, rientri anticipati, indennità non godute: una gestione errata dei periodi di riposo dei lavoratori può diventare un vero e proprio terreno di rischio per le imprese.
Non si tratta solo una questione di buon senso o di equilibrio tra vita e lavoro. Il diritto alle ferie è tutelato dalla legge e ancora di più, dalla giurisprudenza, che vede nel riposo un presidio essenziale per la salute dei lavoratori. Il mancato recupero psicofisico aumenta lo stress e i rischi per la sicurezza, esponendo il datore di lavoro anche a responsabilità civili e penali. Per capire come prevenire criticità e contenziosi, Partitaiva.it ha intervistato l’avvocato Mauro Minucci.
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Il diritto alle ferie e il potere del datore di lavoro
Come spiega l’avvocato, la legge attribuisce al datore di lavoro un ruolo chiave nella programmazione delle ferie. “L’ art. 2109 del Codice civile affida al datore di lavoro il compito di stabilire quando il dipendente può finalmente ristorarsi – precisa -. Il prestatore di lavoro ha diritto, dopo un anno d’ininterrotto servizio, ad un periodo annuale di ferie retribuito, possibilmente continuativo, nel tempo che l’imprenditore stabilisce”. Tuttavia, l’esperto aggiunge subito un dettaglio fondamentale, “Il datore di lavoro deve tenere conto delle esigenze dell’impresa e degli interessi del prestatore di lavoro”.

Questo equilibrio è però spesso alla base dei contenziosi. La giurisprudenza chiarisce che il potere attribuito all’imprenditore di fissare il periodo di godimento delle ferie implica anche quello di modificarlo, ma sia la fissazione che le eventuali modifiche devono essere comunicate ai lavoratori con preavviso. “Un esempio pratico: il signor Rossi chiede le ferie ad agosto, come anticipato mesi prima, e l’azienda risponde: ‘Certo, le ferie te le diamo! Ma a novembre, quando c’è meno lavoro’. Tecnicamente l’azienda ha rispettato la legge, ha concesso le ferie, ha rispettato il numero di giorni, ha comunicato il periodo. Peccato che novembre non fosse il mese che il lavoratore aveva immaginato per il riposo suo e della famiglia. Qui può nascere il contenzioso”.
Il collocamento forzoso e le richieste di rientro anticipato
Anche la pratica del cosiddetto “collocamento forzoso” in ferie può creare problemi. “La collocazione unilaterale del lavoratore in ferie, effettuata senza alcuna consultazione e in ragione di una sospensione illegittima del rapporto, è illegittima”. Analogamente, le richieste di rientro anticipato per emergenze aziendali non costituiscono obbligo legale.
“La richiesta telefonica di rientro anticipato dalle ferie ad horas, senza alcun preavviso, non configura un obbligo giuridicamente vincolante. La controversia in materia nasce quando il tenere conto degli interessi del lavoratore diventa una mera formalità, come quei contratti che nessuno leggem ma tutti firmano. L’azienda può aver rispettato ogni virgola della normativa, ma se ha ignorato sistematicamente le esigenze del dipendente, si ritroverà davanti a un giudice a spiegare perché il signor Rossi doveva assolutamente andare in vacanza durante la settimana scelta dal datore di lavoro”, continua l’avvocato.
Ferie e sicurezza sul lavoro: un obbligo, non un’opzione
Un lavoratore cronicamente privato del riposo non è solo un dipendente scontento, ma un potenziale rischio per sé e per gli altri. “L’articolo 28 del Testo unico sulla sicurezza impone la valutazione di tutti i rischi, compresi quelli collegati allo stress lavoro-correlato”, aggiunge Manucci. L’avvocato sottolinea che le implicazioni per le imprese possono essere molteplici e, soprattutto, economicamente rilevanti. In primis, entra in gioco la responsabilità in materia di sicurezza sul lavoro.
Responsabilità del datore di lavoro per danni fisici o psicologici
Se un dipendente subisce un infortunio perché eccessivamente stanco, ad esempio a causa di un prolungato mancato godimento delle ferie, l’azienda può essere chiamata a risponderne. La giurisprudenza ha chiarito che, qualora il datore di lavoro tolleri indebitamente una condizione lavorativa lesiva della salute, è sufficiente che tale inadempimento sia causalmente collegato a un danno per far sorgere il diritto al risarcimento. In altre parole, se il datore di lavoro è consapevole che un lavoratore non va in ferie da anni e continua a sostenere carichi di lavoro eccessivi, eventuali malori o incidenti possono essere ricondotti a una sua responsabilità.
Accanto a questo profilo, esiste poi una responsabilità civile per danno da usura psico-fisica, che può emergere anche in assenza di eventi traumatici o incidenti immediati. Il lavoratore può infatti chiedere il risarcimento per il logoramento fisico o mentale subito nel tempo, un danno che non sempre si manifesta subito ma che, come l’usura di un pneumatico, prima o poi presenta il conto. “Emblematico, in questo senso, è il caso di un dirigente medico colpito da infarto durante l’attività lavorativa, in cui la Corte d’Appello ha riconosciuto la responsabilità del datore di lavoro per la violazione dei limiti di orario e dei turni di riposo”, fa sapere Manucci.
Ferie non godute e contenziosi alla fine del rapporto
Le ferie sono un diritto irrinunciabile e non monetizzabile durante il rapporto di lavoro. Tuttavia, alla fine del rapporto scatta il diritto all’indennità sostitutiva se le ferie non sono state godute. “Grava sul datore di lavoro l’onere di provare di avere adempiuto al proprio obbligo di concedere le ferie, mentre la perdita del diritto può verificarsi soltanto nel caso in cui il datore offra la prova di avere invitato il lavoratore a godere delle ferie – se necessario formalmente – e di averlo avvisato in modo accurato ed in tempo utile”, precisa l’avvocato. In pratica, non basta un generico avviso collettivo: serve una comunicazione personalizzata, perché la giurisprudenza ha precisato che non è sufficiente una generica comunicazione istituzionale inviata a tutto il personale.
Le differenze nella gestione delle ferie
Esistono differenze normative e giurisprudenziali rilevanti nella gestione delle ferie tra lavoratori subordinati a tempo pieno, part-time e dirigenti. “Tutti hanno diritto alle ferie ma non tutti le maturano e le utilizzano allo stesso modo, ed è proprio qui che nascono molti contenziosi”, spiega l’avvocato.
Per i lavoratori a tempo parziale, la criticità principale riguarda la corretta distinzione tra part-time orizzontale e part-time verticale. Nel primo caso, in cui il dipendente lavora tutti i giorni con un orario ridotto, il numero di giorni di ferie è identico a quello del lavoratore a tempo pieno. “Ridurre l’orario non significa ridurre il bisogno di riposo”, chiarisce l’avvocato Minucci. Cambia esclusivamente la retribuzione della giornata di ferie, che viene proporzionata all’orario ridotto. Diversa è la situazione del part-time verticale, nel quale il lavoratore presta attività solo in alcuni giorni o periodi: in questo caso le ferie devono essere riproporzionate in base ai giorni o alle settimane effettivamente lavorate. “È una delle aree più insidiose per l’ufficio HR perché un errore di calcolo può tradursi sia in richieste economiche sia in contestazioni per trattamento discriminatorio”.
Le ferie dei dirigenti
Ancora più delicata è la posizione dei dirigenti. È diffusa l’idea che l’ampia autonomia organizzativa consenta loro di autogestire le ferie, sollevando il datore di lavoro da responsabilità. È una convinzione molto diffusa, ma non corretta. La Cassazione ha chiarito che il potere del dirigente di organizzare autonomamente il godimento delle ferie non comporta la perdita del diritto all’indennità sostitutiva, qualora il datore di lavoro non dimostri di averlo formalmente invitato a fruire delle ferie maturate. “Anche il dirigente più autonomo deve essere messo nelle condizioni di andare in ferie, e questo va dimostrato”, sottolinea l’esperto. La giurisprudenza più recente, tuttavia, mostra alcune oscillazioni.
“La Corte d’Appello di Bologna ha affermato che il dirigente pubblico, in virtù del ruolo ricoperto, è tenuto a conoscere la disciplina normativa e ad adempiere a un dovere qualificato di leale esecuzione del contratto, che comprende la tempestiva richiesta di fruizione delle ferie. Il criterio che emerge è quello dell’autonomia effettiva: più il ruolo è elevato, maggiore è l’aspettativa che il lavoratore si attivi personalmente, ma questo non elimina del tutto gli obblighi del datore di lavoro”, aggiunge.
La situazione nel pubblico impiego
Nel pubblico impiego il quadro si complica ulteriormente per effetto del divieto di monetizzazione delle ferie non godute. In linea di principio, le ferie devono essere fruite e non possono essere convertite in indennità economica. Tuttavia, la giurisprudenza ha chiarito che tale divieto deve essere disapplicato quando il mancato godimento non è imputabile al lavoratore, in quanto in contrasto con la normativa europea. “È qui che il rischio per l’amministrazione diventa concreto. Soprattutto alla cessazione del rapporto, l’ente può trovarsi a dover pagare importi rilevanti se non è in grado di dimostrare di aver fatto tutto il possibile per far fruire le ferie”. La Cassazione ha ribadito che, nei casi dubbi, l’onere della prova grava sul datore di lavoro: in mancanza di evidenze documentali, il costo resta in capo all’azienda o all’amministrazione.
“L’evoluzione giurisprudenziale sta trasformando i datori di lavoro in una specie di gestori del ristoro. Non basta più metterle genericamente ‘a disposizione’ – conclude l’avvocato -. Bisogna sollecitare, documentare e monitorare attentamente, quasi fare il tifo perché i dipendenti vadano in vacanza”.










Cristina Siciliano
Giornalista e scrittrice