L’ipotesi dei dazi all’oro degli USA ha fatto vivere giornate intense al mercato internazionale, con i prezzi dell’oro al grammo che sono saliti a livelli record, prima di calare repentinamente. E, ancora una volta, a condurre l’altalena ci hanno pensato una serie di comunicazioni confuse e contraddittorie da parte delle autorità statunitensi.
A poco sono serviti i primi chiarimenti della Casa Bianca che, anzi, hanno contribuito ad alimentare una situazione di incertezza. Fino a quando, poche ore fa, il presidente Donald Trump non ha dichiarato su Truth Social che “non ci saranno dazi sull’oro“.
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Dazi sull’oro, cosa è successo il 31 luglio
A innescare l’incendio ci ha pensato una comunicazione da parte dell’Agenzia doganale americana (la Customs and Border Protection), nella quale si indicava che i lingotti d’oro da un chilogrammo e da 100 once – prodotti di riferimento fondamentali nel mercato globale dei metalli preziosi – sarebbero stati soggetti ai dazi reciproci imposti dall’amministrazione Trump.
Evidentemente, una simile decisione è servita ad alimentare immediate tensioni a Wall Street, perché trader, banche d’affari e società di analisi avevano dato per scontato che l’oro sarebbe rimasto esente dalle tariffe, basandosi sulle precedenti dichiarazioni della Casa Bianca: non più tardi dello scorso aprile, le dichiarazioni dell’amministrazione Trump avevano infatti lasciato intuire tale condizione di immunità.
Invece, la comunicazione dell’Agenzia doganale ha ribaltato completamente le aspettative del mercato, creando un’ondata di incertezza che si è propagata immediatamente attraverso tutti i principali centri finanziari globali.
Il timing, peraltro, non poteva essere peggiore. L’oro era protagonista di un anno straordinario, con un incremento dei prezzi del 31% favorito dalla crescente tensione geopolitica e commerciale, che aveva spinto gli investitori a cercare beni rifugio (e quale migliore safe haven dello “storico” lingotto?). L’improvvisa minaccia dei dazi aggiuntivi ha però aggiunto troppa benzina sul fuoco di un mercato già surriscaldato.
Gli effetti sul mercato dell’ipotesi dei dazi sull’oro
La reazione del mercato è infatti stata immediata. I prezzi dell’oro sono schizzati oltre i 3.500 dollari per oncia, toccando un nuovo record storico: l’aumento di oltre un punto percentuale in poche ore ha dimostrato quanto il mercato fosse impreparato a questa eventualità e quanto profonde fossero le implicazioni di questa decisione.
Il problema non riguarda infatti il solo prezzo del metallo prezioso – fattore già di per sé di straordinario rilievo – quanto anche l’intera struttura del commercio globale dell’oro. I dazi del 39% sulla Svizzera (il principale hub mondiale per la raffinazione del metallo) avrebbero infatti reso costoso in modo proibitivo l’import del lingotto negli Stati Uniti, creando una crepa difficilmente riparabile in un sistema consolidato che consente il libero flusso del metallo tra Londra, New York e i centri svizzeri.
La Svizzera processa infatti la maggior parte dell’oro mondiale nelle sue raffinerie e il suo ruolo è talmente protagonista che i lingotti che produce sono considerati lo standard per il commercio internazionale. Un dazio del 39% su questi prodotti avrebbe significato costi aggiuntivi enormi per ogni transazione, rendendo il mercato americano molto meno attraente per gli investitori globali e minacciando il ruolo centrale del Comex di New York nel sistema finanziario mondiale.
L’effetto sui futures del Comex
L’impatto dell’annuncio dell’Agenzia doganale ha interessato anche il mercato dei futures del Comex. Si tratta di uno dei più grandi al mondo per il commercio di metalli preziosi, che si basa sul sostanziale assunto che i trader possano facilmente importare oro fisico negli Stati Uniti per regolare i contratti quando necessario. L’avvento dei dazi sul lingotto avrebbe invece posto in seria discussione questo meccanismo fondamentale, creando incertezza su tutto il sistema di trading.
In ottica di flussi commerciali, si è poi venuto a creare un dislivello notevole tra le diverse piazze finanziarie: l’oro di New York saliva vertiginosamente a causa del meccanismo succitato, mentre i prezzi a Londra rimanevano relativamente stabili, creando un premio insolito per il mercato americano.
La Casa Bianca fa marcia indietro
In questo scenario così confuso, venerdì pomeriggio la Casa Bianca ha cercato di correre ai ripari: un funzionario dell’amministrazione ha definito i potenziali dazi come “disinformazione“, annunciando che il presidente avrebbe emesso un ordine esecutivo per chiarire la situazione.
Il comunicato ha sortito l’effetto immediato e previsto: i prezzi dell’oro hanno rapidamente perso gran parte dei guadagni della giornata, scendendo a circa 3.460 dollari per oncia. Il mercato ha infatti interpretato l’intervento della Casa Bianca come un segnale che la decisione dell’agenzia doganale sarebbe stata probabilmente revocata o modificata.
Come in altre occasioni in cui la Casa Bianca è stata protagonista di ampi movimenti di mercato, gli analisti hanno sollevato forti interrogativi sull’efficacia della coordinazione interna dell’amministrazione. La comunicazione dell’Agenzia doganale è stata un semplice errore burocratico o riflette una divisione di opinioni all’interno del governo?
Fino all’annuncio delle ultime ore di Trump su Truth Social, il mercato ha continuato a vivere uno stato di evidente nervosismo, confermando quanto sia delicato l’equilibrio del sistema finanziario globale e come anche una semplice comunicazione (pur proveniente dai massimi vertici doganali americani) possa scatenare il caos in mercati del valore di trilioni di dollari.
Roberto Rais
Giornalista e autore